Scuola Forense
di Taranto
Marseille, les vendredi 19 et samedi 20 mars 2004 - LES DROITS DES MIGRANTS
 



Ordine degli Avvocati
Provincia di Taranto















CAPITOLO II


LA DISCIPLINA DELL’IMMIGRAZIONE
NELL’ORDINAMENTO NAZIONALE.

 

2.1. – COSTITUZIONE E “PRINCIPIO PERSONALISTA”.

2.1.1. – Premessa. “Principio personalista”: “natura e origine”.

Prima di osservare la collocazione dello straniero tra i diritti fondamentali di libertà, presenti nella Costituzione occorre fare un passo indietro, analizzando il principio ispiratore e informatore dei diritti medesimi, nella nostra Carta costituzionale: “Principio personalista”.

La presenza di cui ne è intriso il testo costituzionale, quasi esclusivamente nella prima parte della Costituzione, relativa ai principi morali, etici e religiosi rappresenta un aspetto di notevole interesse, non solo sotto l’ambito contenutistico, ma anche e soprattutto, sull’attività di interpretazione giuridica.

Infatti, tali principi offrono una chiave di lettura ai precetti costituzionali, determinanti per la loro comprensione, facendo leva su discipline e ricerche (etica, morale, religione, sociologia), che va oltre la fattispecie strettamente giuridica.

Tutto ciò sta a testimoniare la estrema potenzialità di principi, quali quelli costituzionali, che disvelano una dimensione “pre giuridica” , trascendentale, che erge la persona in quanto tale, a creatura degna di tutela e garanzia in materia di diritti e libertà ad essa connaturati.

A questo livello - come osserva Onida – “il diritto costituzionale non appare solo una tecnica per la produzione o l’applicazione di comandi giuridici nella società politica  o per il concreto governo della società, ma il risultato e l’espressione di una concezione generale dell’uomo e della società”1ario

In questa concezione generale, la persona umana è assunta nell’ordinamento democratico come valore storico-naturale, come valore originario e “bene giuridico primario” che precede lo Stato2.

E’ questa l’essenza del principio “personalista”, esplicato nella formula dell’articolo 2 della Costituzione, che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”, laddove il termine “riconosce” rimanda all’esistenza di un bene giuridico primario, non derivato dall’ordinamento e perciò “inviolabile”  cioè assolutamente indisponibile, neanche con il procedimento di revisione costituzionale. deto.

Questo è stato reso possibile dall’“accordo” che ha dato luogo alla Carta costituzionale.

Infatti, persone di diversa estrazione culturale, sociale e soprattutto ideologica, politica si sono spogliati dei rispettivi punti di contrasto, ed hanno raggiunto accordi, con grande apertura mentale, su principi e temi di fondo, accomunati dalla consapevolezza che il valore della e per la persona è un’aspetto imprescindibile per una società democratica.

Lo Statuto albertino, già così “limitato” nella definizione dei diritti di libertà, non conteneva nessun accenno ai diritti fondamentali: che, nella tradizione liberale erano, di solito, consegnati ad atti posti al di fuori delle costituzioni, anche se tali atti erano considerati parte integrante di esse3.

A testimonianza di ciò, “il prodotto finale” dimostrò che i valori cristiani potevano essere accomunati o quanto meno coabitare con la tradizione socialista e comunista, qualora, abbandonando ogni elemento di pregiudizio e di scontro si avesse come unico referente il valore e la dignità della persona4.

Le carte costituzionali francese del 1946, italiana del 1948 e tedesca del 1949 dimostrano, infatti, se vengono lette senza pregiudizi, che un patto, o compromesso politico di fondo, si manifesta con chiarezza in tutte e tre le costituzioni.

Il “compromesso” consiste, sostanzialmente, nella ricerca della coesistenza e di un punto di equilibrio fra la riaffermazione dei diritti e dei valori propri della tradizione liberale e l’enunciazione di nuovi diritti sociali che del costituzionalismo liberale non avevano, invece, fatto parte: il punto di equilibrio fra la tradizione della libertà individuale e quella della solidarietà sociale, destinata ad esprimersi prevalentemente attraverso lo Stato e le istituzioni pubbliche.

In Italia la vicenda storica della Resistenza, la forza politica dei socialisti e dei comunisti, spostarono, certamente, più a sinistra quel punto di equilibrio.

Tuttavia, anche nei punti più delicati, come quelli riguardanti il rapporto fra l’eguaglianza formale e quella sostanziale (art. 3 Cost. ), le soluzioni finali assunte nella Costituzione costituirono sempre un punto di incontro: costituito (come ebbe a rilevare con una punta di polemica, Piero Calamandrei) da un processo di reproche rinunzie dei maggiori partiti alle loro originarie impostazioni5.

Il tutto accomuna, oltre che per i contenuti, anche per l’intento con cui è stata prodotta, la Costituzione ai documenti ecclesiali per la difesa e la promozione dei diritti umani (“Centesimus Annus”, “Rerum Novarum”).

In questa concezione, la famosa definizione di S. Tommaso, secondo la quale la legge “nihil est aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata”, offre l’esempio di una definizione aperta all'apporto di altri riferimenti concettuali.

2.1.2. - I diritti fondamentali di libertà dello straniero nella disciplina costituzionale.

Al di là della necessaria predisposizione di una legge in materia di immigrazione extracomunitaria, che abbandoni le logiche dell’emergenza, caratteristiche dell’attuale disciplina normativa, il ripensamento delle politiche pubbliche di settore si fonda anche e soprattutto su una nuova visione della condizione giuridica dello straniero nello stesso ordinamento costituzionale6.

Ciò non significa necessariamente modificare la Costituzione, o adottare nuove leggi costituzionali, che tutelino espressamente lo status dello straniero privo della cittadinanza italiana7.

La strada nella direzione di un più moderno statuto costituzionale della condizione dello straniero può essere senz’altro percorsa a Costituzione invariata attraverso lo strumento dell’interpretazione, dottrinale e della stessa Corte costituzionale, delle vigenti disposizioni della Carta fondamentale, al fine di limitare al minimo indispensabile e nel settore dei diritti politici, ma non anche in quello dei diritti sociali, il campo delle legittime disparità di trattamento in ragione della condizione di cittadinanza8.

Il punto necessario di partenza dell’analisi è senz’altro rappresentato dal principio di eguaglianza, di cui risulta necessaria la verifica della possibilità espansiva nei confronti del rapporto tra cittadino e straniero.

In primo luogo, occorre chiarire l’ambito soggettivo di efficacia del principio, dato che l'art. 3 della Costituzione fa espresso riferimento ai cittadini.

Al di là di ogni considerazione relativa alla crisi dell’identità nazionale e della possibile costituzione di una società multi etnica9, autorevole dottrina e, in parte, la stessa Corte costituzionale hanno precisato che l’eguaglianza, almeno, nel suo contenuto minimale dell’eguaglianza davanti alla legge è garantita anche agli stranieri10.

Il principio di eguaglianza formale, di eguaglianza davanti alla legge, non ha più quel significato limitato del precedente ordinamento statutario11 (art. 24 dello Statuto albertino: “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali di fronte alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi”).

Esso assume una nuova dimensione, dovuta, in particolare, al riconoscimento della “pari dignità sociale”.

Infatti, il riferimento alla “pari dignità sociale” può essere giustamente considerato come il trait d'union tra il principio di eguaglianza formale, espresso dal primo comma dell’art. 3, e l’eguaglianza sostanziale, di cui al secondo comma, in forza della quale ogni persona ha eguale dignità, di uomo e individuo, ed eguale diritto a godere delle libertà fondamentali12.

La “dignità umana” si configura, infatti, come valore che qualifica, rappresentandone il fine, tutte le libertà costituzionali13.

In tale prospettiva, non appare ammissibile una sottrazione del godimento della dignità umana e sociale a soggetti che, privi del legame giuridico della cittadinanza, si pongono in posizione di eguaglianza, sul piano quanto meno dei diritti sociali, se non anche su quello dei diritti civili, rispetto ai cittadini.

E’ l'uomo in quanto tale, e non solo il cittadino, ad essere titolare delle posizioni soggettive fondamentali che definiscono i contorni principali di una società democraticamente orientata e che ormai si pongono come contenuti irrinunciabili (e perciò universali) delle dinamiche costituzionali”14.

In definitiva, il pensiero di Calamandrei, secondo cui “l’elenco dei diritti presenti nella Costituzione è non da scorciare, ma piuttosto da ampliare”15, non sembra snaturato se riferito anche ai soggetti titolari dei diritti costituzionali.

Nel senso di doversi preferire, laddove possibile, quell’interpretazione della libertà costituzionale che veda come suo titolare tutti gli individui, cittadini e stranieri, e non solo coloro che sono titolari dello status civitatis.

D’altro canto, quanto detto non comporta in alcun modo una impossibilità di fissare un trattamento giuridico dello straniero diverso da quello previsto per i cittadini16.

Infatti, la Corte costituzionale, come è noto, ha da tempo affermato che “a parità di situazioni deve corrispondere parità di trattamento, mentre trattamenti differenziati sono riservati a situazioni obiettivamente diverse”.

Tale valutazione circa la parità o la diversità delle situazioni viene effettuata dal legislatore e la Corte non può sindacare la scelta discrezionale operata in sede di politica legislativa.

Infatti, “spetta insindacabilmente al legislatore giudicare sulla parità o la diversità delle situazioni, pur nel rispetto di criteri di ragionevolezza nonché degli altri principi costituzionali”17.

Il principio di eguaglianza, dunque, risulta “intaccato od eluso solo in caso di constatata irrazionalità del trattamento differenziato”18.

La Corte costituzionale si è espressamente pronunciata, sin dalla sua prima giurisprudenza, nel senso dell’illegittimità, in generale, di trattamenti discriminatori fondati su distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali, in quanto l’art. 3, primo comma, “contiene un precetto di fronte al quale non sono ammesse deroghe da parte del legislatore ordinario”19.

Ora, non sembra illegittimo sostenere che un trattamento discriminatorio degli stranieri fondato su tali motivi sia egualmente in contrasto con il principio di eguaglianza, così come sopra ricollegato alla pari dignità umana e sociale di tutti gli individui.

Lo status civitatis, in definitiva, incide in Italia sulla stessa titolarità di posizioni garantite costituzionalmente, ma non può mai ledere la pari dignità umana e sociale, che si riferisce a tutte le persone, cittadini e non20.

Rispetto a questo “nocciolo duro” di libertà costituzionali, che sono ontologicamente intangibili siano esse di titolarità di persone che abbiano o no la cittadinanza, nessuna discriminazione è ammessa e la valutazione della ragionevolezza di un eventuale trattamento differenziatorio dovrà essere particolarrnente severa.

Rispetto alle altre libertà costituzionali, non in rapporto diretto con la pari dignità umana e sociale, indipendentemente dal fatto che esse siano rivolte a tutti o ai soli cittadini, dovrà sempre essere censurato, in quanto illegittimo, il trattamento discriminatorio che risulti arbitrario in quanto irragionevole21.

L’eguaglianza tra cittadini e stranieri, come è stato da tempo messo in rilevo, ha infatti, essa stessa un rilievo costituzionale e, almeno in parte, non è rimessa alla semplice buona volontà del legislatore22.

Al di là della possibilità di ricostruire l’art. 2 della Costituzione (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”), e il principio in esso contenuto, come clausola interpretativa generale di tutte le specifiche disposizioni costituzionali attributive di diritti23, il carattere fondamentale e inviolabile dei diritti della persona hanno un senso solo se giungono ad interdire al legislatore ogni discrìminazione che fondi la differenza del trattamento in base ad un generico riferimento alla nazionalità e alla cittadinanza24.

Il differente trattamento degli stranieri sarà, dunque, giustificato solo laddove si fondi sulla posizione di intrinseca debolezza del soggetto, che consente, ed anzi richiede, una considerazione di favore nelle politiche legislative e giammai una discriminazione, alla luce della portata del principio di eguaglianza così come sopra ricostruito25.

In tale prospettiva, peraltro, appare un residuo illiberale la persistenza nel nostro ordinamento26 - anche all’indomani della riforma del diritto internazionale privato ex legge 31 maggio 1995 n. 218 - del principio di reciprocità, che configura, da un lato, un debole strumento per la difesa degli Italiani all’estero e, dall’altro, un istituto illegittimo se riferito al godimento dei diritti fondamentali27.

A questo punto, l’ulteriore elemento di indagine è teso ad enucleare - in via di mera esemplificazione e non certo tassativa, essendo rimessa la scelta concreta a valutazioni di politica legislativa, rispetto alle quali l’interprete non può fare altro che indicare una possibile via di intervento - le singole posizioni soggettive, costituzionalmente garantite, di titolarità esclusiva dei cittadini o, invece, di tutti gli individui indipendentemente dallo status civitatis28.

Al riguardo è bene subito precisare che sembra ormai da superare l’opinione secondo la quale il riferimento letterale in Costituzione ai “cittadini” e non a “tutti” costituisca un criterio risolutorio circa la questione del riconoscimento dell’ambito soggettivo di titolarità del diritto29.

Certo il dato letterale può acquistare rilevanza in sede di interpretazione, ma non può rappresentare un parametro di “valutazione risolutivo”30.

Se così fosse vi sarebbe un’eccessiva restrizione della posizione degli stranieri nel nostro ordinamento, a cui verrebbero negate, ad esempio, oltre i diritti di elettorato, la libertà di riunione e di associazione, necessarie per la loro integrazione e per la loro partecipazione alla vita civile del Paese, in cui legalmente risiedono.

Comunque, in Costituzione si fa espresso riferimento ai “cittadini” in materia di diritto al lavoro (art. 4), libertà di circolazione (art. 16), riunione (art. 17) e associazione (art. 18), in materia di estradizione (art. 26), assistenza in caso inabilità al lavoro e povertà (art. 38, co. 1), diritto di voto (art. 48), associazione a partiti (art. 49), petizione (art. 50), accesso a pubblici uffici e a cariche elettive (art. 51), difesa della Patria e servizio militare (art. 52), obbligo di fedeltà alla Repubblica, osservanza della Costituzione e delle leggi nonché del giuramento (art. 54).

Bisogna decisamente respingere l’opinione espressa da qualche scrittore e secondo la quale, in forza del fatto che nelle proposizioni degli artt. 17 e 18 Cost., il soggetto è costituito dai “cittadini”31, la tutela in essa delineata non copre anche gli stranieri32.

Infatti, a parte la considerazione metodologica che non è dalla singola norma ma dall’intero ordinamento che si fa discendere il significato di una proposizione normativa, la cosa che bisogna osservare è che nello stesso art. 18, allorchè si tratta di determinare quali associazioni siano garantite dal punto di vista del fine perseguito, il costituente non fa più riferimento ai fini dei cittadini ma a quelli “che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.

Mentre si fa riferimento a “tutti”, o non si indica espressamente il titolare, in relazione alla libertà personale (art. 13), di domicilio (art. 14), della corrispondenza (art. 15), di religione (art. 19), di manifestazione del pensiero (art. 21), divieto per motivi politici di privazione della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome (art. 22), diritto di difesa (art. 24), principi di legalità e irretroattività della legge in materia penale e giudice naturale (art. 25), personalità della responsabilità penale, presunzione di non colpevolezza e divieto di pena di morte (art. 27), statuto costituzionale della famiglia (artt. 29-31), diritto alla salute (art. 32), libertà dell’insegnamento (art. 33) e scuola (art. 34), garanzie del lavoratore (artt. 35-37, 38 co. 2 e ss.), libertà sindacale e diritto di sciopero (artt. 39 e 40), libertà economiche (artt. 41-47), doveri tributari (art. 53)33.

Ugualmente non appare ammissibile l’opinione di chi, pur respingendo l’analisi delle singole disposizioni costituzionali, considera l’art. 10 della Costituzione - e, in particolare, la riserva di legge rinforzata ivi prevista34 (“La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”) - come l’unico dato testuale riferito allo straniero35.

In tale ottica, la Costituzione sembrerebbe riguardare la sola condizione del cittadino anche quando fa riferimento a “tutti”, spettando al legislatore ordinario, in sede di scelta della politica legislativa, l’eventuale estensione allo straniero delle disposizioni e degli istituti di garanzia previsti in Costituzione36.

La prospettiva che allora si apre alla ricostruzione della condizione giuridica dello straniero nella Carta costituzionale è quella della tendenziale equiparazione - almeno per le libertà e i diritti sociali - alla condizione dei cittadini37.

La Costituzione, infatti, immune da logiche di emarginazione pone al centro dell’attenzione il valore delle persone, “viste non come semplici estrinsecazioni della sovranità degli Stati, o - nella diversità dei legami con la comunità politica - come termini dei conflitto amico/nemico secondo la visione nazionalistica di C. Schmitt, ma piuttosto come portatori del valore generale e non frazionabile della dignità umana e sociale, al quale sono preordinate le libertà e le chances costituzionalmente garantite”38.

Inoltre, autorevole dottrina è concorde nel ritenere che non tutte le norme costituzionali che recano nel testo la parola “cittadini” e non riguardano “l’attiva partecipazione alla vita dello Stato” devono valere esclusivamente per i cittadini.

Di conseguenza, anche l’art. 16 Cost. – che garantisce la libertà di circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale – andrebbe applicato agli stranieri39.

A favore di quest’ultima interpretazione militerebbe la stessa collocazione dell’art. 16, posto nel titolo dei rapporti civili, e non in quello dei rapporti politici.

In particolare, Onorato concorda con l’opinione di Manlio Mazziotti per il quale “anche gli stranieri [godono] dei diritti enunciati dall’art. 16, ma senza che valga per essi la garanzia costituzionale, e rimanendo quindi salvo, il potere del legislatore ordinario di disporre diversamente nei loro confronti”40.

Come dovrebbe apparire evidente, l’argomentazione di Onorato risulta essere molto debole e decisamente paradossale: infatti, come si può spiegare che un diritto di “circolazione transnazionale notevolmente affievolito” elaborato sulla base del diritto internazionale possa trasformarsi – una volta recepito – in un “vero diritto soggettivo”, e che un diritto costituzionale (di circolazione e soggiorno) possa ad un tempo valere senza essere costituzionalmente garantito?41

Per quanto concerne il già citato art. 10 Cost., la prima osservazione da fare è che in base ad esso il trattamento degli stranieri da parte della Repubblica, non deve essere più condizionato dal principio di reciprocità (art. 16 delle disposizioni preliminari al cod. civ.), ma deve ispirarsi, come espressamente affermarono gli onn. Della Sete e Moro in sede di Assemblea Costituente, ad un “criterio etico più alto”: quello della massima “apertura” verso tutti i membri della Comunità Internazionale42.

Le ragioni di una tale disposizione che trasse origine dalla convergenza tra le tendenze “personalistiche” dei cattolici e le concezioni “internazionalistiche” dei marxisti non sono difficili a scoprirsi.

Esse consistono nella scelta per una organizzazione democratica fondata sul principio d’eguaglianza che, se impone di trattare alla stessa maniera tutti i cittadini, impone anche di non discriminare tra cittadini e stranieri43 e di considerare questi ultimi senza tener conto del trattamento che i loro paesi di origine riservano agli italiani ivi immigrati44.

Un’altra garanzia, poi, che si ricava dal secondo comma dell’art. 10 consiste nella riserva di legge, che sottrae al potere regolamentare dell’esecutivo un ambito, che, nel passato regime fascista, aveva registrato esercizi ispirati alle più cupe ideologie nazionalistiche e xenofobe45.

La riserva di legge in favore del Parlamento, infatti, garantisce sufficientemente nei confronti di questi pericoli e, collegata soprattutto con l’altro vincolo che discende sempre dal secondo comma dell’art. 10 e che riguarda il fatto che la legge ordinaria nel regolare la condizione dello straniero deve attenersi a quanto dispongono in materia le norme internazionali generalmente riconosciute, assicura una possibilità di normativa più “aperta” che non operi interventi discriminatori46.

Già da queste indicazioni dell’art. 10, che costituiscono una sorta di “premessa generale”, si capisce benissimo quale sia la considerazione che la nostra Costituzione ha degli stranieri e come questa non tolleri che essi siano trattati da “sudditi” o siano discriminati come “diversi” rispetto ai cittadini47.

Ancora più chiara appare, però, questa direttiva se si dà una scorsa alle varie disposizioni attributive di diritti che sono contenute nella prima parte della Costituzione.

2.1.3. – Le interpretazioni del giudice costituzionale dei diritti fondamentali di libertà dello straniero.

Il quadro delineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha avuto modo più volte di occuparsi della condizione nel nostro ordinamento giuridico dello straniero, nonostante le incertezze, fornisce interessanti indicazioni48.

In primo luogo, come accennato, in alcune decisioni, sia pure in riferimento a fattispecie concrete, la Corte ha delineato una nozione del principio di eguaglianza inclusiva della condizione dei non cittadini.

La Corte infatti, evidenzia la necessità di non leggere l’articolo 3 della Costituzione - che si riferisce espressamente, come visto, ai cittadini - in maniera isolata, ma nel combinato disposto con il principio pluralista, di cui all’art. 2 Cost., e con il rafforzamento della riserva di legge derivante dall’obbligo di conformità ai trattati internazionali, di cui all’art. 10 cpv. della Cost49.

Sicché, in tale prospettiva, viene accolta l’opinione che “il principio di eguaglianza, pur essendo nell’art. 3 Cost. riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri, allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, garantiti allo straniero anche in conformità dell’ordinamento internazionale”50.

Anche se la Corte precisa che “la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento”51.

Analogo atteggiamento di tendenziale equiparazione del cittadino allo straniero anche non comunitario è ravvisabile in altre decisioni fondamentali della Corte costituzionale, sempre con riferimento ad alcune ipotesi particolari e non su un piano generale52.

Nel valutare il procedimento di espulsione, la Corte ha evidenziato che l’esigenza di celerità e di effettività non può tradursi in una deminutio delle tutele riconosciute in Costituzione.

In tal senso, è intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 7 bis, co. 1, legge n. 3911990, nella parte in cui punisce con la reclusione lo straniero espulso che, privo del documento di viaggio, non si adoperi presso l’autorità diplomatica per ottenerne il rilascio, senza stabilire quando l’inerzia sia penalmente apprezzabile e lasciando così troppo ampia discrezionalità alla polizia e al giudice53.

In altra decisione viene dichiarata illegittima la disposizione in materia di reati legati al traffico di stupefacenti54, che obbligava il giudice ad emettere l’ordine di espulsione, da eseguire a pena espiata, nei confronti dello straniero condannato55.

La Corte rende evidente che l’interesse pubblico, sotteso all’istituto dell’espulsione, non può comportare il sacrificio di altri valori costituzionali, quali, nella prima decisione, il principio di tassatività in materia penale e, nella seconda, il previo accertamento della pericolosità sociale dell’individuo, italiano o straniero che sia, al fine di comminare misure di sicurezza che senz’altro incidono sulla libertà personale56.

D’altro canto, sempre in tema di espulsione, la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, pur ammettendo la legittimità in astratto della misura, afferma che essa, per non essere in contrasto con la Convenzione, deve essere giustificata da esigenze di ordine sociale e, soprattutto, deve essere proporzionata al fine legittimo perseguito57.

La Corte costituzionale manifesta, dunque, la volontà di muoversi nella direzione di non discriminare irragionevolmente la condizione di straniero e di cittadino.

Con una tale portata è da inquadrare la dichiarazione di illegittimità della norma che rendeva più difficile la dimostrazione dello stato di non abbiente dello straniero, in materia di disciplina della documentazione necessaria per l’accertamento dei presupposti reddituali, per godere del gratuito patrocinio58 e l’equiparazione del lavoro subordinato a quello casalingo al fine del ricongiungimento familiare59.

Almeno in questi ambiti, in definitiva, non vi è motivo ragionevole di distinzione tra la condizione di cittadino e di straniero.

Analogo orientamento è, d’altro canto, ravvisabile nella giurisprudenza costituzionale di altri paesi.

Si ricorda, ad esempio, il Conseil constitutionnel francese che sottolinea la diversità tra la materia della disciplina dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e l’imprescindibile riconoscimento a tutte le persone, prive o no della cittadinanza, dei diritti e delle libertà fondamentali.

Il giudice delle leggi francese, infatti, considera che le limitazioni contenute nella loi Pasqua di alcuni diritti fondamentali non concretizzino “des atteintes excessives à la liberté individuelle”, in quanto la subordinazione del rilascio della carta di soggiorno alla condizione che l’immigrato non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico, la possibilità di interdire con atto motivato dell’autorità giudiziaria la permanenza sul territorio francese di uno straniero non in regola con gli obblighi del soggiorno, la stessa espulsione immediata dello straniero in caso d’urgenza nonché la subordinazione del diritto dello straniero a lasciare il territorio nazionale ad una previa dichiarazione rappresentano un contemperamento ragionevole tra le esigenze dell’ordine pubblico e le libertà fondamentali, di cui gli stranieri rimangono titolari60.

2.2 – I PRECEDENTI LEGISLATIVI E IL DIRITTO VIGENTE ALLA LUCE DELL’ATTUALE RIFORMA (l. 30 luglio 2002, n. 189).

Gli anni novanta si aprono con il primo tentativo di colmare il precedente vuoto politico e legislativo attraverso una disciplina tendenzialmente organica dell’immigrazione e della condizione dello straniero: la l. 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. legge Martelli), risultante dalla conversione in legge con modifiche del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416 (“Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e degli apolidi già presenti nel territorio dello Stato”).

La suddetta legge, sin dal suo primo operare, fu caratterizzata da numerose rimessioni alla Corte costituzionale, anche se, per lo più, non ebbero l’esito sperato.

Avverso una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bologna dell’art. 7 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 39, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che lo straniero espulso sia autorizzato al rientro nel territorio nazionale in modo da consentirgli di partecipare alla fase dibattimentale del procedimento penale avviato a suo carico, la Corte costituzionale, ordinò la restituzione degli atti al Tribunale di Bologna61.

I risultati che concretamente raggiunse furono di ben più modesta entità.

Tale normativa nasce sulla scia delle esperienze di altri paesi europei e sulla spinta del processo di integrazione comunitaria.

L’entrata in vigore della legge Martelli consentì all’Italia di concludere il negoziato di adesione alla Convenzione di Schengen, avendo soddisfatto con tale normativa due delle condizioni poste dai promotori della convenzione:

a) l’eliminazione della riserva geografica posta dall’Italia alla sottoscrizione della Convenzione di Ginevra del 1951;

b) l’introduzione nel nostro ordinamento di un insieme di disposizioni in materia di controllo degli ingressi, del soggiorno e dell’allontanamento degli stranieri extracomunitari.62

Tra il 1990 ed il 1998 è stata approvata inoltre, una serie di leggi contenenti norme integratrici delle disposizioni vigenti per adeguare la legislazione italiana alle previsioni degli accordi di Schengen.

La disciplina fissata dalla legge Martelli evidenziò presto le sue carenze: la persistente inattuazione del diritto d’asilo, la mancata individuazione delle procedure per l’ammissione al lavoro stagionale, la scarsa armonizzazione della normativa sul ricongiungimento familiare con le altre leggi in materia.

Una serie di tentativi in senso correttivo vennero effettuati mediante diversi decreti-legge settoriali che intervennero in materia nel periodo di vigenza della l. n. 39 del 199063.

Tra il 1993 ed il 1994, una commissione di nomina governativa (la c.d. Commissione Contri) redasse un articolato progetto di legge organica in materia di immigrazione, che tuttavia, venne posto nel nulla dal governo uscito dalle elezioni del 27 marzo 1994.

Con l’apertura della XIII legislatura ha ripreso avvio un percorso di riforma in materia che ha portato prima all’approvazione della l. 6 marzo 1998, n. 40 e in seguito al d. legisl. n. 286 del 25 luglio 1998, recante: “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”64.

Interessante in merito, è la decisione della Corte costituzionale, che nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 75, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e dell’art. 33, quarto comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l’ha dichiarato inammissibile con sentenza65 66.

Fino ad arrivare al 2002, con la legge “Bossi-Fini” (l. 30 luglio 2002, n. 189).

In essa il legislatore è intervenuto sulla legge Turco-Napolitano innovandola sostanzialmente, secondo il principio generale della successione temporale delle leggi di pari rango.

In sostanza, gli interventi normativi che hanno assunto la forma di novella legislativa mirano a:

- Collegare la durata del permesso di soggiorno al contratto di lavoro di cui è già titolare l’immigrato (la permanenza in Italia sarebbe consentita soltanto ai cittadini extracomunitari muniti di regolare contratto di lavoro).

I contratti potranno essere inizialmente di uno o due anni (nove mesi per gli stagionali).

Saranno sempre rinnovabili fino ad un massimo di sei anni.

A questo punto l’extracomunitario potrà chiedere e ottenere una carta di soggiorno a tempo indeterminato67.

Dopo il decimo anno la legge sulla cittadinanza gli consentirà di chiedere di diventare cittadino italiano a tutti gli effetti, esercitando così a pieno titolo tutti i diritti politici.

Chi ha un permesso di soggiorno per lavoro per almeno due anni può chiedere di partecipare alle agevolazioni dell’edilizia popolare.

- Cancellare la chiamata in garanzia o sponsor.

- Attuare con immediatezza la sanzione amministrativa della espulsione, con restrizioni delle impugnazioni.

- Restringere i ricongiungimenti familiari alle sole figure dei figli, del coniuge e dei genitori a carico (questi ultimi solo nel caso non abbiano altri figli).

- Istituire una procedura di preselezione dei richiedenti lo status di rifugiato politico.

Per quel che concerne il primo punto, vale quindi, l’equazione lavoro uguale permanenza.

Nulla quaestio, in realtà tale disposizione è già applicata in alcune questure italiane.

Questure importanti quali quella di Roma e quella di Milano subordinano il rinnovo del permesso di soggiorno alla idoneità di un contratto di lavoro.

Già da tempo vengono disposti accertamenti in base alla regolarità dei contratti e alla idoneità alloggiativa68.

In assenza di un contratto di lavoro e di una idonea sistemazione alloggiativa il permesso di soggiorno non viene rinnovato.

Il Ministero dell’interno fissa annualmente il numero degli immigrati extracomunitari ammessi a prestare la loro opera nel nostro paese.

Proprio perché si tratta di una norma già applicata nella prassi, è possibile delinearne gli effetti giuridici e sociali.

Potranno entrare soltanto i lavoratori che saranno stati “richiesti” da un imprenditore oppure da una famiglia.

Per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro viene istituito uno “Sportello Unico per l’Immigrazione” in ogni prefettura69.

Questi, dunque, i problemi aperti:

·       vi è stato un grande proliferare di contratti di lavoro falsi con grande speculazione di criminali, solitamente italiani, che in cambio di soldi garantivano l’apertura della posizione previdenziale e la necessaria cessione di fabbricato.

Si sono verificate situazioni in cui uno stesso “datore di lavoro” pur

non percependo alcun reddito, ha “contrattualizzato” più di cinquanta

persone.

- I controlli sulla idoneità del contratto di lavoro da chi verrebbero fatti?

Attualmente gli accertamenti sulla validità dei contratti di lavoro vengono svolti dai commissariati di polizia competenti.

Si dà così luogo ad accertamenti lunghissimi che potrebbero essere viziati anche da mancanza di potere.

Il controllo sul lavoro dovrebbe in realtà essere fatto da ispettori del lavoro e non da operatori di polizia.

La fase del rinnovo, proprio per tale verifica, si dilata a dismisura.

L’istanza va presentata al commissariato competente, l’accertamento sul contratto di lavoro viene fatto solitamente da un commissariato diverso da quello del deposito dell’istanza in base alla sede lavorativa.

Ai poliziotti è demandato il compito di valutare se il contratto di lavoro è idoneo.

Intanto, nelle more di tali accertamenti, l’immigrato non può uscire dall’Italia, non può iscriversi alla Camera di Commercio, non può usufruire di determinate prestazioni previdenziali, non può aprire un conto corrente bancario ecc. ecc.

Alla luce di tali considerazioni sarebbe auspicabile che alla legge di riforma della legge Turco-Napolitano si accompagnasse (o almeno seguisse) un regolamento di attuazione in cui fossero trattati e risolti tutti i problemi connessi al rilascio e al rinnovo del contratto di soggiorno70.

Come negli Stati Uniti, si propone l’istituzione di un’Agenzia Provinciale per l’Immigrazione, all’interno della quale siano previste anche le competenze e le professionalità in materia di lavoro. L’abolizione dello sponsor nasce dal sospetto di abusi e dal rischio che extracomunitari, entrati con la garanzia, si trovino presto disoccupati.

In realtà l’istituto dello sponsor, per la sua snellezza burocratica, è stato un mezzo molto utilizzato dai datori di lavoro, i quali hanno “regolarizzato” in modo rapido immigrati clandestini od irregolari alle loro dipendenze.

A conferire velocità a tale procedura è, in particolare, il mancato passaggio autorizzativo del nulla-osta al lavoro da parte degli Uffici provinciali del lavoro.

Ricordiamo, infatti, che con l’istituto dello sponsor gli unici organi competenti al rilascio delle varie autorizzazioni sono le Questure e le Ambasciate italiane71.

Inoltre, il c.d. sponsor non deve possedere un reddito così elevato com’è invece richiesto nella chiamata nominativa (è sufficiente l’equivalente annuo della pensione sociale).

Nei fatti chi solitamente si avvale della collaborazione di cittadini extracomunitari sono persone molto anziane che difficilmente percepiscono un reddito di 45.000 euro l’anno così come richiesto nella procedura della chiamata nominativa.

Se ci fosse stata l’applicazione della norma che prevedeva la presenza di “liste di occupazione“ (elenchi di immigrati che aspiravano ad entrare nel mondo del lavoro italiano) presso ogni ambasciata italiana, l’istituto dello sponsor non avrebbe avuto un impatto negativo72.

Oggi, le autorizzazioni richieste vanno solitamente fatte a diversi organi appartenenti a tre diversi ministeri.

Tra tali ministeri solitamente non esiste alcuna comunicazione.

Le varie richieste di procedimenti di ingresso o di rinnovo sarebbe auspicabile, se fossero accentrate in un unico ente dell’immigrazione (le Agenzie Provinciali per l’Immigrazione) che sia in grado di dare risposte, in tempo reale, attraverso l’ausilio della più alta tecnologia, a tutte le problematiche connesse al mondo dell’immigrazione.

L’attuale legislatore, pur avendo intuito la necessità di accorpamento delle competenze in un unico ente, ha però lasciato inalterati gli articoli della legge Turco-Napolitano che prevedono i procedimenti autorizzativi rilasciati dalle diverse pubbliche amministrazioni73.

·       L’immediata esecuzione della espulsione nella nuova formulazione legislativa prevede che l’immigrato possa ricorrere avverso il provvedimento di espulsione entro 60 gg. depositando l’impugnazione presso le rappresentanze diplomatiche italiane.

Significa quindi, che l’impugnazione sarà possibile solo se l’espulsione si è materialmente verificata.

Al di là degli eventuali rilievi di illegittimità, che potrebbe avere tale disposizione (potrebbe comprimere notevolmente il diritto costituzionale alla difesa processuale, con ripercussioni anche sul principio della uguaglianza tra cittadini), sarebbe auspicabile che tale drastica limitazione del diritto alla difesa fosse mitigato da una maggiore certezza e garanzia nella procedura di decretazione della espulsione74.

Sarebbe necessario, seguendo anche i precetti della legge 241/90, garantire ed assicurare, nelle more del procedimento amministrativo di decretazione del provvedimento di espulsione, un vero e proprio contraddittorio75.

L’immigrato, irregolare o clandestino, potrebbe anche avvalersi della difesa di un legale nell’ipotesi in cui non riesca a dimostrare che ad esempio ha i requisiti per permanere in Italia.

Molti decreti di espulsione vengono infatti annullati attualmente dai giudici civili.

La maggiore certezza della espulsione dovrebbe comunque essere mitigata da un maggiore contraddittorio nella fase di decretazione del provvedimento di allontanamento.

·       Per quanto concerne il ricongiungimento, tale disposizione di fatto limita la possibilità di ricongiungimento a sole tre categorie di parenti: i figli (minorenni, ovvero anche i figli maggiorenni ma solo in caso di loro invalidità assoluta), il coniuge e i genitori a carico (questi ultimi solo nel caso che non abbiano altri figli)76.

Abrogando la lettera d) dell’art. 27 legge 40/1998, infatti, il ricongiungimento familiare sarebbe precluso anche nei confronti dei fratelli e delle sorelle, a carico, inabili al lavoro.

Si tratta di una disposizione troppo drastica, considerato anche che il ricongiungimento con fratelli e sorelle difficilmente si presta ad abusi. Vanno anche considerate le ripercussioni umane di queste limitazioni77.

Sarebbe stato quindi, più opportuno riformulare l’art. 27 lett. d) senza abrogarlo completamente78.

·       In materia di rifugio politico, la nuova formulazione prevede la “preselezione dei richiedenti il rifugio politico”.

Spesso in passato si è ricorsi a tale richiesta al solo fine di bloccare

qualsiasi forma di espulsione.

Inoltre, il ricorso alla richiesta dello status di rifugiato da parte di molti immigrati clandestini ha precluso la possibilità a molti veri richiedenti di vedere riconosciuto, dopo approfonditi accertamenti lo status di rifugiato79.

In questa situazione incontrollabile, dove le verifiche e le c.d. “interviste” non garantiscono una equa valutazione dei fatti, molti richiedenti, pur avendone titolo, hanno visto rigettata la propria istanza di asilo80.

Una risoluzione in Commissione infanzia della Camera, per impegnare il Governo a “predisporre tutti gli interventi urgenti e necessari per accogliere i rifugiati e in particolare i bambini”, l’hanno presentata gli onorevoli Giacco e Capitelli dei Ds, ricordando che, tra i curdi intercettati su una nave a largo della Sicilia, c’erano 377 bambini “a cui è dovuta tutela e specifica assistenza in conformità alla Costituzione italiana ed alla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo di New York”81.

L’Italia – è scritto nella risoluzione – è l’unico Paese dell’Unione Europea a non avere una legislazione organica in materia di asilo e per questo l’Alto commissario delle Nazioni Unite, nel fornire i dati sulla presenza dei rifugiati (23 mila in Italia, cioè lo 0,4 per cento ogni mille abitanti) chiede alcune modifiche alla legislazione vigente, per renderla in linea con quella degli altri paesi”82.

2.3 – L’INGRESSO E IL SOGGIORNO: LA PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI DI ACCESSO AL TERRITORIO.

Sul piano del diritto internazionale, nonostante prassi, dottrina e giurisprudenza non abbiano mai messo in dubbio l’ampia libertà degli stati nel concedere o meno l’ingresso agli stranieri nei propri territori e nel determinare le condizioni al riguardo83 - da ultimo la Risoluzione Parlamento Ue 3.10.2001, che ha previsto la libertà di ogni Stato di fissare il numero di ingressi degli immigrati - non ha impedito il registrarsi, soprattutto in dottrina, diversi tentativi di fissare dei confini al potere dello Stato in materia84.

Infatti, la dottrina, inizialmente configurava i limiti in tema di ingresso degli stranieri attorno a profili di natura economica (es. le esigenze del commercio internazionale85) successivamente, spostò l’attenzione all’esigenza di tutela delle libertà individuali, ed in particolare della libertà di espatrio e di emigrazione.

Parte della dottrina moderna rileva la sussistenza perlomeno di una relativa apertura del diritto internazionale verso un’ampia libertà di circolazione internazionale86.

Anche sul piano costituzionale, muovendo dall’art. 11 Cost. (“L’Italia… consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo…”), si è mirato in dottrina ad individuare una prospettiva di apertura87.

L’immigrazione fa parte di quelle questioni la cui soluzione i governi degli stati nazionali gelosamente riservano alla propria azione politica, evocando rispettivo a questa problematica il simulacro della loro antica sovranità88.

La nostra Costituzione, non solo all’art. 16, 2° comma, sancisce che “ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”, ma all’art. 35, 4° comma, “riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”89.

Ora, per quanto riguarda quest’ultima disposizione, da un punto di vista sia meramente logico, sia sistematico (cfr. art. 10 Cost., 1° comma), si dovrebbe poter presupporre che la norma sia quanto meno in accordo con regole di diritto internazionale che riconoscono il diritto di immigrazione.

Infatti, dovrebbe considerarsi manchevole l’atteggiamento dei costituenti che hanno previsto per i cittadini il diritto di lasciare il territorio dello Stato per motivi di lavoro, senza preoccuparsi del fatto che gli emigranti possano essere effettivamente accolti come lavoratori in cerca di occupazione nel territorio di almeno un altro stato estero90.

In realtà, la stessa dottrina sembra dislocare il problema all’interno della “tutela del lavoro italiano all’estero” e lo rinvia implicitamente – degradandolo da questione di principio a prassi internazionale – all’esistenza di accordi bilaterali di stabilimento o di carte e convenzioni multilaterali91.

Il diritto di emigrazione rappresenta un’eccezione per la sua natura asimmetrica.

In effetti un diritto si costituisce sulla base della relazione biunivoca per la quale ad un diritto garantito ad un soggetto corrisponde un dovere di un altro soggetto quanto meno di non interferire sull’esercizio altrui92.

Sul piano del diritto internazionale, l’art. 13, 2° comma della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 recita: “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”.

Come si vede, al suo interno si può facilmente far rientrare il diritto di emigrazione, ma non quello di immigrazione, poiché l’articolo sancisce il diritto del solo cittadino di rientrare nel proprio stato di appartenenza93.

L’affermazione per la quale il diritto di migrare “può definirsi come un diritto fondamentale della persona umana” non è astrattamente fornita di senso.

Analogamente, sulla base della concezione della cittadinanza cosmopolitica diviene senz’altro plausibile concepire il migrare come un diritto sociale fondamentale94.

Tuttavia, finchè gli stati restano gli “indirizzi locali del sistema politico della società globale”, non si potrà affermare un diritto di immigrazione inteso come diritto sociale fondamentale e cosmopolitico.

Infatti, come già si è accennato, da un punto di vista funzionale gli stati devono necessariamente tracciare delle preferenze inclusive/esclusive nei riguardi “dei propri membri e soltanto dei propri membri”95.

Quindi, poiché nell’ordinamento giuridico internazionale il principio personalistico soccombe di fronte alla sovranità nazionale, è opportuno evitare in ambito dottrinario di elaborare quei diritti dell’uomo che sono astrattamente concepibili (come, ad esempio, il diritto di migrare), ma che già in partenza non hanno possibilità di affermarsi96.

Ci troviamo in presenza di un tipico paradosso della post-modernità tra, da un lato, un diritto di migrare che sul piano della società planetaria è reso facilmente esercitabile, e, dall’altro, un limitato diritto di immigrazione (per quote) concesso periodicamente dagli stati nazionali97.

La programmazione dei flussi costituisce una delle risposte dell’ordinamento alle esigenze di gestione e controllo di quei movimenti migratori originati da ragioni essenzialmente economiche, e questo perché l’accesso al lavoro, in quanto bene scarso, risulta in qualsiasi ordinamento garantito innanzitutto, al cittadino e solo secondariamente al non-cittadino98.

Da ultimo, il Dm Lavoro 4.2.2002 che prevede l’ingresso di 33 mila lavoratori extra-UE per attività stagionali e il Dm Lavoro 12.3.2002, che ha stabilito nuovi ingressi di lavoratori extra-UE per attività stagionali.

La l. n. 943 del 1986 si limitava a prospettare un modello regolativo fondato sull’incontro preventivo di domanda (interna) ed offerta (immigrata) di lavoro, “previo accertamento di indisponibilità di lavoratori italiani e comunitari” (art. 5, 1° co., lett. d).

La legge n. 39 del 1990 supera questo sistema “puntuale” di determinazione degli ingressi attraverso una programmazione globale dei flussi, subordinata alla valutazione di una serie ampia di fattori, indicativi della complessiva “capacità di accoglienza” del Paese.

Dalla predominanza formale dei meccanismi di mercato si passa dunque, ad una gestione dell’immigrazione secondo indirizzi politici.

Anche questo meccanismo tuttavia restò a lungo sulla carta99.

Nella prassi si sono riproposti quei meccanismi fortemente restrittivi di regolazione dei flussi che hanno condotto ad un blocco pressoché totale degli ingressi (regolari) per motivi di lavoro, con ovvie ripercussioni sulle richieste di ingresso per altri motivi e sull’immigrazione “clandestina”.100 101

Il t.u. vigente ha confermato la scelta in favore dei meccanismi di programmazione dei flussi, conferendo a questo criterio maggiore articolazione strutturale e funzionale (art. 3).

Sono previsti infatti, diversi livelli: il documento programmatico triennale (1° co.) disciplina nei tratti essenziali l’accesso al lavoro e l’esercizio di quei diritti complessivamente riconducibili alla materia economica e sociale.

Questo va predisposto udita obbligatoriamente una lunga serie di soggetti.

Articolazione strutturale e funzionale che è venuta ancor più aumentando sulla base della nuova riforma legislativa, “targata”, “Bossi-Fini”(l. 30 luglio 2002, n. 189) 102.

L’atto di programmazione risulta nel complesso come una decisione di sistema che richiede il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali e di varie formazioni sociali.

Il documento triennale non è tuttavia solo uno strumento per la programmazione dei flussi.

Infatti, questo deve indicare anche le azioni e gli interventi che lo Stato si propone in materia di immigrazione (art. 3, 2° co.)103.

Il documento deve inoltre, prevedere le misure di integrazione socio-economica a favore degli stranieri soggiornanti nelle materie che non debbono essere disciplinate con legge.

Il Presidente del Consiglio, infine, viene chiamato a definire con decreti le quote di stranieri da ammettere per ragioni di lavoro.

Il meccanismo fissato, sembra offrire complessivamente nuove potenzialità al meccanismo della programmazione dei flussi.

Può operare in questa direzione innanzitutto, il più ampio ventaglio di modalità di ingresso e di forme di lavoro ammesse.

Sono infatti, disposte regole in materia di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, stagionale, autonomo.

Per la prima volta peraltro, si ammette l’ingresso, anche se eventuale, dello straniero a fini di inserimento nel mercato del lavoro in presenza di una garanzia che diversi soggetti possono prestare, privati, enti pubblici territoriali, sindacati, associazioni e così via.

La previsione contenuta nella nuova disciplina riguardo la possibilità di assegnare annualmente “quote” a paesi extracomunitari con i quali vengono sottoscritti appositi accordi finalizzati alle regolamentazione dei flussi di ingresso e delle procedure di riammissione (art. 21, 1° co.), che possono prevedere l’allestimento di liste in cui potranno iscriversi i lavoratori stranieri intenzionati ad entrare in Italia per lavoro subordinato, anche stagionale, e la creazione di un’anagrafe informatica posta a disposizione dei datori di lavoro e delle organizzazioni dei lavoratori (artt. 32 e 33 reg. attuazione), se da una parte potrebbe costituire un efficace meccanismo di controllo dell’immigrazione ai fini del reclutamento della forza-lavoro necessaria all’imprenditoria nazionale, può dall’altra facilmente rivelarsi uno strumento per una geopolitica dell’immigrazione da realizzarsi – esclusivamente a cura dei governi – mediante l’offerta di “pacchetti” che, oltre a questi accordi, prevedano programmi di aiuto allo sviluppo nonché misure atte a scoraggiare l’immigrazione clandestina.104 105

Infatti, a supporto delle predette intenzioni, l’articolo 21 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, è stato novato dall’art. 17, l. 30 luglio 2002, n. 189 (“Determinazione dei flussi di ingresso”)106.

Per agevolare l’esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio assumono notevole importanza gli accordi di riammissione ( v. “Raccomandazione del Consiglio del 24 luglio 1995 sui principi generali da seguire all’atto della stesura di Protocolli sull’attuazione di accordi sulla riammissione”107, nella quale, il Consiglio dell’Unione Europea, visto il Trattato sull’Unione Europea, in particolare l’articolo K. 1, punto 3 - “la politica d’immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei paesi terzi” - considerando che gli accordi sulla riammissione tra uno Stato membro e un paese terzo sono spesso corredati di protocolli che fissano talune modalità tecniche di attuazione, ritiene opportuno raccomandare una serie di principi generali cui gli Stati membri potrebbero ispirarsi per la negoziazione di tali protocolli.

A tal fine raccomanda che a decorrere dal 1° luglio 1995, i principi generali illustrati in appresso costituiscano, per gli Stati membri, una base di negoziazione con i Paesi terzi, in occasione della stesura di protocolli sull’attuazione di accordi sulla riammissione).

Il primo è stato firmato con la Slovenia il 3 settembre 1996, l'ultimo il 12 settembre 2000.

Sono ventidue in tutto gli accordi bilaterali siglati dall'Italia con altrettanti Paesi per la riconsegna dei cittadini stranieri immigrati illegalmente nel nostro territorio.

In quattro anni l'intesa è stata raggiunta con Slovenia, Macedonia, Romania, Georgia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia, Jugoslavia, Croazia, Francia, Austria, Albania, Bulgaria, Marocco, Slovacchia, Tunisia, Svizzera, Grecia, Spagna, Algeria, Nigeria.

Questi Stati si sono impegnati a riammettere i propri cittadini entrati in Italia privi delle condizioni legali.

Unico presupposto necessario, l'accertamento della nazionalità dell'immigrato che si vuole riconsegnare.

Faranno fede documenti di viaggio, carta d'identità, certificato di nazionalità.

Nei casi in cui non siano disponibili questi documenti, l'immigrato sarà sottoposto ad una audizione presso la più vicina rappresentanza diplomatica del Paese che dovrebbe riammetterlo.

Lo stesso trattamento viene applicato per i cittadini di Paesi terzi: se un immigrato è entrato clandestinamente in Italia passando, ad esempio, per la Macedonia, questa avrà l'obbligo di riammetterlo.

Allo stesso modo i governi hanno stabilito che, nel caso in cui sia necessario attraversare il territorio di uno degli Stati firmatari per riconsegnare il cittadino al suo paese, il servizio di accompagnamento sarà misto108.

In tutto il 2000 gli stranieri allontanati dal nostro territorio sono 66.057, mentre gli stranieri "intimati" (foglio di via obbligatorio) sono 64.734.

Altri 3.134 sono stati rimpatriati dopo un breve periodo trascorso nei Centri di permanenza e assistenza temporanea.

I ventidue accordi hanno tutti lo stesso testo.

Da ultimo, occorre segnalare i “tavoli d’integrazione”, rappresentanti gli strumenti grazie ai quali i Comuni d’Italia potranno “governare” i flussi di immigrati che entreranno nel nostro Paese.

Il loro compito sarà quello di realizzare programmi d’impiego per i nuovi arrivati, mirati alle diverse esigenze economiche e sociali del territorio.

I nuovi organismi verranno istituiti in sette città della Penisola ad opera dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia.

L’Anci è infatti, uno dei principali partner, assieme a Cna ed Acnur, del progetto Inte.Gra, che ha mosso i primi passi con la sigla di un accordo presso il ministero del Lavoro.

L’obbiettivo è quello di localizzare i flussi migratori, cercando di rispondere ai differenti bisogni dei comuni italiani.

Basti pensare, ad esempio, alla “fame” di manodopera di città del nord-est, costantemente alla ricerca di lavoratori immigrati da impiegare nell’industria e in esubero cronico rispetto alle quote assegnate a livello nazionale.

Ed invece, alle richieste provenienti da altre zone del Paese, come le regioni del Sud, che invece necessitano di altre figure di lavoratori e comunque, in misura diversa.

I tavoli d’integrazione, quindi, dovrebbero realizzare sul territorio un’azione di decentramento dei flussi, mediante la presentazione di programmi ad hoc, in base alla vocazione della zona, che verranno poi finanziati dall’Anci.

2.4. – IL PERMESSO DI SOGGIORNO: NATURA GIURIDICA, TRA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA.

Il permesso di soggiorno nasce tra le pieghe del t.u.p.s. del 1931 per via di una discutibile prassi amministrativa e, con l’entrata in vigore della Costituzione, rivelò la sua evidente incompatibilità tanto con la riserva di cui all’art. 10, 2°co., secondo cui “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”, quanto con lo stesso principio di legalità, sia formalmente sia sostanzialmente inteso109.

Nel sindacare le diversificazioni legislative inerenti il soggiorno dello straniero, la Corte costituzionale sembra ricorrere allo schema del controllo di ragionevolezza, senza distinguere eccessivamente tra “diritti inviolabili” ed altre situazioni giuridiche soggettive, testimoniando peraltro, in questo modo delle potenzialità espansive del principio di eguaglianza110.

L’applicazione del controllo sulla ragionevolezza alla materia dell’ingresso e del soggiorno costituisce un’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità dei criteri interpretativi della Corte ad operare concretamente, oscillando infatti, la giurisprudenza costituzionale sul punto tra la negazione della qualità di diritto fondamentale della libertà di ingresso e di soggiorno e casi in cui, evitando di qualificare la natura della posizione soggettiva in gioco, questa si è limitata ad un’approssimativa applicazione dei canoni di ragionevolezza a tale materia.

Ciò è del resto comprensibile tenendo presente che la Consulta non ha mai chiarito appieno quale sia il significato dell’attribuzione della qualifica di cittadino.

Sin dalle prime sentenze in materia emerge, dunque, l’insufficienza dei principi e dei criteri sulla base dei quali la Corte ha legittimato il diverso trattamento tra cittadini e stranieri.

La Corte in una sua pronuncia, agli inizi degli anni ’70,111 partendo dalla premessa che l’eguale titolarità di talune libertà in capo al cittadino ed allo straniero non esclude la sussistenza di “differenze di fatto e di posizioni giuridiche”, tali da giustificare “un diverso trattamento nel godimento di tali diritti”, dedusse la revocabilità in ogni momento del permesso di soggiorno dello straniero e comunque, la possibilità di limitare altrimenti la libertà di circolazione e di soggiorno di quest’ultimo.

In occasione di una ordinanza, in materia112, la Corte stabilì che la mancanza in capo allo straniero di un “diritto acquisito” all’ingresso ed al soggiorno diviene condizione sufficiente a giustificare particolari limitazioni di tali libertà a tutela di particolari interessi pubblici.

Richiamandosi, inoltre, alle sue precedenti sentenze113, la Corte afferma che il principio del giusto procedimento “non è assistito in assoluto da garanzia costituzionale” e che il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo non esclude restrizioni della sfera giuridica finalizzate alla “tutela dell’ordine sociale o dell’ordine pubblico”, tanto più a carico degli stranieri, godendo questi a tale riguardo di una garanzia meno “intensa”, rispetto ai cittadini.

Per quanto concerne la natura giuridica di tale istituto, a favore di una giurisprudenza amministrativa e di una parte minoritaria della dottrina schierate a favore della tesi della natura autorizzatoria del permesso114 - questa peraltro, rimase la linea prevalente nella giurisprudenza amministrativa in materia fino alla metà degli anni ottanta115 - stava la maggiore dottrina, secondo la quale “dichiarazione” e “ricevuta” di soggiorno realizzavano rispettivamente esplicazione di un’attività di mero controllo ed un’attività certificativa dell’ottemperanza da parte dello straniero degli adempimenti amministrativi fissati, attività in ordine alle quali la competente autorità di pubblica sicurezza non disponeva di margini di apprezzamento nel merito circa l’ammissione dello straniero116.

In merito, rilevante è la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sez. IV che, da ultimo, in una sua pronuncia ha stabilito che: “Nell’art. 142 t.u. 18 giugno 1931 n. 773 la finalità e la natura del permesso di soggiorno agli stranieri – al pari degli oneri ad essi imposti dalla legge di comunicare alla questura il trasferimento della loro dimora - è quello di consentire all’autorità di pubblica sicurezza di verificare immediatamente i requisiti del titolo dello straniero extracomunitario a soggiornare in Italia e, nel prosieguo , di localizzarlo ai fini del riscontro della sua permanenza” 117.

Peraltro, a detta dello stesso Consiglio di Stato, la mancata richiesta del permesso di soggiorno o il mancato rinnovo del permesso già concesso non legittimano sempre e in ogni caso di per sé l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, dovendo l’autorità di pubblica sicurezza valutare, specie in presenza di particolari situazioni, le ragioni di ordine pubblico che consigliano l’espulsione118 119 (con riferimento a quest’ultimo punto il Pretore di Varese in una sua precedente pronuncia, già disponeva che “ai sensi dell’art. 11 l. 6 marzo 1998 n. 40, è illegittimo per eccesso di potere il decreto di espulsione di cittadino extracomunitario per mancato rinnovo del permesso di soggiorno che non abbia comparativamente valutato l’interesse pubblico generale con gli interessi di cui è portatore lo straniero interessato al provvedimento”)120.

Quando la Corte costituzionale ebbe a pronunciarsi su tale istituto121, pur dichiarando infondata la questione propostale, manifestò chiaramente le sue perplessità in ordine alla natura autorizzatoria della “ricevuta” ed auspicò per la materia in esame, “per la delicatezza di interessi che coinvolge”, “un riordinamento da parte del legislatore, che tenga conto della esigenza di consacrare in compiute ed organiche norme le modalità e le garanzie di esercizio delle fondamentali libertà umane collegate con l’ingresso ed il soggiorno degli stranieri in Italia” 122.

2.4.1. – L’evoluzione normativa del permesso di soggiorno, dalla legge Martelli alla legge Bossi-Fini: fra dottrina e giurisprudenza.

La l. n. 39 del 1990 recepì e disciplinò il permesso di soggiorno definendone per la prima volta modalità e condizioni (art. 4).

Il t.u. vigente, unitamente all’attuale legge di riforma, conferma nel complesso la disciplina dell’istituto fissata nella legge Martelli, ma con due importanti novità: anche in Italia si riconosce una forma di soggiorno a tempo indeterminato che dà diritto ad una “carta di soggiorno”.

In secondo luogo, si abolisce il visto di reingresso per gli stranieri regolarmente soggiornanti che, usciti dal territorio nazionale intendano farvi rientro.

Ai sensi del t.u., il soggiorno in territorio italiano è consentito agli stranieri entrati regolarmente, in possesso di permesso di soggiorno o di carta di soggiorno123 (art. 5, co. 1°).

Il permesso di soggiorno può essere rilasciato dal questore della provincia in cui lo straniero si trova per l’attività e la durata prevista dal visto d’ingresso e può essere rinnovato per una durata non superiore al doppio di quella stabilita con il rilascio iniziale (art. 5, co. 2° e 4°)124.

In merito a ciò, in una sua pronuncia la Corte di Cassazione venne a dirimere ogni possibile dubbio125, disponendo che “ai sensi dell’art. 5 l. n. 40 del 1998, il permesso di soggiorno deve essere richiesto al questore della provincia in cui lo straniero si trovi entro otto giorni dall’ingresso dello stesso nel territorio dello Stato, mentre la mancata richiesta di tale permesso nel termine predetto è sanzionata, dal successivo art. 11, 2° comma stessa legge, con la espulsione” ed infine, che “il termine di cui al citato art. 5 ha carattere perentorio, senza che sia di ostacolo a tale qualificazione la prevista possibilità di deroga allo stesso in presenza di cause di forza maggiore, caso fortuito, ovvero di stato di necessità o in caso di mancata conoscenza della lingua italiana, circostanze la cui sussistenza deve essere provata dall’interessato126.

Ai fini del soggiorno in Italia, è valido anche un permesso di soggiorno o un documento equipollente rilasciato da un altro Stato membro dell’Unione Europea (art. 5, co. 1°)127.

Al t.u., di cui al predetto decreto legislativo n. 286 del 1998, all'articolo 5 sono apportate le seguenti modificazioni:

- al comma 1, dopo le parole: “permesso di soggiorno rilasciati”, sono inserite le seguenti: "e in corso di validità";

- dopo il comma 2, è inserito il 2 bis, secondo cui lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici;

- al comma 3, dopo le parole: “La durata del permesso di soggiorno” sono inserite le seguenti: “non rilasciato per motivi di lavoro”;

- al comma 3, le lettere b) e d) sono abrogate;

- dopo il comma 3, sono inseriti principi che rappresentano uno degli aspetti predominanti della nuova legge.

Infatti, il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro, di cui all’articolo 5 bis.

La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:

a) in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale, la durata complessiva di nove mesi;

b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, la durata di un anno;

c) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni (art. 5, co., 3 bis, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Inoltre, allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia almeno due anni di seguito per prestare lavoro stagionale può essere rilasciato, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, un permesso pluriennale, a tale titolo, fino a tre annualità, per la durata temporale annuale di cui ha usufruito nell'ultimo dei due anni precedenti con un solo provvedimento.

Il relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno.

Il permesso è revocato immediatamente qualora lo straniero violi le disposizioni del suddetto testo unico novellato (3 ter).

Possono inoltre, soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri muniti di permesso di soggiorno per lavoro autonomo rilasciato sulla base della certificazione della competente rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 26 del presente testo unico.

Il permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo di due anni (3 quater).

Infine, nei casi di ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, la durata del permesso di soggiorno non può essere superiore a due anni (3 sexies).

- il comma 4 è stato novato nel principio, in forza del quale il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno novanta giorni prima della scadenza nei casi di cui al comma 3 bis, lettera c), sessanta giorni prima nei casi di cui alla lettera b) del medesimo comma 3 bis, e trenta giorni nei restanti casi, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal decreto.

Fatti salvi i diversi termini previsti dal decreto e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.

- dopo il comma 4, è inserito il 4 bis, in forza del quale lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

- il comma 8 è stato novato nel principio secondo cui il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno di cui all’articolo 9 sono rilasciati mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione conformi ai tipi da approvare con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie in attuazione dell'”azione comune” adottata dal Consiglio dell'Unione europea il 16 dicembre 1996, riguardante l'adozione di un modello uniforme per i permessi di soggiorno.

- dopo il comma 8, è inserito l’8 bis, in virtù del quale, chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni.

La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale (art. 5, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Degno di nota, a seguito della nuova legge 30 luglio 2002, n. 189, è l’introduzione di un nuovo articolo (art. 6), al testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, riguardante il “contratto di soggiorno per lavoro-subordinato”128.

Interessante in merito, anche se occorre “riconsiderarla” alla luce della nuova legge in materia, è una pronuncia della Cassazione129, che ha disposto, che il venir meno del permesso di soggiorno non comporta l’automatica cessazione del rapporto di lavoro del dipendente extracomunitario, ma solo una sospensione, alla quale può seguire un licenziamento.

Questo il principio stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha chiarito che la legge n. 230 del 1962 – secondo la quale l’assunzione del lavoratore subordinato deve intendersi a tempo indeterminato, tranne che in specifiche ipotesi di esigenze organizzative temporanee da indicare nella lettera di assunzione – si applica anche ai cittadini stranieri extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno temporaneo; pertanto, il rapporto di lavoro non può avere la stessa durata del permesso di soggiorno.

La Suprema Corte ha sottolineato che ai lavoratori extracomunitari, legalmente in Italia, la legge n. 943/1986 garantisce parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani, in attuazione della Convenzione OIL n. 143/1975 e che, inoltre, nonostante la normale temporaneità dei permessi di soggiorno, peraltro in linea di massima rinnovabili, il decreto legislativo n. 286/1998 prevede il rilascio di autorizzazioni al lavoro indifferentemente per assunzioni con contratti a tempo determinato e indeterminato.

Può quindi affermarsi, che la cessazione di efficacia o di validità del permesso di lavoro o del permesso di soggiorno determina non la risoluzione del rapporto ma la sua sospensione totale, con riguardo ad ogni suo effetto economico-giuridico.

Occorre segnalare, anche, la pronuncia del Tribunale di Parma (28 settembre 2000), relativa alla richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro presentata da un lavoratore extracomunitario assunto, dapprima, senza permesso e non riassunto una volta ottenuto il permesso di soggiorno.

Il Tribunale respinge il ricorso presentato dal lavoratore sulla base delle norme contenute nel d. lgs. 286/1998, che impedisce al datore di lavoro di assumere stranieri senza permesso di soggiorno regolare.

Accogliere tale ricorso, afferma il Tribunale testualmente, “sarebbe come permettere al datore di lavoro ciò che per legge è un reato”.

Tuttavia, in senso contrario alla pronuncia, si afferma che la validità dell’offerta di lavoro potrebbe essere sottoposta alla condizione sospensiva dell’ottenimento del permesso da parte del lavoratore entro un dato termine dall’assunzione.

Inoltre, perché, nel caso di specie, è stata praticata una disparità di trattamento, essendo stato, il contratto, novato e quindi, sanato con il successivo ottenimento del permesso di soggiorno.

Parimenti alla situazione di un lavoratore italiano, licenziato per una irregolarità del contratto avvenuta in passato, poi sanata e sostanzialmente irrilevante130.

Le novità, della riforma, in materia di permesso di soggiorno sono rappresentate all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Infatti, il nuovo articolo 25, l. 30 luglio 2002, n. 189, all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1, ha aggiunti nuovi principi in forza dei quali, il permesso di soggiorno, di cui al comma 1, può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché, non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque, sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 52, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394131.

Gli stranieri regolarmente soggiornanti che non siano temporaneamente in grado di provvedere in modo autonomo al vitto e all’alloggio e, in situazioni di emergenza, gli stranieri non in regola con la normativa sull’ingresso e sul soggiorno, possono risiedere in centri di accoglienza istituiti dalle regioni (art. 40 co. 1°).

Tuttavia, grave sembra, l’abolizione prevista nel nuovo testo di legge, proprio del potere che il t.u. (art. 40, 1°comma, ultimo periodo) riservava al Sindaco di disporre, in situazioni di emergenza, l’alloggiamento nei centri di accoglienza, di stranieri non in regola con le disposizioni sull’ingresso e sul soggiorno nel territorio dello Stato132.

Il Ministero dell’interno ha l’esclusiva dei poteri sulla destinazione degli immigrati clandestini e irregolari i quali, se non immediatamente espulsi, potranno solo essere confinati nei centri di permanenza temporanea e assistenza (gestiti dallo Stato e ben diversi dai centri di accoglienza).

Peraltro, lo stesso legislatore si rende conto dei problemi connessi alla abrogazione di tale norma e prevede, in via transitoria, la permanenza dei poteri del Sindaco “fino al completamento di un adeguato programma di realizzazione di una rete di centri di permanenza temporanea e assistenza, accertato con decreto del Ministro dell’Interno” (vero dominus della materia “Immigrazione”).

Di notevole rilevanza è la pronuncia della Corte costituzionale133, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17, co. 2°, lett. d), della l. 6 marzo 1998, n. 40, ora sostituito dall’art. 19, 2° comma, lett. d), t.u. 25 luglio 1998 n. 286, promosso con ordinanza del Pretore di Termini Imprese per violazione degli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.

Infatti, alla luce del principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all’educazione della prole, “senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi”, la Corte ha dichiarato che è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione, l’art. 19, 2° comma, lett. d), t.u. 25 luglio 1998 n. 286, nella parte in cui, salvo che non sussistano motivi d’ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, non estende il divieto di espulsione, già previsto in favore della donna extracomunitaria in stato di gravidanza o che abbia partorito da non oltre sei mesi, anche nei riguardi del marito straniero coniugato e convivente134.

L’abolizione del visto di reingresso (art. 4, 1° co. e art. 8, 2° co., reg. attuazione del t.u., d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394) costituisce un passo avanti importante per persone in precedenza costrette di fatto a non poter lasciare lo Stato di residenza, se non per tornare in quello di origine.

La prassi amministrativa, comunque, si era dimostrata più attenta del legislatore: si concedevano infatti, all’atto del rilascio del “permesso” e su richiesta dell’interessato, visti di reingresso multipli che permettevano allo straniero che dovesse recarsi all’estero nel periodo di vigenza del “permesso”, di rientrare evitando un nuovo esperimento delle procedure di ammissione.

2.4.2. – L’evoluzione normativa del permesso di soggiorno: un nuovo concetto di cittadinanza? (segue…)

Una parte della dottrina ha evidenziato, nello svolgersi della giurisprudenza costituzionale in materia di ingresso e soggiorno del non-cittadino, lo sforzo di armonizzare due esigenze contrapposte: per un verso la tradizionale limitazione ai soli cittadini dell’incolato, per l’altro, il riconoscimento agli stranieri di quei diritti fondamentali, il cui effettivo esercizio risulta tuttavia, pregiudicato dall’impossibilità per questi di entrare e soggiornare liberamente.

La necessità di superare tale impasse ha indotto progressivamente la Corte ad operare una riduzione dei margini di discrezionalità del legislatore nel disciplinare l’ammissione del non-cittadino nel territorio dello Stato: in questo modo tuttavia, l’ingresso dello straniero finisce per ricevere, “una tutela costituzionale riflessa, riferita ai parametri relativi ai diritti inviolabili, i cui contorni ... devono essere ricostruiti di volta in volta, con tutte le incertezze che ciò comporta”135.

Peraltro, nella più recente giurisprudenza non sono mancate decisioni che sembrano testimoniare della consapevolezza della stessa Corte riguardo l’insufficienza del criterio della cittadinanza nel definire il rapporto tra il singolo e la comunità insediata su di un territorio e dunque, dell’impossibilità di fondare trattamenti diversi in materia di libertà, articolandoli esclusivamente attorno al possesso o meno di questa136.

Queste decisioni dunque, possono costituire altrettante testimonianze dell’emergere, anche nella giurisprudenza oltre che in dottrina, di una “cittadinanza sostanziale” a fianco della “cittadinanza legale”, di una cittadinanza che nasce dal basso, mediante tutta quella serie di rapporti che ogni individuo instaura, con la realtà sociale, economica ed istituzionale del territorio di arrivo, rapporti che assumono progressivamente rilievo giuridico.

La stessa giurisprudenza ordinaria mostra peraltro, interessanti aperture, soprattutto di fronte ad espulsioni motivate da mere irregolarità formali nel possesso o nel rinnovo dei titoli di soggiorno nel caso di soggetti comunque, in possesso dei requisiti per il soggiorno.

E’ indicativo inoltre, che in tutte queste decisioni si applichi finalmente all’espulsione il principio fissato dalla legge 241 del 1990137, secondo cui ogni procedimento avviato su istanza di un privato deve concludersi con un provvedimento espresso138.

Si ricordi invece, che la precedente giurisprudenza tendeva a negare l’applicabilità della l. n. 241 ai procedimenti di espulsione139 .

Da ultimo, proprio per gli effetti sulla nuova normativa nazionale in materia, la Corte di giustizia europea140, proprio nel giorno dell’approvazione, al Senato, del d.d.l. S795/Bis (“Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”) ha sancito che, non si può negare il diritto di soggiorno a una moglie extra-Ue se il coniuge, cittadino di uno Stato membro esercita un'attività trasnazionale”, sostenendo che la decisione di espulsione contro la moglie di un cittadino britannico non rispetta il giusto equilibrio tra il diritto al rispetto della vita familiare e la salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza141.

2.4.3. – La carta di soggiorno.

La carta di soggiorno (art. 9), può definirsi come un tipo particolare di permesso di soggiorno, che per la prima volta può venire rilasciato anche a cittadini extracomunitari, e che dovrebbe contraddistinguere una condizione di residenza a tempo indeterminato, caratterizzata da maggiori garanzie e da una più estesa equiparazione alla condizione giuridica del cittadino142.

Può essere rilasciata dal questore nel caso in cui lo straniero soggiorni in territorio italiano da almeno cinque anni, possieda un permesso di soggiorno che consenta un numero indeterminato di rinnovi e dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei propri familiari.

Da ultimo, al testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, a seguito della nuova legge, all’articolo 9, comma 1, le parole: "cinque anni" sono sostituite dalle seguenti: "sei anni" (art. 9, l. 30 luglio 2002, n. 189).

In un recente giudizio di legittimità costituzionale143 dell’art. 6, co. 3°, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), promosso con ordinanze dal G.I.P. del Tribunale di Venezia, in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione, nella parte che punisce lo straniero il quale, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione, in quanto “le censure formulate dal rimettente investono il piano delle scelte politiche del legislatore.

In precedenza, la Suprema Corte si era già occupata della questione144, rispetto alla quale la Corte costituzionale, nella suddetta pronuncia, non aveva fatto altro che confermare fondamentalmente le sue “intenzioni restrittive” della libertà personale dello straniero, garantite, come tali anche allo straniero dall’art. 13 Cost.

Infatti, la Suprema Corte affermò che: “Il reato previsto dall’art. 6, 3° comma, t.u. sull’immigrazione e la condizione dello straniero, approvato con d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, per il quale viene punito lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve ritenersi configurabile non soltanto nei confronti degli stranieri legalmente presenti sul territorio nazionale, ma anche nei confronti degli stranieri clandestini” 145.

A sostegno di tale affermazione, la Suprema Corte ha fatto riferimento, per un verso, al testuale tenore della norma incriminatrice la quale, sanzionando non il “rifiuto” ma la “mancata esibizione” di uno dei documenti in essa esemplificativamente indicati, presuppone che di un tale documento lo straniero abbia l’obbligo di munirsi, salvo che sia nell’impossibilità di farlo “per giustificati motivi”, da intendersi come non collegabili ad un proprio comportamento volontario; per un altro verso, alla desumibilità di detto obbligo anche da un’interpretazione sistematica di tutta la normativa vigente in materia di soggiorno di extracomunitari, con particolare riguardo alle previsioni di cui al 4° e 9° comma dell’art. 6 del cit. d.leg. n. 286 del 1998, il primo dei quali – riproducendo il 2° comma dell’abrogato 144 del t.u.l.p.s. – prevede la possibilità che lo straniero sia sottoposto a rilievi segnaletici quando vi siano dubbi sulla sua identità personale; il secondo prevede il rilascio allo straniero, su modello conforme al tipo approvato con decreto del ministro dell’interno, di un “documento di identificazione” espressamente indicato come “non valido per l’espatrio” 146 147.

Testimoniando la possibilità della compressione delle libertà personali (art. 13 Cost.), dello straniero, giustificata dall’esigenza della pubblica sicurezza148.

Interessante in merito e di indirizzo opposto alle precedenti è, da ultimo, la sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, secondo la quale, lo straniero che si trova in Italia in condizione di clandestinità non è obbligato ad esibire il documento di identità alle autorità che ne facciano richiesta, e pertanto il suo rifiuto non costituisce reato in quanto la norma incriminatrice si applica solo ai cittadini extracomunitari con regolare permesso di soggiorno, decidendo il caso di un albanese condannato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale ma prosciolto dall'accusa di mancata esibizione senza giustificato motivo di un documento identificativo perché "il fatto non sussiste".

Per tale motivo il Procuratore Generale di Firenze aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo la condanna anche per quest'ultimo reato.

I Giudici di Piazza Cavour però sono stati di diverso avviso ed hanno respinto il ricorso, spiegando che lo straniero clandestino non ha l'obbligo di munirsi di un documento di identificazione mentre tale obbligo grava certamente sul cittadino extracomunitario munito di regolare permesso di soggiorno, al quale solamente è applicabile la norma penale in questione.

La Suprema Corte ha infatti precisato che, se il clandestino fosse obbligato ad esibire un documento di identità, paleserebbe il suo stato di clandestinità, ed in tal modo "si violerebbe il principio secondo il quale nessuno può essere tenuto ad agire contro se stesso"; pertanto, concludono i Supremi Giudici, "la condizione di clandestinità, che non è oggi sanzionata penalmente, non può trovare surrettizie sanzioni penali, attraverso un sistema che criminalizzi indiscriminatamente l'inadempimento di meri oneri di natura amministrativa"149.

Il regolamento di attuazione del testo unico, non può prevedere il rinnovo decennale del documento costituente la carta di soggiorno (che è a tempo indeterminato).

Il Bonetti150 in merito, sottolinea che il problema sta nel fatto che la legge non prevede permessi che consentono un numero indeterminato di rinnovi, e dunque, per tale essenziale requisito si dovrà ricorrere a una interpretazione lasciata alla discrezionalità amministrativa.

Anche l’importo del reddito sufficiente non è esattamente indicato dalla legge (ed è cioè lasciato alla discrezionalità amministrativa).

A tale proposito, la legge opera un’irragionevole discriminazione delle famiglie numerose, in violazione della specifica tutela prevista dagli artt. 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”) e 30 Cost. (“E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge prevede a che siano assolti i loro compiti…”), perché il rilascio della carta di soggiorno è disciplinato in modo così irrazionale che a parità di reddito disponibile lo straniero che abbia una famiglia più numerosa avrà minori possibilità di ottenere il rilascio della carta, poiché la carta di soggiorno non è rilasciata anche in base alla sola esistenza di legami familiari con stranieri a lungo residenti, ma soltanto in base al censo dello straniero richiedente151.

La carta di soggiorno può essere rilasciata anche al coniuge e ai figli minori conviventi dello straniero e ha una durata indeterminata (art. 9, co. 1°).

Ancora, secondo il Bonetti152, la carta, formalmente rilasciata a tempo indeterminato, in realtà è automaticamente revocata (e in ogni caso non è rilasciabile fin dall’inizio in caso di rinvio a giudizio) a coloro che vengano condannati in primo grado anche per reati lievi, senza attendere il ricorso e si prevede che in tal caso lo straniero che era titolare della carta possa anche essere espulso, ripetendo, la legge italiana, a detta dello stesso, l’errore della legge francese, che tante gravi proteste ha provocato nelle seconde generazioni francesi: “si consente l’espulsione in un paese in cui non ha mai vissuto e nel quale non conosce nessuno o che magari è nato e vissuto sempre in Italia”.

Essa consente allo straniero, tra l’altro, di entrare in Italia senza bisogno del visto e di esercitare l’elettorato quando previsto dall’ordinamento (art. 9 co. 4°).

Tuttavia, a detta di una parte della dottrina, che il titolare della carta di soggiorno può “fare ingresso nel territorio dello Stato in esenzione di visto”, non è una facilitazione, perché la legge (L. 6 marzo 1998 n. 40) sopprime il visto di reingresso anche per chi è titolare di un permesso di soggiorno153.

Per quanto concerne la possibilità riconosciuta allo straniero di svolgere nel territorio dello Stato ogni attività lecita, salvo quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o comunque riserva al cittadino italiano, il Bonetti sostiene che, poiché la legge (L. 6 marzo 1998 n. 40) limita la possibilità degli stranieri di esercitare le libere professioni e non abroga la condizione di reciprocità, molti atti importanti restano comunque preclusi anche allo straniero titolare della carta soggiorno e soprattutto ai cittadini di un Paese in cui tali atti non siano consentiti agli italiani.

Il possesso della “carta” non mette comunque, il non-cittadino al riparo dall’espulsione, potendo questi venire allontanato per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale (dal Ministro dell’interno) o nel caso rientri in una delle categorie destinatarie di misure di prevenzione (dal prefetto).

A tal proposito, il Bonetti154 ritiene che il titolare di carta di soggiorno è inespellibile, ma se si pensa che la predetta vanificazione della tutela giurisdizionale contro i provvedimenti amministrativi di espulsione eseguiti con accompagnamento immediato alla frontiera impedisce allo straniero espulso, anche per errore, di comparire di fronte ad un giudice in Italia prima di essere allontanato e ciò priva anche lo straniero titolare di carta di soggiorno dei mezzi giuridici per far valere il predetto divieto di espulsione, si comprende perché anche il quadro dei diritti e dei doveri dello straniero titolare di carta di soggiorno sia sottoposto a una larghissima discrezionalità.

L’immigrato non ha, quindi, adeguate garanzie contro l’abuso e il sopruso e lo stesso titolare di carta di soggiorno viene posto in una condizione di permanente precarietà.

2.5. – LE MISURE DI ALLONTANAMENTO.

2.5.1. – Limiti normativi alla potestà statuale di allontanamento e la disciplina degli extracomunitari minorenni: i diritti dei minori stranieri.

Un primo tipo di limiti esplicitamente posti alla potestà statuale di allontanamento ha condotto a definire alcune particolari categorie di “inespellibili” e che dunque, può dirsi godano di un diritto soggettivo all’ingresso ed al soggiorno, disciplinabile ed in certa misura condizionabile, ma mai del tutto vanificabile.

Tra questi possono individuarsi da una parte i richiedenti asilo ed i rifugiati e dall’altra i componenti del nucleo familiare di immigrati regolarmente presenti sul territorio nazionale (per il cittadino extracomunitario che, a causa delle sue precarie condizioni di salute è bisognoso di continua assistenza sanitaria155, si rinvia al par. 2.10 [I DIRITTI DELLA SFERA SOCIALE]).

Il provvedimento di allontanamento dev’essere giustificato, non solo sulla base del diritto vigente, bensì, anche alla luce del pregiudizio che il soggetto allontanato si trova in questo modo a subire156.

In merito, pregnante, per il suo “anticonformismo garantista” una pronuncia della Corte costituzionale157; dalla quale, risultò infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, 2° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito, con modificazioni, in l. 28 febbraio 1990 n. 39, nella parte in cui, nel prevedere l’espulsione dal territorio nazionale degli stranieri che violino le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno, non prevede una particolare tutela per i “casi umani più dolorosi e disperati”, in riferimento all’art. 3 cost.158

In conformità a quanto stabilito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, in nessun caso, comunque, lo straniero può essere respinto o espulso verso uno Stato nel quale possa essere perseguitato per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali o possa rischiare di essere rinviato verso uno Stato in cui possa essere oggetto di persecuzione (art. 19 co. 1°)159 160.

In tal senso ebbe a pronunciarsi il pretore di Terni: “dev’essere annullato il decreto di espulsione di una cittadina ucraina che, pur essendo entrata illegalmente in Italia, possa incorrere negli atti di violenza posti in essere nei suoi confronti da organizzazioni criminali russe e slovene dedite allo sfruttamento delle prostituzione nei confronti delle quali la straniera abbia presentato ampia e particolareggiata denuncia penale”.

La norma di cui all’art. 16 l. n. 40 del 1998 (a mente della quale può essere concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari nelle ipotesi di “situazioni accertate di violenza o grave sfruttamento nei confronti di uno straniero”) postula che i presupposti per il rilascio del permesso stesso siano accertati da un organo pubblico (forze dell’ordine, autorità giudiziaria, servizi sociali degli enti locali ecc.), con conseguente esclusione della rilevanza degli accertamenti provenienti da organizzazioni private, ritenute dal legislatore inidonee a fornire le necessarie garanzie di attendibilità ed imparzialità161.

In riferimento allo stesso art. 19 t.u. (approvato con d. leg. n. 286 del 1998), la Suprema Corte ha avuto modo di confermare tale “indirizzo giurisprudenziale garantista”, anche e soprattutto, nell’ottica “familiare” del problema: “immigrazione”.

Infatti, in una sua pronuncia ha stabilito che la disposizione di cui all’art. 17 l. n. 40 del 1998 (poi trasfusa nell’art. 19 t.u. approvato con d.leg. n. 286 del 1998), secondo la quale “non è consentita (salvo che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza) l’espulsione dei minori di anni diciotto” non può interpretarsi nel senso che, “nel caso di minori che siano figli di genitori clandestinamente introdottisi nel territorio nazionale, il divieto di espulsione si estenda, per insopprimibili esigenze di unità della famiglia, anche a tali genitori”162 163.

Ad un tal riguardo, infatti, lo stesso art. 19 cit. precisa che, nell’ipotesi di genitori stranieri clandestini, raggiunti da provvedimento di espulsione, “il minore ha il diritto di seguire il genitore (o l’affidatario) espulso”, e quindi, il genitore, nell’esercizio di quel diritto per conto del figlio, ha il diritto di portarlo con sé nel luogo di destinazione, con ciò rimanendo pertanto esclusi sia il paventato “rischio” alla unità familiare, sia l’aberrante conseguenza che, in presenza di minori, resti impedita l’applicazione della normativa nazionale di tutela della “integrità” delle frontiere anche nei confronti di stranieri maggiorenni.164

In merito, dottrina e giurisprudenza, non ricusano l’esistenza del disposto, ma solo le modalità di esecuzione, quando, in assenza di contrarie, inderogabili esigenze processuali deve essere senz’altro rilasciato il nulla osta al provvedimento di rimpatrio assistito del minore straniero non accompagnato e non in possesso dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno165.

Da ultimo, proprio in merito ai minori stranieri non accompagnati, il nuovo testo normativo lascia inalterata la previsione del 1° comma dell’art. 32 (“Disposizioni concernenti minori affidati al compimento della maggiore età”), dove si prevede la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, o per esigenze sanitarie o di cura, al raggiungimento della maggiore età, allo straniero che abbia beneficiato di un permesso per motivi familiari ai sensi dell’art. 31, 1° e 2° comma, e “ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184”166.

La concreta applicazione della norma aveva dato origine a molte difficoltà e prese di posizione, a fronte di un’interpretazione restrittiva del Ministero dell’interno, che da un lato ha finito per privilegiare in molti casi (ad es.: minori affidati in Italia a parenti entro il IV° grado; minori non accompagnati sottoposti a tutela) la concessione del permesso “per minore età” (art. 28, co. 1, lett. a, D.P.R. 394/99) anziché, per motivi familiari ai sensi dell’art. 31, dall’altro ha escluso la possibilità di far rientrare tali permessi nella previsione dell’art. 32, una volta raggiunta la maggiore età167.

Tale interpretazione è stata peraltro, recentemente censurata dalla prima giurisprudenza amministrativa in materia che, non mancando di sottolineare i profili di illegittimità costituzionale che l’art. 32 presenterebbe qualora, lo si dovesse interpretare in modo tale da comportare un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe (minori non accompagnati affidati ai sensi della legge 184/83 oppure “soltanto” sottoposti a tutela) ha sostenuto la possibilità di applicare estensivamente la norma in questione, giudicando pertanto, illegittimi dinieghi di concessione del permesso di soggiorno basati unicamente sulla precedente titolarità di un permesso per minore età, anziché, per motivi familiari168.

La nuova legge in materia, ha introdotto nell’art. 32 t.u., dopo il 1° comma, tre nuovi commi (1-bis, 1-ter, 1-quater).

In base a tali commi, la possibilità di rilasciare, al compimento della maggiore età e ai sensi del 1° comma dell’art. 32, un permesso per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, viene estesa anche ad altri ex-minori, sempre che il Comitato per i minori stranieri non abbia adottato nei loro confronti una decisione di rimpatrio.

Per rientrare nella previsione, i minori stranieri dovranno trovarsi in Italia da non meno di tre anni, aver seguito per almeno due anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque, sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, avere la disponibilità di un alloggio e frequentare un corso di studio, svolgere un’attività lavorativa o disporre di un contratto di lavoro, anche se non ancora avviato.

Il comma 1 quater, precisa che i permessi rilasciati “ai sensi del presente articolo” (e quindi, anche quelli rilasciati in base al 1° comma dell’art. 32, che riguardano per lo più minori giunti in Italia con ricongiungimento familiare o addirittura nati in Italia!) verranno detratti dalle quote di ingresso definite annualmente169.

Degna di nota, risulta essere una sentenza della Corte di Cassazione precedente all'entrata in vigore della legge Bossi-Fini sull'immigrazione che, sembra andare controcorrente a quello che è l’indirizzo di fondo, dell’intera disciplina garantista degli stranieri minorenni, secondo cui la frequenza della scuola dell'obbligo non giustifica la permanenza del minore straniero in Italia, che può pertanto essere espulso, decidendo su un caso di minorenni di nazionalità albanese per i quali i genitori avevano chiesto l'autorizzazione a rimanere in Italia come previsto dalla legge del 1998.

Il Tribunale per i Minorenni aveva accolto il ricorso, ma il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale aveva presentato reclamo in appello contro il decreto del Tribunale ritenendo che non sussistessero i presupposti legislativi ed ottenendo ragione.

La Suprema Corte ha confermato l'interpretazione della Corte di Appello, ritenendo che i gravi motivi richiesti dalla legge non possano essere ravvisati nel semplice fatto che il minore straniero goda in Italia di migliori opportunità di sviluppo psico - fisico rispetto a quelle di cui gode nel proprio paese di origine, né nella necessità di garantire l'unità del nucleo familiare170.

Ancora, anche la Convenzione europea sui diritti dell’ uomo (come può ben apparire ovvio) e gli organi preposti alla sua applicazione, al di là delle garanzie procedurali che questa pone in tema di principio di legalità171, diritto di difesa e divieto di espulsioni collettive, hanno infatti, evidenziato come una serie di diritti compresi in questa convenzione possono rappresentare limiti alla potestà di espulsione degli stranieri, tra questi: il divieto tortura e comunque di “pene e trattamenti inumani o degradanti” (art. 3 conv.), ed il rispetto dei diritti connessi alla sfera familiare (art. 8)172.

Anche il processo di integrazione comunitaria ha determinato un’ulteriore restringimento dei margini di apprezzamento degli Stati in tema di allontanamento degli stranieri: il riconoscimento della libera circolazione dei cittadini comunitari all’interno dello “spazio comune” ha infatti, determinato importanti conseguenze anche per i cittadini extracomunitari, innanzitutto, attraverso l’estensione del diritto alla libera circolazione a favore dei familiari extracomunitari di un cittadino di uno Stato membro173, ed in secondo luogo, attraverso una specificazione da parte del diritto comunitario di nozioni, quali “ordine pubblico”, “sanità”, e “sicurezza nazionale”.174

Da tempo, la dottrina ha dichiarato che la posizione dello straniero che si trova in Italia è, “almeno in via tendenziale”, di diritto soggettivo nel senso che, in base ai principi costituzionali, gli devono essere riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno e dal comune diritto internazionale pattizio e consuetudinario175.

Tra questi diritti deve essere compreso almeno quello a fronte del quale è impedito il respingimento come lo è l’espulsione, allorché nello stato di riferimento lo straniero possa essere oggetto di persecuzioni religiose, politiche, sessuali o razziali in “senso lato”.176

2.5.2. – Limiti costituzionali alla potestà statuale di allontanamento e relative garanzie dello straniero.

Per quanto concerne invece, le garanzie fissate sul piano costituzionale, la Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto che una serie di forme oggettive e soggettive di tutela dei diritti intervengono a circoscrivere i poteri dello Stato in materia.

La Corte costituzionale alla fine degli anni sessanta177, venne palesemente a stabilire che il divieto al rientro mira a conferire effettività all’espulsione, ma non costituisce tuttavia, un divieto assoluto ed anzi, un divieto del genere cessa nel momento in cui interviene l’autorizzazione della pubblica amministrazione, la cui discrezionalità in materia peraltro, “trova pur sempre un limite nelle esigenze di giustizia, sicchè questa autorizzazione non può essere negata allorquando l’espulso si trovi nella necessità di comparire davanti al giudice per difendersi da un’imputazione”178.

Altro principio in materia si ebbe a seguito della sentenza n. 34 del 1995, in cui la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale, a causa dell’indeterminatezza della fattispecie e quindi, per violazione del diritto di difesa, la norma contenuta all’art. 7 bis, 1° co., della legge n. 39 del 1990, nella parte in cui punisce con la reclusione lo straniero che, espulso, “non si adopera per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente”.

Da ultimo, sempre in materia di garanzia nella disciplina dell’allontanamento dell’immigrato, la Corte costituzionale nelle sentt. 8-16 giugno 2000, n. 198179, ha dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata riguardo l’art. 13, 8° co., del t.u. nella parte in cui non consentirebbe la rimessione in termini del ricorso tardivo contro il provvedimento espulsivo prefettizio, notificato allo straniero omettendo la traduzione in lingua a lui conosciuta, dal momento che lo straniero presente nel territorio nazionale deve godere pienamente ed effettivamente del diritto alla difesa, costituzionalmente previsto all’art. 24 Cost. e che pertanto, gli atti della p.a. destinati ad incidere sulla sua condizione giuridica debbono essere resi concretamente conoscibili, mediante traduzione nella lingua a lui nota ovvero in una delle lingue internazionalmente più diffuse, come prescritto dall’art. 13 del t.u. in merito ai provvedimenti espulsivi180.

La Corte costituzionale si limita a dichiarare, nei dispositivi, l’infondatezza delle questioni sollevate, mentre soltanto la lettura delle motivazioni permette di comprendere che si è in presenza di due sentenze interpretative di rigetto181.

La Corte, infatti, non considera costituzionalmente illegittimo l’art. 13 comma 8 D.lg. 286/1998, solo perché di questo fornisce una lettura diversa da quella prospettata dal giudice a quo e tale da escludere ogni violazione del diritto fondamentale di difesa182.

Il principio affermato in questa decisione inoltre, potrebbe consentire ai giudici di rimettere in termini e dichiarare ammissibili i ricorsi contro espulsioni, allorché i destinatari non abbiano potuto rispettare il termine di legge anche per situazioni analoghe a quella discussa (forza maggiore, colpa non addebitabile all’interessato, caso fortuito etc.), rendendo così meno restrittivo il dettato legislativo fissato dall’art. 13 del t.u. come modificato dal d.legisl. n. 113/1999.183 184

In merito a tale problematica, occorre segnalare in particolare due pronunce della Corte di Cassazione, che testimoniano il cambiamento della giurisprudenza in merito185.

Nella prima186, la Suprema Corte ha dichiarato la nullità del provvedimento di espulsione che, ancorchè accompagnato dalla traduzione in lingua inglese, abbia raggiunto il suo scopo, avendo posto l’intimato in condizione di rivolgersi tempestivamente all’autorità giudiziaria per la tutela dei propri diritti: “poiché la legge (art. 13 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286), richiede che il provvedimento di espulsione sia portato a conoscenza dell’interessato con modalità che ne garantiscano in concreto la conoscibilità, la sua mancata traduzione nella lingua del paese d’origine dello straniero o in altra lingua da lui conosciuta lede il diritto di difesa e tale lesione non è sanata dalla comunicazione del provvedimento con una traduzione in lingua inglese187 senza la preventiva giustificazione dell’impossibilità di rendere compiutamente noto il provvedimento al suo destinatario”188.

Nella seconda189, ha invece disposto, che, in tema di espulsione amministrativa dello straniero, “la ratio dell’art. 13, 7° comma, d.leg. n. 286 del 1998, il quale dispone che il relativo decreto, come ogni altro concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, vanno comunicati all’interessato unitamente alle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua a lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola, è quella di consentire allo straniero la comprensione della misura e l’apprestamento della difesa”.

Ne consegue che la traduzione si configura come condizione di validità del provvedimento, e che la emissione del provvedimento stesso in lingua italiana accompagnato dalla traduzione in lingua inglese presuppone, a pena di nullità del decreto, l’acquisizione della prova della conoscenza da parte dello straniero di tali lingue, ovvero la giustificazione della impossibilità della traduzione in una lingua a lui conosciuta, senza che possa configurarsi la sanatoria della nullità in caso di proposizione del ricorso avverso il provvedimento di cui si tratta190.

Riferita la precedente diversità di orientamento all’interno della Cassazione, si osserva ancora che la decisione in esame si pone in linea con l’interpretazione della Corte costituzionale, secondo cui anche allo straniero che soggiorna in modo irregolare in Italia dev’essere riconosciuto il pieno esercizio del diritto di difesa, quale diritto fondamentale della persona, previsto dalla Costituzione all’art. 24191 (Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”).

2.5.3. – L’evoluzione normativa dell’allontanamento dalla legge Martelli alla legge Bossi-Fini e profili di incostituzionalità della materia.

La normativa sull’allontanamento contenuta nella legge Martelli, nonostante le profonde innovazioni che apportò alla materia, risultò nel complesso la parte meno felice di questa disciplina.

Una serie di elementi confermano questo rilievo, tra cui: lo scarso coordinamento tra i diversi soggetti intervenienti nel procedimento di espulsione.

Le modifiche apportate ai meccanismi di “polizia degli stranieri” successivamente alla l. n. 39 del 1990 hanno avuto come obbiettivo primario quello di conferire maggiore efficacia alle misure di espulsione192.

Nel quadro dei decreti emanati alla metà degli anni novanta, questo fine venne prevalentemente perseguito attribuendo al giudice le principali competenze in materia e disponendo l’esecuzione dell’espulsione mediante accompagnamento immediato alla frontiera da parte dell’autorità di p.s.

La nuova disciplina delle espulsioni contenuta in questi decreti fu oggetto di diverse ordinanze di rinvio innanzi alla Corte costituzionale per vari profili di legittimità, in particolare riguardo la c.d. espulsione “a richiesta di parte” (art. 7, co. 12 ter).

La disciplina ha da sempre manifestato un atteggiamento diretto ad ottenere una maggiore effettività delle misure di allontanamento innanzitutto, attraverso un ampio utilizzo della misura del respingimento ed un aumento delle ipotesi in cui l’espulsione deve eseguirsi mediante accompagnamento coattivo alla frontiera: oltre all’ipotesi di espulsione ministeriale, infatti, vengono eseguite mediante accompagnamento diverse fattispecie di espulsione prefettizia (art. 13, co. 4° e 5°)193.

Tale orientamento è stato confermato e “rivisitato”, dall’attuale normativa.

In base al t.u., gli stranieri presenti sul territorio italiano possono essere espulsi con decreto motivato dal Ministero dell’interno, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 13, co. 1° e 3°).

Essi possono essere, altresì, espulsi con decreto motivato del prefetto, qualora si siano sottratti ai controlli alla frontiera e non siano stati respinti oppure non abbiano chiesto il rilascio o il rinnovo nel termine previsto del permesso di soggiorno oppure questo sia stato revocato o annullato (art. 13, co. 2° e 3°)194.

L’espulsione comporta il divieto di ingresso in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno per un periodo di cinque anni, ora portato a dieci anni (art. 12, co. 14, l. 30 luglio 2002, n. 189).

In più, per effetto della nuova legge, in merito si è aggiunto che in caso di trasgressione lo straniero è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera (art. 12, co. 13, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Nel nuovo art. 12, co. 13 bis si prevede inoltre, che in caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La stessa pena si applica allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale.

Per i reati di cui ai commi 13 e 13 bis è sempre consentito l’arresto in flagranza dell’autore del fatto e, nell’ipotesi di cui al comma 13 bis, è consentito il fermo.

In ogni caso, contro l’autore del fatto si procede con rito direttissimo (art. 12, co. 13 ter, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Il nuovo comma 14 prevede che salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni.

Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia (art. 12, co. 14, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 13° e 14° del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), promosso con ordinanza dal Tribunale di Padova195, il rimettente osservava che il regime normativo contemplato dalle norme impugnate, nel prevedere che lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno (co. 13°), disponeva che detto divieto operasse per un periodo di cinque anni, salvo che il pretore o il T.A.R., con il provvedimento che decide sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione ne determinino diversamente la durata per un periodo non inferiore a tre anni, sulla base di motivi legittimi addotti dall’interessato e tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel territorio dello Stato.

Detto ciò, ad avviso del giudice a quo, questa previsione, riconoscendo il potere del giudice di rideterminare la durata del divieto di reingresso dello straniero espulso solo nel caso in cui lo stesso giudice decida sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione, ed escludendolo in caso di impugnazione del solo provvedimento relativo alla entità della durata del divieto di cui si tratta, sarebbe innanzitutto in contrasto con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto lederebbe il diritto di difesa ed escluderebbe la tutela giurisdizionale contro l’atto amministrativo prefettizio che determina in cinque anni la durata del divieto di reingresso.

Tuttavia, la Corte costituzionale196 ebbe a dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità propostale.197

Il decreto di espulsione contiene l’intimazione a lasciare l’Italia entro quindici giorni.

Nell’ipotesi in cui lo straniero si trattenga in territorio italiano oltre quel termine o vi sia il concreto pericolo che lo faccia o sia espulso per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, egli viene accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, co. 4°, 5°, 6°).

Per quanto concerne le modifiche al comma 4 e al comma 5, si è stabilito che l’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5198.

Inoltre, nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l’espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni.

Il questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento (art. 12, co. 4, 5, l. 30 luglio 2002, n. 189).

In materia, numerose sono state le pronunce della Corte costituzionale, tutte orientate a non creare “horror vacui”, in cui difficilmente il legislatore sarebbe potuto intervenire in maniera celere.

A tal proposito, nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 4°, 5° e 6°, e dell’art. 14, co. 4° e 5°, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), rispetto agli artt. 13 e 14 Cost., promossi con ordinanze dal Tribunale di Milano199, in composizione monocratica - nella parte in cui non prevedono che la mancata convalida del trattenimento, in caso di insussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 del d. lgs. n. 286 del 1998, elida gli effetti del provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e nella parte in cui non prevedono che tale provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica sia comunicato all’autorità giudiziaria per essere assoggettato a convalida entro quarantotto ore da parte di tale autorità200 - in riferimento all’art. 13, 2° e 3° comma, cost., la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale201.

Nonostante, la pronuncia emessa dalla Corte costituzionale, di fronte alle censure di illegittimità costituzionale sollevate dai giudici del Tribunale, riguardo al d.lg. 286/98, si osserva, tuttavia, come la Corte abbia invece accolto in larga misura le posizioni espresse dai giudici a quibus.

Sono quattro i nodi decisivi su cui prestare attenzione.

Per prima, l’affermazione da parte della Corte dell’impossibilità di attenuare, rispetto agli stranieri, il regime dell’art. 13 Cost., in considerazione della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti.

Il secondo, è quello in base al quale si sostiene che l’accompagnamento coattivo alla frontiera è inerente all’art. 13 Cost., dal momento che presenta il carattere di immediata coercizione.

La Corte, dunque, pare distinguere tra accompagnamento coattivo e provvedimento di espulsione.

Il terzo punto, decisivo nell’articolazione del pensiero della Corte, è l’eliminazione di ogni ambiguità in ordine alla misura del trattenimento presso i centri, chiarendo che rientra anch’esso nella disciplina dell’art. 13 Cost.202

Da ultimo si rileva, che la Corte sostiene il carattere sostanziale del controllo giurisdizionale che non deve pertanto essere un riscontro meramente esteriore203.

Sulla base delle riflessioni svolte, si ritiene che la Corte avrebbe potuto emettere una pronuncia additiva di accoglimento in luogo di quella interpretativa di rigetto adottata, al fine di rendere, nel caso di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera, comunque obbligatoria la comunicazione del relativo provvedimento all’autorità giudiziaria e la convalida da parte di questa, nei termini imposti dall’art. 13 Cost.204

La Corte, contestualmente, nello specifico, dichiarò manifestamente inammissibile205, in quanto irrilevante per avere il giudice a quo consumato la sua potestas iudicandi (nella specie, disponendo l’immediato rilascio della persona trattenuta), la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, 3°, 4° e 5° comma, d. leg. 25 luglio 1998 n. 286, nella parte in cui stabilisce che alla convalida del provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza ed assistenza temporaneo dello straniero si applichi la disciplina degli artt. 737 seg. c.p.c., ritenuta inidonea ad assicurare la pienezza del contraddittorio e dell’esplicazione delle difese, preclude al giudice ogni accertamento in ordine alla sussistenza delle condizioni che rendono impossibile l’accompagnamento immediato alla frontiera ed alla fondatezza delle ragioni allegate dallo straniero circa la ricorrenza di un’ipotesi di divieto di espulsione, non prevede l’obbligo di avviso al difensore contestualmente alla comunicazione al giudice dell’inizio del trattenimento, non prevede un limite massimo per il cumulo di vari periodi successivi di trattenimento fondato sul medesimo decreto di espulsione e non consente al giudice di stabilire il ragionevole termine massimo del trattenimento, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 13, 24 e 111 cost.206

In un’altra pronuncia, la Corte costituzionale207, nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 8° e 9°, del decreto legislativo 25 luglio 1998, (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero”), come modificato dall’art. 3 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113, promossi con due ordinanze emesse dal Tribunale di Bari, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 10, 24, 41 e 113 della Costituzione, dichiarò la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, nelle parti in cui fissano i termini rispettivamente per la proposizione del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione degli stranieri e per la conclusione del relativo procedimento, in quanto:

a) il termine di dieci giorni stabilito per la definizione del giudizio di opposizione al decreto prefettizio di espulsione non è incongruo, posto che la necessità di una sollecita definizione del procedimento d’impugnazione risponde all’interesse generale di un efficace controllo dell’immigrazione da paesi extracomunitari;

b) l’espulsione degli stranieri, salvo il caso di cui al 1° comma dell’art. 13 impugnato, è, nell’ambito di tale disposizione, finalizzata ad assicurare una razionale gestione dei flussi di immigrazione nel nostro Paese, sicchè non può considerarsi irragionevole l’equiparazione operata dal legislatore, con riguardo al termine di cinque giorni per la proposizione del ricorso, tra stranieri privi di permesso di soggiorno e stranieri il cui permesso di soggiorno sia scaduto; e d’altra parte, tale termine non appare incongruo considerando che normalmente non vi è alcuna necessità di indagini particolari208.

Interessante sotto più profili, è uno stralcio dell’intera questione dove, in forza di un’espulsione amministrativa, ad opera del prefetto, di quattro cittadini extracomunitari, era seguito un’opposizione al decreto stesso, dinanzi al Tribunale di Bari, allegando che il provvedimento impugnato era stato emesso in violazione del divieto di espulsione stabilito dall’art. 19 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, essendo gli espulsi di etnia “Rom” e, quindi, se rimpatriati, sarebbero stati sottoposti a persecuzioni nel paese di provenienza: la Jugoslavia.

Altre due reclamanti sostenevano, inoltre, di non poter essere espulse, trovandosi in stato di gravidanza.

Il Tribunale adito, reputando che né l’appartenenza etnica né lo stato di gravidanza potessero essere accertati nel breve termine di dieci giorni fissato dalla legge per la conclusione del procedimento, decise di sollevare la questione dinanzi alla Corte costituzionale, con l’esito che sappiamo.

Da ultimo, nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, co. 10°, e 13, co. 8°, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal T.A.R. per la Sicilia – sezione staccata di Catania – la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale209.

Ora la Corte dovrà pronunciarsi sulla legittimità dell'articolo forse più contestato, della legge Bossi-Fini che, prevede l'arresto obbligatorio in flagranza dello straniero che non abbia obbedito all'ordine di allontanamento da parte del questore (articolo 14 comma 5 quinquies del decreto legislativo 286 del 1998).

2.5.4. – Privilegiate rispetto al recente passato le funzioni di ordine pubblico e di sicurezza: “la legge Bossi-Fini non solidaristica ma repressiva” (Sentenza Corte di Cassazione n. 3162/2003).

La legge Bossi-Fini ha capovolto la visione solidaristica della precedente legge Turco-Napolitano, passando ad una visione "esclusivamente repressiva".

Infatti, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione - rigettando il ricorso di un albanese accusato di aver favorito l'ingresso di una giovane connazionale per poi indurla alla prostituzione - ha esaminato le differenze tra la normativa del 1998 in tema di immigrazione e quella attuale, introdotta con la legge n. 189 del 2002 (la cosiddetta “Bossi–Fini”).

La Suprema Corte ha rilevato, in particolare, che le funzioni di ordine pubblico e di sicurezza sono divenute “il tema centrale” della nuova legge, che ha fornito “una lettura unilaterale della normativa europea”; nella legge del 1998 (la “Turco-Napolitano”), invece, venivano predisposte misure di politica attiva “senza perdere di vista il legame esistente tra immigrazione, povertà o indigenza e cosiddetto lavoro nero ed i principi solidaristici della nostra Costituzione”210. (31 gennaio 2003)

In via generale, può affermarsi che la legge n. 40 del 1998 aveva ulteriormente marcato alcuni caratteri peculiari rilevabili già nella legge n. 943 del 1986, sicché le finalità di ordine pubblico, di sicurezza e di razionalizzazione, di controllo e di regolamentazione della presenza e dell'attività dei c.d. extracomunitari venivano filtrate attraverso i principi di pari opportunità e trattamento, di regolazione del mercato del lavoro al di fuori degli schemi della pubblica sicurezza, di generale impegno degli Stati aderenti alle Convenzioni internazionali e comunitarie di cui è attuazione per combattere le migrazioni clandestine, l'occupazione illegale ed i responsabili dei traffici mediante la predisposizione di misure di politica attiva ed attraverso strumenti sanzionatori di vario tipo.

Pertanto, l'anticipazione di tutela dell'ordine pubblico e della pubblica economia, collegato ad un fenomeno di illegalità di massa e di grandi dimensioni, non perdeva neppure di vista il legame esistente fra immigrazione, povertà o indigenza e c.d. lavoro nero ed i principi solidaristici espressi nella nostra Costituzione, ma, già nella legge n. 40 del 1998, assumeva un ruolo più marcato sotto alcuni aspetti, la funzione di sicurezza ed ordine pubblico, divenuto il tema centrale con la legge n. 189 del 2002 con un'unilaterale lettura della normativa europea.

La necessità di una regolamentazione tendenzialmente definitiva di un fenomeno quale quello dell'immigrazione destinato a perdurare nel tempo trovava la sua attuazione in tutta l'impostazione della normativa, in cui, accanto ad una definizione della nozione di "straniero" ed alla sua considerazione quale soggetto titolare di diritti e di doveri, esisteva una serie di disposizioni tese ad agevolarne l'integrazione nel contesto sociale in cui vive, ad assicurargli condizioni di vita civile ed un'adeguata assistenza non solo sanitaria, regolandone i flussi e la permanenza in una visione accentuata di legificazione rispetto a quella precedente affidata maggiormente al settore amministrativo.

Il legislatore del 2002 continua a perseguire, inasprendo le pene, il fenomeno della agevolazione e dello sfruttamento della migrazione clandestina, rendendo penalmente rilevanti simili attività parassitarie e lucrative.

La legge n. 40 del 1998, in attuazione di normative comunitarie (Accordo di Schengen, la cui ratifica è stata autorizzata con legge 30 novembre 1993 n. 388, il trattato di Amsterdam e le proposte del Consiglio dell'U.E.) forniva una risposta articolata e globale al complesso fenomeno per porre le basi di una regolamentazione e di una civile convivenza con un flusso migratorio ormai costante, ma anch'essa puniva con l'art. 12 primo comma d.l.vo n. 286 del 1998 (art. 10 l. n. 40 del 1998) l'ingresso clandestino, ulteriormente chiarendo, sulla base dell'esegesi giurisprudenziale già consolidatasi, la natura di circostanze aggravanti di alcuni comportamenti, pure topograficamente distinti dalla fattispecie base, perché contemplati nel comma terzo con la individuazione di altre condotte.

L'impianto argomentativo ed i connotati della legge n. 40 del 1998 ed anche di quella del 2002 sul punto su evidenziati fanno ritenere non condivisibile la esegesi avanzata dal ricorrente, secondo cui il delitto in esame riguarderebbero soltanto gli "scafisti" o coloro che organizzano la tratta e non chi pone in essere una serie di comportamenti: dal pagamento del costo del viaggio alla giovane vittima, all'inganno circa le ragioni del trasferimento in Italia ed allo sfruttamento della prostituzione, tesa a favorire l'ingresso clandestino di un altro soggetto con la finalità dell'induzione, del favoreggiamento e dello sfruttamento della prostituzione, esistente sin dall'inizio in chi si accolla i costi del viaggio.

Tutta la normativa del T.U., quindi, dimostra come non possa essere accolta un'interpretazione restrittiva dell'art. 12, in quanto il tenore letterale e logico della norma è nel senso di punire anche chi, pur essendo anch'egli clandestino, compia attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del citato d.l.vo.

Peraltro, se la finalità del reclutamento di persone da destinare alla prostituzione costituisce un'aggravante dell'agevolazione dell'ingresso irregolare per il disfavore, anche in relazione all'ordine pubblico, con cui è considerato il meretricio e soprattutto il sistema repressivo concernente la prostituzione, collegata, a volte, ad organizzazioni criminali internazionali, non possono escludersi altre ipotesi di ingressi irregolari, che non configurino le fattispecie aggravate contemplate dal terzo comma dell'art. 12 T.U., sicché detta regolamentazione non assume rilievo.

Pertanto, nella fattispecie in esame, non si pongono le problematiche diverse e più complesse relative alla possibilità di configurare il reato di favoreggiamento dell'ingresso irregolare di stranieri nel territorio dello Stato anche nelle ipotesi di ingresso in violazione delle disposizioni del T.U., nelle quali vanno incluse quelle relative ai requisiti sostanziali del visto e del permesso di soggiorno, sempre che le predette inosservanze avvengano in epoca antecedente o concomitante all'ingresso.

Infatti, le decisioni dei giudici di merito evidenziano i connotati propri del favoreggiamento dell'ingresso clandestino, i quali non richiedono l'esistenza di una violenza fisica o psichica, ma solo il compimento di atti che, in qualsiasi modo, agevolino l'ingresso irregolare, potendo tale fatto essere commesso anche da chi trovasi in posizione di clandestino.

Nella fattispecie “il viaggio era stato organizzato ed intrapreso solo grazie” al pagamento effettuato dal ricorrente, “il quale aveva già conoscenze in Italia” tali da consentirgli una prima accoglienza ed un aiuto nella ricerca di una sistemazione e, soprattutto, aveva già previsto di sfruttare la prostituzione della giovane vittima, tratta in inganno da uno studiato atteggiamento di amorevole interessamento senza che esistessero effettive ragioni di un diverso motivo per detta liberalità e per tale organizzazione.

2.5.5. - Disposizioni contro le immigrazioni clandestine.

Severe sanzioni penali sono previste per coloro che favoriscano l’ingresso o la permanenza degli stranieri in Italia in violazione della normativa vigente.

In particolare, il t.u. stabilisce la reclusione fino a tre anni e la multa fino a quindici mila euro, per coloro che favoriscano l’ingresso illegale dello straniero (art. 12 co. 1°)211.

E’ disposta, invece, la reclusione fino a quattro anni e la multa fino a quindici mila euro, per coloro che, allo scopo di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, ne favoriscano la permanenza illegale (art. 12 co. 5°).

Una deroga alle suddette disposizioni è prevista, però, per quanti prestino soccorso o assistenza umanitaria agli stranieri illegalmente presenti in territorio italiano, che si trovino in condizioni di bisogno.

Le attività di soccorso e di assistenza umanitaria non costituiscono reato (art. 12 co. 2°).

Allo stesso articolo 12, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, sono apportate modifiche, contenute nell’articolo 11 del testo della legge 30 luglio 2002, n. 189 nel senso che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del suddetto decreto compie atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona.

In tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per “attività dirette a favorire (ergo procurare) l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione della legge” non devono intendersi soltanto quelle condotte specificamente mirate a consentire l’arrivo e lo sbarco degli stranieri, ma anche quelle, immediatamente successive a tale ingresso, intese a garantire la buona riuscita dell’operazione, la sottrazione ai controlli della polizia e l’avvio dei clandestini verso località lontane dallo sbarco e, in genere, tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione con le attività direttamente o in senso stretto collegabili all’ingresso dei clandestini.212

Sempre in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina213, e con riguardo alla confisca dei mezzi adoperati per commettere il detto reato, prevista dall’art. 12, 4° comma del t.u., l’intervenuta eliminazione, dal testo di tale articolo, per effetto dell’art. 12, 1° comma, d.leg. n. 113/1999214, dell’espressa esclusione della confisca nel caso di mezzi appartenenti a “persona estranea al reato” non implica che l’estraneità al reato sia sempre e comunque irrilevante rispetto all’obbligatorietà della misura ma, in linea con orientamenti già espressi in passato dalla Corte costituzionale relativamente al caso della confisca obbligatoria importa intendersi non solo come mancata partecipazione concorsuale al medesimo, in qualsiasi forma, ma anche come assenza di qualsivoglia collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione dell’illecito – si accompagni anche la dimostrata assenza di ogni profilo di colpa, per avere l’estraneo esercitato ogni possibile prudenza, diligenza e vigilanza al fine di impedire che il mezzo a lui appartenente fosse adoperato per fini vietati dalla legge penale215.

Inoltre, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre profitto anche indiretto, compie atti diretti a procurare l’ingresso di taluno nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico, ovvero a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona.

La stessa pena si applica quando il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.

Le pene, di cui al comma 3, sono aumentate se:

- il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

- per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità;

- per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante.

Se i fatti sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni e la multa di 25.000 euro per ogni persona.

Da ultimo, a conferma dell’indirizzo repressivo contro chi trae indebito vantaggio dagli ingressi illegali, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno previsto che trattenere clandestini introdotti illegalmente in Italia costituisce reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, e il reato non è escluso dal fatto che si tratti di ingressi illegali216.

Nella fattispecie il caso riguardava una organizzazione di cinesi che organizzava ingressi clandestini nel nostro paese e poi tratteneva i clandestini fino a quando non fosse stato pagato un prezzo per il loro rilascio.

Secondo la Suprema Corte c'è reato di sequestro di persona a scopo di estorsione quando si privi qualcuno della libertà personale per ottenere in cambio dei vantaggi, anche se questi consistano nell'adempimento di una precedente obbligazione derivante da un rapporto illecito intercorso tra le parti.

Affinché sussista l’aggravante prevista dal 3° comma del detto art. 12 con riferimento alla finalità di sfruttamento della prostituzione di uomini o donne, non occorre che si sia in presenza di condotte violente o di un rigoroso vincolo di subordinazione – requisito non necessario perché si configuri il reato di sfruttamento previsto dall’art. 3 l. 20 febbraio 1958 n. 75 – essendo sufficiente che un singolo o una organizzazione agevolino l’ingresso di persone extracomunitarie al fine di sfruttarne, eventualmente anche col loro consenso, la prostituzione217.

Secondo la Cassazione assume condotta illecita anche il contributo preventivamente offerto, diretto a favorire l’ingresso clandestino di stranieri nel territorio dello Stato.

Una fattispecie nella quale il ricorrente deduceva la insussistenza del reato essendosi lo stesso limitato a trasportare i clandestini dopo che essi avevano già varcato il confine.

Nell’enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la doglianza, in quanto l’imputato, prima ancora di prendere in consegna i clandestini, si era accordato con il coimputato per svolgere l’attività richiesta218.

Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite sino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.

La nave italiana in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o nella zona contigua, una nave, di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla, sottoporla ad ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato (art. 11, co., 9 bis, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Le navi della Marina militare, ferme restando le competenze istituzionali in materia di difesa nazionale, possono essere utilizzate per concorrere alle attività di cui sopra.

I poteri possono essere esercitati al di fuori delle acque territoriali, oltre che da parte delle navi della Marina militare, anche da parte delle navi in servizio di polizia, nei limiti consentiti dalla legge, dal diritto internazionale o da accordi bilaterali o multilaterali, se la nave batte la bandiera nazionale o anche quella di altro Stato, ovvero si tratti di una nave senza bandiera o con bandiera di convenienza (art. 11, co., 9 quater, l. 30 luglio 2002, n. 189).

La già eccessiva previsione, diviene ancor più difficilmente giustificabile ove si consideri che l’intervento può avvenire non solo in acque territoriali, ma anche nella "zona contigua" (quante miglia?) e, addirittura, "al di fuori delle acque territoriali" (sia pure nei limiti consentiti dalla legge e dal diritto internazionale, che non sembrano, in verità, consentire quella ampiezza di libertà di intervento che il Governo italiano auspica).

Infatti, a detta di una parte della dottrina, le tragedie ripetutamente verificatesi per effetto di collisione tra navi e “carrette del mare” cariche di disperati dovevano consigliare maggiore prudenza nel concedere licenza di azione ai mezzi militari219.

Le modalità di intervento delle navi della Marina militare nonché quelle di raccordo con le attività svolte dalle altre unità navali in servizio di polizia sono definite con decreto interministeriale dei Ministri dell’interno, della difesa, dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti (art. 11, co., 9 quinquies, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Le disposizioni di cui ai commi 9 bis e 9 quater si applicano, in quanto compatibili, anche per i controlli concernenti il traffico aereo.

2.5.6. – Considerazioni conclusive: effettività della tutela giurisdizionale e valutazione di pericolosità dello straniero nell’allontanamento.

La nuova disciplina ha inoltre, disposto la devoluzione alla giurisdizione ordinaria dei ricorsi contro le diverse fattispecie di espulsione amministrativa220.

Resiste peraltro, la competenza del giudice amministrativo contro tutti i provvedimenti in materia di soggiorno (tranne per provvedimenti che investono il diritto all’unità familiare, per i quali, sulla base dell’art. 30, 6° co., la competenza spetta al giudice ordinario del luogo di residenza dell’interessato) ed avverso l’espulsione ministeriale (in questo caso del solo T.A.R. del Lazio).

Non sono previste invece ipotesi di impugnazione contro i respingimenti.

Riguardo la competenza del giudice ordinario in materia di espulsioni, sembra comunque determinarsi nel complesso un restringimento delle concrete possibilità di accesso al giudice e dell’estensione della relativa tutela, tali da suscitare più di un interrogativo riguardo l’efficacia di una tutela giurisdizionale così configurata e riguardo la proporzionalità tra l’esigenza di effettività delle espulsioni e la ristretta configurazione delle possibilità di tutela offerta221: basti pensare alla brevità del termine entro cui va proposto il ricorso ed entro cui deve concludersi il giudizio ed all’impossibilità di sospensione cautelare dal provvedimento da parte del giudice222.

La Corte costituzionale su tali aspetti si è di recente pronunciata con la sentenza n. 161 del 2000223, la quale, con diverse motivazioni, ha respinto le eccezioni di incostituzionalità sollevate ed ha fatto salva la disciplina vigente affermando, in sostanza, che, se “la sospensione costituisce una forma di tutela cautelare anticipatoria dell’esito della decisione, la necessità di essa viene meno … quando sia la stessa legge ad imporre che la pronuncia definitiva intervenga entro un termine breve dalla formulazione della domanda”224.

Riguardo la brevità dei termini per il ricorso, la Corte ha avallato le scelte del legislatore a riguardo225, sostenendo che “le determinazioni circa la fissazione dei termini processuali rientrano nella piena discrezionalità del legislatore, con il solo limite della ragionevolezza” e che la razionalità o meno di un termine non può stabilirsi in astratto, “fissando ‘una soglia minima generale’, valida per tutti i procedimenti contenziosi, ma deve essere valutata caso per caso, considerando le speciali caratteristiche di ogni singolo procedimento”226.

L’effettività della tutela giurisdizionale ha subito un’ulteriore compressione con l’emanazione del d.legisl. n. 113 del 1999, recante disposizioni correttive al t.u.227.

Questo decreto ha infatti, spostato la competenza territoriale dal giudice del luogo di dimora dell’interessato al giudice del luogo ove ha sede l’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, rendendo così ancora più difficoltoso il ricorso228.

Inoltre, si è eliminata la possibilità di proporre reclamo avverso l’ordinanza del giudice emessa su ricorso dell’interessato prevedendo il solo ricorso in Cassazione, senza permettere cioè un riesame nel merito del provvedimento229.

Tuttavia, da ultimo, rilevante in merito, è Ia giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: stabilisce che i cittadini extracomunitari raggiunti da decreto di espulsione hanno diritto di difendersi davanti a un tribunale230.

Se è vero che, come affermato dalla Corte costituzionale231, il doppio grado nel giudizio ordinario non gode di copertura costituzionale, è anche difficile comprenderne l’esclusione nel caso di una misura profondamente incidente sulla sfera giuridica del destinatario, tanto più che invece, in caso di ricorso al foro amministrativo, il doppio grado sarebbe coperto da garanzia costituzionale232.

Alla luce della nuova legge 30 luglio 2002, n. 189, al testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, all’articolo 4, comma 3, l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: "Non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite".

La norma non distingue né tra le diverse tipologie d’ingresso, né in relazione alla gravità e/o al numero dei reati commessi, introducendo così, un criterio di esclusione automatica che opera anche in casi in cui il rilascio del visto deriva dal riconoscimento di un diritto di carattere fondamentale (ricongiungimenti familiari)233.

In definitiva, si è passati da una norma in cui mancava una qualsiasi indicazione circa i parametri sulla base dei quali valutare tale “pericolosità” degli stranieri che aspirano ad entrare in Italia, ad una invece che si sforza di soddisfare tale intento.

Ma mentre sussiste un seppur limitato quadro di garanzie rispetto l’espulsione, carente risulta invece la disciplina della revoca o del mancato rinnovo del permesso di soggiorno, in caso di perdita dei requisiti per l’ingresso (art. 5, 5° co.).

Lo straniero extracomunitario vive quindi, un costante giudizio circa la sua pericolosità, svincolato da qualsiasi parametro oggettivo legislativamente fissato.

La giurisprudenza costituzionale in tema di stranieri sembra, peraltro non aver conferito un’importanza decisiva alla presenza o meno di riferimenti alla cittadinanza nelle varie disposizioni costituzionali in tema di libertà preferendo concentrarsi piuttosto sulla natura, “fondamentale” o meno, del diritto che nei singoli casi veniva in discussione, ma anche in questo caso senza escludere ragionevoli diversificazioni di trattamento tra cittadini e non-cittadini.

Di contro, quindi, mentre la verifica della pericolosità “post delictum” è riservata al giudice, e quella “ante delictum” è riservata al prefetto, il potere di operare una valutazione di pericolosità per “segnalazione Schengen”, in sede di decisione circa la revoca o il rinnovo del permesso di soggiorno, è rimesso al questore con una discrezionalità decisamente più estesa di quanto non sia quella di cui godono giudice o prefetto nel disporre l’espulsione di loro competenza234.

Da ultimo, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che, l'aver riportato condanne penali per vari reati non è sufficiente per espellere dall'Italia un immigrato extracomunitario; principio in base al quale un extracomunitario non può essere allontanato dal nostro Paese sulla base della “presunta pericolosità”, restringendo la possibilità di facili espulsioni nei confronti degli immigrati235.

La Suprema Corte, decidendo il caso di un cittadino marocchino raggiunto da provvedimento di espulsione del Prefetto, perchè ritenuto persona pericolosa per la sicurezza o la moralità pubblica, in quanto indagato per vari reati (contrabbando, atti osceni, oltraggio), e per alcuni di questi reati anche condannato , ha sottolineato che anche l'immigrato che nel nostro Paese ha avuto problemi con la legge può riscattarsi, in quanto, nel valutare la “pericolosità sociale'”, ci si deve attenere rigorosamente alla “abitualità e all'attualità delle condotte contestate”.

2.6 – IL RESPINGIMENTO.

L’art. 10 del t.u. prevede due procedure di respingimento: la prima (1° co.) è di competenza della polizia di frontiera e può verificarsi nel momento in cui lo straniero tenti di entrare in Italia, ma viene intercettato alla frontiera; la seconda ipotesi (2° co.) richiede l’intervento del questore nel caso lo straniero, sottraendosi ai controlli di frontiera, venga fermato all’ingresso o subito dopo (lett. a), oppure nel caso questo sia stato temporaneamente ammesso nel territorio per ottenere un primo soccorso (lett. b).

La nuova normativa invece nulla dispone circa lo svolgimento dei controlli, dovendo questi svolgersi, in base all’art. 6 della Convenzione di Schengen, “in base a principi uniformi, nel quadro delle competenze nazionali e della legislazione nazionale” con forme stabilite dal Comitato esecutivo, finalizzate non solo alla verifica delle “condizioni di ingresso, soggiorno di lavoro e di uscita”, ma anche alla “individuazione e prevenzione di minacce per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico delle parti contraenti”.

L’automaticità che sembra ispirare la norma e, per quanto concerne il respingimento adottato dalla polizia di frontiera, l’assenza dell’obbligo di motivazione del provvedimento, sostituita dalla semplice registrazione da parte dell’autorità di p.s. , a detta della dottrina di maggioranza, sembrano nel complesso concedere ampi spazi di azione al questore e possono inoltre determinare una sostanziale compressione delle garanzie da riconoscersi a riguardo agli stranieri a fronte dell’allargamento del campo d’azione del respingimento.

La misura in questione tende a risolversi dunque non nell’adozione di un provvedimento tipico, ma in un mero comportamento della polizia di frontiera, cui si attribuisce il potere di usare la forza per impedire l’ingresso degli stranieri sprovvisti dei necessari requisiti, e spesso di stranieri di fatto già entrati in territorio nazionale.

Non possono comunque venire respinti i minori stranieri che devono venire adottati o dati in affidamento (l. n. 184 del 1983)236 ed inoltre, non può esporsi in alcun modo l’allontanamento (respinto o espulso) al rischio di persecuzioni per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali.

L’attuale disciplina del respingimento rischia tuttavia, di pregiudicare seriamente il rispetto di questo limite, in quanto lo straniero può vedersi preclusa la possibilità di chiedere asilo, rimanendo questo diritto schiacciato dalle esigenze di controllo dei flussi migratori.

I decreti della primavera del 1997, in particolare il d.l. 20 marzo 1997, n. 60, convertito dalla l. 20 marzo 1997, n. 128, sono un esempio attuale di gestione emergenziale di un eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari237.

Tale decreto disponeva una disciplina speciale del soggiorno e dell’allontanamento degli stranieri238, rappresentando in questo modo una normativa ulteriore rispetto a quella disposta in via generale dalla l. n. 39/1990, ma anche a quel “permesso per ragioni umanitarie”, previsto a partire dal decreto di programmazione dei flussi di ingresso del 1993, in caso di situazioni di emergenza, di afflussi eccezionali di sfollati temporanei o di profughi, ed ora convogliato nelle “misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali” contenute nell’art. 20 del t.u.239

Da ultimo, in materia di legislazione d’emergenza a fronte di un eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari, si è deciso di “correre ai ripari” con una “Dichiarazione dello stato di emergenza”.240

Il provvedimento deciso nella riunione del Consiglio dei ministri del 20 marzo 2002, in seguito allo sbarco di un migliaio di clandestini sulle coste siciliane, che aveva creato una situazione particolarmente critica, segnatamente sotto gli aspetti dell’ordine pubblico, dell’accoglienza e della temporanea permanenza.

Il decreto, che è stato pubblicato in tempi record sulla Gazzetta ufficiale n. 68 del 21 marzo, conferisce al Presidente del Consiglio il potere di intervenire sull’emergenza con ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, pur nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

Lo stato d’emergenza rimarrà fino al 31 dicembre del 2002.

Il Presidente del Consiglio può anche, come in effetti è avvenuto, nominare un commissario delegato straordinario per il coordinamento delle iniziative di contrasto alla clandestinità degli stranieri irregolari.

In un quadro più ampio, notevole rilevanza in merito, assume la riforma al testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, come previsto dall’art. 10, della legge di riforma 30 luglio 2002, n. 189.

Infatti, all’articolo 11, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
“1 bis. Il Ministro dell'interno, sentito, ove necessario, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, emana le misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana.

Il Ministro dell'interno promuove altresì, apposite misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull'immigrazione e le autorità europee competenti in materia di controlli sull'immigrazione ai sensi dell'Accordo di Schengen, ratificato ai sensi della legge 30 settembre 1993, n. 388”.

In materia di regolarizzazione, l’art. 12, 14° comma, d.l. 17 maggio 1996 n. 269 (disposizione reiterata e non convertita ma i cui effetti sono stati fatti salvi dall’art. 1 l. 9 dicembre 1996 n. 617), nell’escludere dalla regolarizzazione gli stranieri nei confronti dei quali sia stata pronunciata condanna anche non definitiva per uno dei delitti previsti dall’art. 380 c.p.p., va interpretato nel senso che la predetta norma penale viene presa in considerazione ai fini del rigetto della domanda, per la semplice fattispecie criminosa elencata241.

2.7. – LE ESPULSIONI.

2.7.1. – Le espulsioni “penali”: espulsione “automatica”. Origine e natura giuridica.

L’attuale normativa ha introdotto la separazione tra fattispecie giurisdizionale e fattispecie amministrativa dell’espulsione, riconoscendo la competenza dell’autorità giudiziaria anche per condanne concernenti reati minori.

L’espulsione in quanto misura di sicurezza viene comminata allo straniero già condannato per un reato per il quale è previsto l’obbligo o la facoltà di arresto in flagranza (artt: 380 e 381 c.p.p.).

Tale misura viene disposta dal giudice in sede di condanna ed eseguita dopo che la pena è stata scontata o si è comunque estinta oppure, in caso di pena non detentiva, dopo che la sentenza sia divenuta irrevocabile242.

Mentre la l. n. 39/1990 prevedeva questa espulsione per i delitti previsti dal primo e secondo comma dell’art. 380 c.p.p., la nuova disciplina, oltre ai casi previsti dal codice penale (artt. 235 e 312), riprende il contenuto dei decreti legge degli anni 1995/96 i quali, pur tenendo in conto l’orientamento della Corte costituzionale243 riguardante la verifica dell’attualità della pericolosità sociale come condizione dell’espulsione stessa, non precisavano che la condanna dovesse essere passata in giudicato; anzi, estendevano le ipotesi di espulsione ai delitti meno gravi previsti dal successivo art. 381.

Alle critiche mosse dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla legge Martelli ed alle sue modifiche per via di decreti legge, di determinare una sovrapposizione ambigua tra le figure dell’espulsione penale ed amministrativa, la Corte244 ha risposto, “ispirandosi” anche ad una decisione della Cassazione245, che il primo comma dell’art. 7 prevederebbe esclusivamente ipotesi di espulsione-misure di sicurezza, mentre i commi successivi disciplinerebbero la fattispecie dell’espulsione-misura di polizia, determinando così la legge implicitamente un “limite invalicabile” tra le due tipologie e ponendo in questo modo un freno alla prassi amministrativa di comminare l’espulsione-misura di polizia di fronte a provvedimenti di revoca dell’espulsione-misura di sicurezza246.

La Corte costituzionale247, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’espulsione automatica dello straniero condannato per taluni reati in materia di stupefacenti, in quanto contrastante con il principio di uguaglianza di trattamento, art. 3 Cost., rispetto alle ipotesi in cui l’applicabilità della misura di sicurezza comporta la valutazione da parte del giudice della pericolosità sociale dello straniero condannato.

L’equiparazione sostenuta in questa decisione tra sentenza di patteggiamento e sentenza passata in giudicato, sotto il profilo della definitività, fondata del resto su precedenti decisioni in materia248, ha indotto, quindi, la Consulta a fare salva l’ipotesi di espulsione, anche a seguito di sentenza patteggiata.

In una pronuncia del Consiglio di Stato, si è avuta conferma della presenza di una “giurisprudenza costante” in merito249: “è illegittimo il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio nazionale fondato, in via esclusiva e automatica, sull’esistenza di una sentenza penale di patteggiamento, in difetto di alcuna autonoma valutazione di altro genere”250 251.

Di tale parere, anche il T.A.R. del Veneto: nella sua pronuncia, n. 1863/2000, ha disposto che i reati previsti per l’espulsione non sono quelli previsti per il patteggiamento: “una condanna inflitta con il patteggiamento della pena non basta per giustificare l’espulsione di un cittadino extracomunitario”.

E’ necessaria, infatti, una vera e propria condanna passata in giudicato.

Non è valido, dunque, il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno basato su questi presupposti.

Così come pure la relativa espulsione.

Lo ha disposto il T.A.R. del Veneto, accogliendo il ricorso presentato da un extracomunitario, che si era visto rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno da parte del Questore di Verona e che aveva subito anche un provvedimento di espulsione.

I giudici amministrativi hanno argomentato la pronuncia, dichiarando che i reati, per cui è previsto il patteggiamento, non sono tali da giustificare il diniego del permesso e la conseguente espulsione (16 novembre 2000).

La sentenza n. 353/1997252, pronunciata quando ormai era già in corso di approvazione il d.d.l. che ha portato al vigente t.u., (nei principi non abrogati dall’attuale legge di riforma in materia)253, pur ricollegandosi a quanto affermato nella sentenza n. 129 del 1995 sulla limitazione della garanzia della valutazione della pericolosità sociale all’espulsione-misura di sicurezza, non manca di affermare taluni principi che la Corte pone alla base dei rapporti tra lo Stato ed i fenomeni migratori attuali254.

La Consulta ha affermato a questo proposito che “le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco, di cui si è fatto carico il legislatore”, aggiungendo inoltre, che “lo Stato non può abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere” ed ha concluso ricordando che “le regole stabilite in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno rispettate e non eluse, o soltanto derogate di volta in volta con valutazioni di carattere sostanzialmente discrezionale, essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate e che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali”255.

2.7.2. – Le espulsioni “penali”: espulsione “a richiesta di parte” e espulsione come “sanzione sostitutiva”. Origine e evoluzione normativa.

L’espulsione c.d. “a richiesta di parte”, introdotta nella legge Martelli, dalla l. n. 296/1993, aveva come scopo dichiarato quello di ridurre o quantomeno di non aggravare ulteriormente l’affollamento carcerario256.

Infatti, ad uno straniero detenuto in attesa di giudizio, si offriva il riacquisto della libertà e la sospensione del processo a patto di farsi espellere.

La dottrina maggioritaria sostiene al riguardo, che la posizione del richiedente, non è riconducibile a quella del diritto soggettivo, in quanto le disposizioni abrogate erano anzitutto, rivolte a tutelare interessi pubblici – attenuando, mediante allontanamento di soggetti pericolosi, gli oneri della collettività ed i rischi per la sicurezza sia all’interno degli istituti penitenziari che, in genere, nel territorio nazionale – e non l’interesse dello straniero, che trovava soddisfacimento soltanto, in maniera indiretta e riflessa257.

La controversa fattispecie dell’espulsione a “richiesta di parte”, è un ulteriore esempio di quella contaminazione tra esigenze di controllo dell’immigrazione ed esigenze di politica criminale caratterizzante la legislazione in materia.

La portata di questa misura è stata più estesa dal d.l. n. 489/1995, riconoscendo anche al pubblico ministero la possibilità di richiedere l’applicazione di tale misura.

I dubbi di legittimità sollevati sin dalle prime applicazioni di tale norma sono stati regolarmente ritenuti infondati dalla Corte, attraverso una giurisprudenza che non sembra tuttavia aver tenuto in debita considerazione il diritto del reo alla rieducazione ed alla risocializzazione fissato dall’art. 27, 3° co., Cost., (“…Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato…”), principio che dopo la sentenza n. 313/1990 sembrava ormai esteso, non solo al momento dell’esecuzione penale, ma anche a quello legislativo, per quanto successive pronunce si siano affrettate a specificare che, in casi di forte allarme sociale, esigenze di prevenzione generale possano relegare in secondo piano il momento rieducativo258.

Se rispetto alla precedente espulsione “a richiesta di parte”, la nuova misura della espulsione come “sanzione sostitutiva” risulta parzialmente più in linea con i principi costituzionali in materia penale e con la disciplina della libertà personale (art. 13 Cost.), è vero tuttavia, che anche la normativa vigente al riguardo sembra segnata da quella sovrapposizione tra esigenze del processo penale ed esigenze di controllo dell’immigrazione, perseguite attraverso una distorsione del ruolo del giudice e degli strumenti del processo penale, che sembrano caratterizzare le dinamiche legislative in tema di immigrazione259.

La Corte costituzionale, nella prima decisione dedicata a questa fattispecie espulsiva260, dichiarò la manifesta infondatezza, con riferimento agli artt. 3, 24, 2° comma, 25, 2° comma, 27, 2° e 3° comma, cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, 1° e 2° comma, l. 6 marzo 1998 n. 40, ora sostituito dalla norma, di contenuto analogo, di cui all’art. 15 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286 – che consente al giudice di espellere lo straniero extracomunitario condannato a pena detentiva non superiore a due anni, sempre che essa non debba essere sospesa – in quanto le censure formulate dal giudice a quo muovono dall’erroneo presupposto interpretativo che l’espulsione costituisca una vera e propria sanzione sostitutiva.

Questa, infatti, ha sostenuto che la misura in questione non rappresenterebbe una sanzione sostitutiva in senso proprio, bensì “un mero provvedimento amministrativo eccezionalmente adottabile dall’autorità giudiziaria”, pur se disposta dal giudice in sostituzione di una pena detentiva261.

Sì che, una volta chiarita la natura non penale della misura, risultano non pertinenti i profili di illegittimità costituzionale prospettati.

Tuttavia, la Corte, non sembra aver risposto in maniera soddisfacente ai dubbi di costituzionalità sollevati.262

Ad uno straniero detenuto in attesa di giudizio, si offriva il riacquisto della libertà e la sospensione del processo a patto di farsi espellere.

La Corte costituzionale, a metà degli anni novanta263, a riguardo si pronunciò, riconoscendo che il farsi espellere, sottoponeva lo straniero ad una misura avente un “contenuto ancor più affittivo di quello proprio di una pena detentiva”.

L’art. 16 del t.u., che diversamente dalla legge Martelli, prevede l’esclusiva iniziativa del giudice e restringe la sfera dei possibili destinatari, aspira nella sostanza a soddisfare le stesse esigenze cui rispondeva l’espulsione “a richiesta” nella disciplina previdente (ridurre il numero di stranieri colpevoli di reati di lieve entità che affollano il carcere nazionale).

Tuttavia, il giudice non deve motivare la scelta di irrogare l’una o l’altra sanzione.

Ancora nelle sentenze n. 4135 del 10 settembre 1998 e n. 4461 del 5 ottobre 1998, la Suprema Corte si era occupata dell’istituto dell’espulsione dello straniero su “sua richiesta”, previsto dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39 e abrogato dalla legge 6 marzo 1998 n. 40264.

Nella prima sentenza la Corte ha ritenuto l’espulsione dello straniero su “sua richiesta” qualificabile come misura di sicurezza, sia pure sui generis, come tale soggetta alla regola dettata dall’art. 200 del cod. pen., secondo cui “le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”.

Conseguentemente, essa ha affermato che la richiesta di espulsione avanzata dallo straniero in virtù della legge 28 febbraio 1990 n. 39, dopo l’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998 n. 40 “non può in nessun caso essere accolta”.

Nella seconda sentenza, invece, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’espulsione dello straniero su “sua richiesta” (quantomeno nel caso di uno straniero ancora in stato di custodia cautelare, non essendo ancora intervenuta nei suoi confronti una pronuncia definitiva di condanna), più che una misura di sicurezza, debba considerarsi un istituto di carattere processuale, come tale non sottoposto alle regole stabilite dall’art. 2 del cod. pen., in materia di successione delle leggi penali sostanziali nel tempo.

Per questa via la Corte è pervenuta, però, alla medesima conclusione raggiunta nella prima sentenza: “la richiesta di espulsione presentata dallo straniero ai sensi della legge 28 febbraio 1990 n. 39, dopo l’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998 n. 40 non può in nessun caso trovare accoglimento”.

Infatti, anche in dottrina si affermava che, le disposizioni in materia di espulsione dello straniero non avessero natura sostanziale ma processuale, sicchè restavano inapplicabili le regole che costituivano espressione del principio del favor rei, e le questioni connesse al passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina dovevano essere definite, in base alla diversa regola del tempus regit actum, con l’applicazione delle norme sopravvenute vigenti al momento della decisione265.

Nella sentenza n. 1082 del 9 febbraio 1999266, la Suprema Corte si è invece occupata dei rimedi giurisdizionali nei confronti dei provvedimenti di espulsione.

Essa ha rilevato che, mentre la legge 28 febbraio 1990 n. 39 prevedeva il ricorso dinanzi al T.A.R. contro tutti i provvedimenti di espulsione, la legge 6 marzo 1998 n. 40 prevede il ricorso dinanzi al T.A.R. del Lazio contro i provvedimenti di espulsione emanati dal Ministro dell’interno ed il ricorso dinanzi al pretore contro i provvedimenti di espulsione emanati dal prefetto267.

Di conseguenza, mentre secondo il regime delineato dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39 il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111, co. 2°, ora 6° Cost., non era esperibile in nessun caso, secondo il regime stabilito dalla legge 6 marzo 1998 n. 40 il ricorso in questione è esperibile nel caso di provvedimenti di espulsione emanati dal prefetto.268

Riconoscendo l’inammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 111, co. 2°, ora 6° Cost., proposto avverso il decreto del pretore adottato su ricorso dello straniero che impugni il provvedimento di espulsione emesso dal prefetto nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 13, 2° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, per carenza del requisito della “definitività”, essendo il decreto pretorile ancora sottoponibile al reclamo di cui all’art. 739 c.p.c.

Com’è noto, ai sensi dell’art. 111 co. 2°, ora 6° Cost, “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.

La Corte ha, poi, precisato che, nel caso di provvedimenti di espulsione emanati dal prefetto, contro la decisione pretoriale può presentarsi reclamo al tribunale e solo contro la pronuncia del tribunale può farsi luogo al ricorso straordinario per Cassazione previsto dall’art. 111 co. 2°, ora 6° Cost.269

Degna di nota in merito è, un’ importante pronuncia in base alla quale il Tribunale di Perugia270 dichiarò l’inammissibilità del reclamo proposto dal prefetto contro il provvedimento pretorile di annullamento di un decreto di espulsione arbitrariamente emesso sul presupposto che lo straniero fosse entrato illecitamente in Italia271.

Interessante, in termini “comparatistici”, una pronuncia della Suprema corte dove ha disposto che i cittadini degli stati membri dell’Unione europea non possono essere assoggettati ad alcuna forma di espulsione, la quale comporterebbe in ogni caso il divieto, sia pure temporaneo, di rientrare nel territorio dello Stato italiano, in contrasto con la libertà di circolazione e soggiorno nel territorio degli stati membri sancito dal trattato istitutivo della comunità europea, nonché con il divieto di discriminazioni effettuate in base alla nazionalità.272

Nella fattispecie, era stata formulata dal cittadino comunitario, sottoposto a provvedimento di custodia cautelare in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti, una richiesta di espulsione, che era stata disattesa dal giudice di merito.

In una sua pronuncia, tuttavia, la Corte di Cassazione per certi aspetti della sua pregressa giurisprudenza, è “tornata sui suoi passi”.

Infatti, ha disposto che l’espulsione dello straniero “a richiesta” (art. 7, 12° comma ter, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni nella l. 28 febbraio 1990 n. 39), sebbene abolita (art. 46, 1° comma, lett. e), l. 6 marzo 1998 n. 40, ora riprodotta nell’art. 47, 1° comma, lett. e), d.leg. 25 luglio 1998 n. 286), completa la produzione dei suoi effetti, ai sensi dell’art. 7, 12° comma quater, d.l. n. 416 del 1989, nel caso che l’espulso rientri sul territorio italiano, atteso che la prima parte di essi si è già prodotta, in conseguenza dell’esecuzione dell’espulsione, avvenuta in ossequio alla previgente disciplina273 (in applicazione di tale principio la Corte ha respinto il ricorso di uno straniero che, espulso su sua richiesta nel vigore della disciplina anteriore, chiedeva la non eseguibilità della pena che era residuata al momento dell’esecuzione dell’espulsione).

Da ultimo, l’evoluzione normativa ha operato notevoli cambiamenti sulla disciplina di cui sopra.

Infatti, l’articolo 16 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 è stato sostituito dall’art. 15, l. 30 luglio 2002, n. 189 (“Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione”).

In forza del quale, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena “su richiesta”, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale, né le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni (art. 15, co., 1, l. 30 luglio 2002, n. 189).

L'espulsione di cui sopra, al comma 1, è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4.

La medesima espulsione non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni.

Se lo straniero espulso a norma del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente (la possibilità di rientrare in Italia “per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa”, mediante concessione di apposito visto, viene estesa anche alla parte offesa, mentre il testo originario dell’art. 17 D. Lgs. 286/98 prevedeva tale possibilità soltanto per lo straniero sottoposto a procedimento penale.).274

Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l'espulsione.

Essa non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico, così novellato (art. 15, co., 5, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Competente a disporre l'espulsione di cui sopra, è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero.

Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al Tribunale di sorveglianza.

Il tribunale decide nel termine di venti giorni.

L'esecuzione del decreto di espulsione di cui al comma 6 è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del Tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio275.

L'espulsione è eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica276.

La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 5, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato, in tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena277.

Infine, la nuova legge di riforma prevede che l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica ai casi di cui all'articolo 19.

Nel complesso, in materia di espulsione dello straniero, la Corte ha preferito il più delle volte salvare la disciplina esistente, sebbene non sempre con motivazioni sufficientemente esaurienti, riconoscendo che rientra nella discrezionalità del legislatore la concreta configurazione che assume nel tempo la condizione giuridica del non-cittadino.

Bisogna tener presente che una condotta della Corte eccessivamente disinvolta avrebbe potuto produrre ulteriori vuoti in una disciplina già di per sé poco legislativa e ricca di zone oscure e di lacune.

Inoltre, nel periodo in cui si collocano le prime pronunce della Corte in materia, questa non aveva ancora sviluppato quel complesso di decisioni “additive” e “manipolative” che hanno costituito in seguito la via d’uscita più idonea da situazioni di questo tipo.

Rilevante, da ultimo, in proposito alle prerogative difensive dello straniero destinatario di un decreto di espulsione è la decisione della Suprema Corte di Cassazione278.

2.7.3. – Le espulsioni “amministrative”.

Il t.u. configura questa espulsione (ad eccezione dell’espulsione ministeriale ex art. 13, 1° co.) come “atto dovuto” e elimina quindi, il suo precedente carattere discrezionale279.

Infatti, a detta della stessa dottrina di maggioranza, confermate da una parte della giurisprudenza280, una volta accertata la violazione delle disposizioni in materia di ingresso e soggiorno nel territorio nazionale da parte di un cittadino extracomunitario, l’espulsione costituisce per l’amministrazione un “atto dovuto”, non residuando spazio per alcuna valutazione discrezionale, atteso che le regole stabilite in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno rispettate e non eluse, o anche soltanto derogate di volta in volta, con valutazioni di carattere sostanzialmente discrezionale281, essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate o che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali282.

Il t.u. del 1998 prevede, riguardo l’organo competente, due ipotesi di espulsione amministrativa: la prima ministeriale e la seconda prefettizia.

Nel primo caso la misura può venire disposta eccezionalmente “per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato”, con la già vista, limitazione di carattere generale, di cui all’art. 19, 1° co.

A tale riguardo, il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato italiano283, per motivi di ordine pubblico, è sufficientemente motivato284 mediante il richiamo alla segnalazione del dipartimento della pubblica sicurezza, concernente la pericolosità dello straniero285.

Un’importante decisione, in materia limitazione di carattere generale, di cui all’art. 19, 1° co., si è avuta nei giudizi di legittimità costituzionale,286 in forza dei quali la Corte costituzionale ha disposto che è manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), promossi con ordinanze, dal Tribunale di Vibo Valentia287, nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero convivente more uxorio con un cittadino italiano (rispetto allo straniero convivente con un parente entro il quarto grado o con il coniuge cittadino), in quanto la previsione del divieto di espulsione solo con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il quarto grado risponde all’esigenza di tutelare, da un lato, l’unità della famiglia, e dall’altro, il vincolo parentale e riguarda persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici invece assente nella convivenza more uxorio288.

Ancora, conseguenziale per certi aspetti alla pronuncia suddetta, con ord. n. 232/2001289, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), promosso con ordinanza dal Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero coniugato e convivente con altro cittadino straniero in possesso di regolare permesso di soggiorno, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità propostale.

Infatti, a detta della stessa Corte, “non è violato il principio costituzionale di eguaglianza, perché la situazione non è comparabile, in quanto del tutto eterogenea, con quelle dello straniero coniugato con cittadino italiano o dello straniero convivente con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il quarto grado”290.

Di diversa applicazione è l’espulsione prefettizia291 prevista dall’art. 13, 2° co., nelle ipotesi di ingresso illegittimo (lett. a)292, soggiorno illegittimo (lett. b), appartenenza ad una della categorie di destinatari di misure di prevenzione (lett. c).293

Come si è già detto, il t.u. in vigore, estende l’esecuzione dell’espulsione mediante accompagnamento coattivo a questa fattispecie espulsiva, in precedenza invece, basata sulla semplice “intimazione” a lasciare il territorio294.

Questa modalità di esecuzione, se è vero che induceva alti tassi di elusione della misura e dunque, non permetteva un efficace controllo dell’immigrazione, sembra d’altra parte, quella più compatibile con il dettato costituzionale, anche muovendo dalla differenza, evidenziata da parte della dottrina295, tra i provvedimenti coercitivi, incidenti sulla libertà personale e dunque, ricompresi nella riserva di giurisdizione dell’art. 13 Cost. e tra i quali è difficile non far rientrare l’accompagnamento coattivo, e provvedimenti meramente obbligatori, che, investendo le sole libertà di circolazione e soggiorno, possono venire adottati anche a livello amministrativo296.

La stessa giurisprudenza costituzionale non ha mai chiarito definitivamente i rapporti intercorrenti tra libertà personale (art. 13 Cost.) e libertà di circolazione (art. 16 Cost.)297.

Peraltro, questa in una sua risalente decisione298, basandosi sul carattere “non duraturo” della coercizione, escluse che l’accompagnamento coattivo potesse determinare restrizioni della libertà personale299.

Degna di nota, in materia è, una recentissima sentenza della Corte Costituzionale300, secondo la quale, è reato per lo straniero restare nel territorio nazionale in violazione dell'ordine di allontanamento entro cinque giorni deciso dal questore: la Corte costituzionale ha respinto le eccezioni di legittimità costituzionale su uno degli articoli più delicati della legge Bossi-Fini (art. 14, comma 5-ter, del d.l. 25 luglio 1998, n. 286 che è il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189) .

La sentenza su questo articolo - che punisce il reato con l'arresto dai sei mesi a un anno - è il primo via libera dei giudici della Consulta alla legge 189 del 2002, che, come si è visto, si è tecnicamente integrata, con la Turco-Napolitano (decreto legislativo 286 del 1998).

Secondo la normativa vigente peraltro, il solo caso di espulsione amministrativa da eseguirsi mediante intimazione è quella prevista per lo straniero che, entrato regolarmente, si trattiene illegalmente sul territorio (art. 13, 2° co., lett. b)301.

Tuttavia, anche per questa ipotesi la normativa vigente prevede l’internamento nei centri di permanenza, e questo sembra accentuare la natura detentiva di tale “trattenimento”302.

Il rientro non autorizzato dello straniero nel territorio dello Stato dopo l’espulsione, pur non essendo assoggettabile alle sanzioni previste dal d.l. n. 22 del 1996, non convertito in legge, viola comunque, altro precetto di identico contenuto, penalmente sanzionato, con la minore pena dell’arresto, e cioè l’art. 151 r.d. 18 giugno 1931 n. 773 (t.u.l.p.s.), “rivissuto” dopo essere stato implicitamente abrogato dal decreto-legge non convertito303.

Invero, nell’attuale assetto normativo, continua ad essere applicabile detta ultima disposizione – che punisce l’abusivo rientro dello straniero, già espulso in virtù dell’art. 150 citato t.u., nel territorio italiano – quantunque detto art. 150 sia stato abrogato dall’art. 13, 2° comma, d.l. n. 416 del 1989 (convertito in l. 28 febbraio 1990 n. 39); e ciò in quanto il 3° comma di tale art. 13 stabilisce che i riferimenti agli istituti già disciplinati dal r.d. n. 773 del 1931 si intendono fatti agli istituti e alle disposizioni del presente decreto.304

Lo straniero, nei cui confronti siano stati emanati, anche contestualmente, il provvedimento di espulsione e quello di diniego del permesso di soggiorno, può impugnare entrambi dinanzi ai giudici rispettivamente competenti e chiedere al tribunale ordinario la sospensione necessaria del procedimento, fino alla definizione di quello instaurato dinanzi al giudice amministrativo305.

A tal fine, è necessario allegare e provare la pendenza del giudizio amministrativo, mentre, non rileva che non sia ancora decorso il termine per impugnare il diniego del permesso di soggiorno306.

Inoltre, il decreto di espulsione dello straniero che non sia in possesso del permesso di soggiorno o non ne abbia chiesto il rinnovo è atto vincolato ai sensi dell’art. 13, 2° comma, d.leg. n. 286 del 1998, mentre le valutazioni relative all’ordine pubblico, alla integrazione sociale e alle possibilità di lavoro dello straniero attengono al procedimento di concessione o di rinnovo del permesso, il cui controllo è demandato esclusivamente al giudice amministrativo, dinanzi al quale sia stato impugnato il diniego; ne consegue che l’opposizione al decreto di espulsione davanti al giudice ordinario non può fondarsi su motivi attinenti al mancato rilascio o al mancato rinnovo del permesso di soggiorno307.

La predetta disciplina, non poteva non essere esente da novazioni alla luce della legge di riforma.

Infatti, all'articolo 13 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, il comma 3 è stato modificato nel senso che l'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato308 (art. 12, co., 3, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Quindi, quella che nella precedente normativa era l’eccezione (cioè accompagnamento coattivo immediato del clandestino o irregolare alla frontiera) con la nuova legge diviene la regola, ed è, come vedremo, “sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”.

A parte le enormi spese e la sottrazione delle Forze di Polizia ad altri ben più importanti compiti di prevenzione, indagine e repressione, l’accompagnamento immediato rende di fatto inutile la tutela giudiziaria, che lo straniero non ha il tempo materiale di far valere in Italia e, soprattutto, interverrebbe quando l’effetto pregiudizievole (allontanamento dal territorio nazionale) che dovrebbe evitare è ormai avvenuto!309

Paradossalmente, solo chi ha commesso un reato ha il tempo, nelle more della procedura del rilascio del nulla osta del Giudice Penale (che dispone fino a 15 giorni per far conoscere il proprio avviso) di presentare ricorso quando ancora si trova in Italia.

Altro aspetto paradossale, è l’allungamento a 60 giorni del termine, prima di 5 giorni, per fare ricorso al tribunale contro il decreto di espulsione (pur lodevole in astratto per il maggior garantismo che offre) all’atto pratico si rivela una beffa, visto che fin dal primo giorno di decorso del termine lo straniero può essere espulso!

Quanto ciò possa conciliarsi col diritto di effettività della difesa giudiziaria riconosciuto dall’art. 24 Costituzione a "tutti" è facilmente valutabile.

Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa310.

In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali.

Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con le modalità di cui al comma 4311.

Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data di ricevimento della richiesta da parte dell'autorità giudiziaria competente.

Inoltre, in attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, ai sensi dell'articolo 14 (art. 12, co. 3, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Occorre sottolineare che, dopo il comma 3, sono inseriti nuovi principi, diretti a rendere effettivi e a rafforzare l’esecutività immediata del provvedimento di espulsione312.

Infatti, nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del comma 3.

Ancora, le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere, applicata nei suoi confronti.

Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all'esecuzione dell'espulsione.

Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore.

Da notare che, nei casi previsti, suddetti (art. 12, co. 3, 3 bis e 3 ter l. 30 luglio 2002, n. 189), il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell'articolo 240 del codice penale.

Infine, è previsto che se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale, oppure se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale (art. 12, co. 3 quinquies, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Tuttavia, il nulla osta all'espulsione non può essere concesso qualora, si proceda per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nonché dall'articolo 12 del presente testo unico (art. 12, co. 3 sexies l. 30 luglio 2002, n. 189).

Inoltre, il comma 4 è sostituito dal principio, secondo cui, l'espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5.

Infatti, nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni.

Il questore dispone l'accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest'ultimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento.

Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione313.

Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione.

Il tribunale in composizione monocratica accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso.

Il ricorso, può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione.

La sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata, è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria314.

Lo straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all'autorità consolare315.

Lo straniero è altresì, ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato316, e, qualora, sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete (art. 12, co. 8, l. 30 luglio 2002, n. 189)317.

Da sottolineare che, i commi 6, 9 e 10 sono stati abrogati.

Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno.

In caso di trasgressione lo straniero è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera.

Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La stessa pena si applica allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale.

Salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni.

Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall'interessato nel periodo di permanenza in Italia.

Da ultimo rilevanza, in merito, assume una sentenza della Suprema Corte, in forza della quale, deve essere esclusa l'espulsione automatica del cittadino extracomunitario che presenti in ritardo il rinnovo del permesso di soggiorno318.

Le Sezioni Unite Civili risolvono un contrasto giurisprudenziale sorto a proposito dell'interpretazione della norma del Testo Unico in materia di stranieri che disciplina la cosiddetta espulsione amministrativa, chiarendo che la presentazione spontanea della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di scadenza previsto dalla legge non consente l'espulsione automatica dello straniero; l'espulsione potrà essere disposta solo se la domanda sia stata respinta per la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno sul territorio nazionale.

In buona sostanza, se lo straniero è in regola, non è sufficiente un ritardo burocratico a farlo espellere.

2.7.4. - Le espulsioni “amministrative”: il trattenimento nei “centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Violazione della libertà personale?

Il trattenimento degli stranieri nei “centri di permanenza temporanea ed assistenza” (art. 14), già presenti tra l’altro in paesi europei, è uno degli elementi della nuova disciplina che suscita le maggiori perplessità,319 previsti per casi di straordinaria necessità ed urgenza, (art. 23 del regolamento di attuazione approvato con il D.P.R. 394 del 31 agosto 1999)320.

Infatti, in dottrina da più parti si sosteneva la natura “detentiva” di tale “trattenimento”321.

In merito, il Tribunale di Milano dubitava della legittimità costituzionale degli artt. 13 co, 4°, 5° e 6° e 14 co. 4° e 5° del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero”)322.

Al centro delle perplessità della magistratura lombarda, la natura e le finalità del “trattenimento” dello straniero presso i “centri di permanenza e di assistenza”323: natura certamente incisiva della libertà personale, (art. 13 Cost.) e finalità, volte ad assicurare l’effetto dell’allontanamento, mediante accompagnamento alla frontiera324.

Ora, il timore del tribunale rimettente era quello di una lesione dell’articolo 13, co., 2° e 3° della Costituzione (“… Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto…”), dal momento che, sull’operato dell’autorità di pubblica sicurezza, culminante nella misura del “trattenimento”, la convalida dell’autorità giudiziaria non si sarebbe dimostrata capace di controllo sufficientemente motivato ed esteso (fino a comprendervi “la misura dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica quale modalità di una espulsione amministrativa”)325.

La prospettiva del ricorrente è tuttavia errata.

Vero è che la natura stessa della misura del “trattenimento” è tale da non poter essere certamente adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione326.

Ma, proprio per questa ragione, la valutazione delle stesse motivazioni dell’accompagnamento rientra a pieno titolo nel procedimento giurisdizionale e quindi, la convalida (o meno) del provvedimento che decide di trattenere lo straniero ai fini dell’espulsione, non può non estendersi alle modalità di esecuzione del medesimo.

Per altro, trasmesso al giudice – entro le 48 ore successive – nella integralità degli atti, il provvedimento principale include “evidentemente” quello di espulsione amministrativa, “corredato dalle valutazioni del prefetto sulle circostanze che hanno indotto a ritenere che lo straniero potesse sottrarsi all’esecuzione di una semplice intimazione e lo hanno persuaso a scegliere l’accompagnamento immediato come modo di esecuzione dell’espulsione”327.

Il controllo del giudice non deve perciò fermarsi ai margini della procedura, bensì, deve fondarsi sulla valutazione dell’intero novero degli atti che la compongono328.

E ciò, proprio in osservanza delle logiche “delineate” dall’articolo 13 della Costituzione329, secondo cui la libertà personale è inviolabile, escludendo forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale e qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

Tuttavia, punto centrale su cui si articola l’intera questione, è proprio il principio delineato dallo stesso articolo della Costituzione, che prevede la possibilità che “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

Privi di fondamento si sono rilevati, di conseguenza, i dubbi di legittimità del Tribunale milanese, che la Corte costituzionale ha ridotto a rango di semplice difficoltà interpretativa del nostro dettato statutario330 331.

Infatti, venne dichiarata la infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, 4°, 5° e 6° comma, e 14, 4° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, che disciplinano l’espulsione del cittadino extracomunitario, nella parte in cui non consentono al giudice, in sede di convalida del provvedimento di trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza e di assistenza, di verificare la legittimità del provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera e non prevedono che la mancata convalida produca effetti anche sul provvedimento di espulsione, in riferimento all’art. 13, 2° e 3° comma, cost.332

In quanto, la disciplina e gli articoli suddetti, non incidono sulla libertà personale, quanto piuttosto, sulla libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), che è diritto riconosciuto solo ai cittadini333, circa la possibilità di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.334

Infine, venne a dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, 5° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, nella parte in cui prevede che la convalida del provvedimento del questore comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi venti giorni e non che la permanenza nel centro consegua a provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria per il periodo di tempo da questa indicato, nel rispetto del limite massimo di venti giorni, e che il provvedimento di convalida si riferisca insieme all’operato della p.a. e valga come titolo per l’ulteriore trattenimento fino al limite di venti giorni, in riferimento all’art. 13, 2° e 3° comma, cost.335

In tal senso, occorre segnalare una pronuncia che, per quanto precedente alla suddetta sentenza (n. 105/2001), ne “anticipò” il disposto.

Infatti, il Tribunale di Napoli (22336-24.11.2000), con decreto, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 commi 4, 5 e 6 e dell’art. 14 commi 4 e 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, in riferimento all’art. 13 della Costituzione337.

Infatti, ad avviso dello stesso tribunale, il provvedimento di espulsione dello straniero ed il conseguente accompagnamento coattivo alla frontiera da parte della forza pubblica non sono misure limitative della libertà personale, ma incidono piuttosto, sulla libertà di circolazione e soggiorno sul territorio dello Stato italiano, sancita dall’art. 16 della Costituzione.

Presupposto del “trattenimento” è l’impossibilità ad eseguire con immediatezza la misura di allontanamento disposta.

Il provvedimento dovrebbe essere disposto “per il tempo strettamente necessario“ a superare tale impossibilità (1° co.) e lo straniero dovrebbe essere trattenuto nel centro “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità” e dovendo comunque assicurarsi a questo “in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno” (2° co.)338.

La misura è sottoposta a convalida da parte dell’autorità giudiziaria e contro i relativi provvedimenti può ricorrersi in Cassazione, ma il ricorso non produce effetti sospensivi339.

La legge Martelli, per i casi in cui non fosse possibile procedere all’immediata esecuzione dell’espulsione, prevedeva che il questore del luogo in cui lo straniero si trovava potesse disporre l’applicazione della sorveglianza speciale e che, in caso di violazione degli obblighi derivanti da quest’ultima misura, lo straniero potesse essere arrestato e recluso fino ad un massimo di due anni (art. 7, 11° e 12° co.).

Si nota dunque, un passaggio, nella disciplina della fase precedente l’espulsione, a forme di controllo via via più prossime alla detenzione – dalla sorveglianza speciale al centro di permanenza – e l’affidamento di tale fase al questore e non al giudice.

L’istituzione di tali centri costituisce uno degli elementi componenti un “diritto speciale” per gli stranieri, che non soltanto fa sorgere le maggiori perplessità al riguardo, ma che al contempo porta alla luce l’elemento “biopolitico” dei meccanismi di controllo dei flussi340.

La nuova legge prevede che la convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni (art. 13, co., 5, l. 30 luglio 2002, n. 189).

A detta della stessa Corte di Cassazione, “il trattenimento è provvedimento incidente sulla libertà personale, non suscettibile di reiterazione da parte dell’autorità amministrativa una volta scaduto il termine massimo previsto dal legislatore”.

Ne consegue che, decorso detto termine, l’accompagnamento od il respingimento dello straniero debbono trovare immediata esecuzione, “salva in ogni caso la tutela di eventuali diritti fondamentali configgenti”341.

Qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità, ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni.

Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice.
Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o il respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni.

L'ordine è dato con provvedimento scritto, recante l'indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione (art. 13, co., 5 bis, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno.

In tale caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, co., 5 ter, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Il 31 agosto 2000 il Viminale ha emanato una “Direttiva generale in materia di centri di permanenza temporanea” al fine di “assicurare la rispondenza delle modalità di trattenimento alle finalità di necessaria assistenza e pieno rispetto della dignità degli stranieri trattenuti”.

La direttiva si compone di tre parti: una relativa ai “Criteri generali”, la seconda parte prevede una “Comunicazione da consegnare allo straniero” e la terza contiene infine una “Carta dei diritti e dei doveri per il trattenimento della persona ospitata nei centri di permanenza temporanea” che riprende alcuni dei suggerimenti avanzati dalle associazioni attive nel settore.

La misura è sottoposta a convalida da parte dell’autorità giudiziaria e contro i relativi provvedimenti può ricorrersi in Cassazione, ma il ricorso non produce effetti sospensivi.

Gia in “itinere”, al processo di riforma in materia di immigrazioni conclusosi da ultimo con legge342, importanti novità in merito, furono stabilite, in una visione podromica dell’intero “processo di riforma del settore” con un decreto legge 51 del 2002343, in cui il governo, impegnato, sia nella difesa dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, sia nell’integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, ha emanato delle misure urgenti di contrasto all’immigrazione clandestina e norme di garanzia per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera.

Da ciò, “le espulsioni degli stranieri colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera saranno più veloci”.

Il decreto interviene sul testo unico sulla disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero fornendo tra l’altro, alcune modifiche relative ai mezzi di trasporto usati dai clandestini e sull’espulsione degli stranieri.

La modifica più incisiva è intervenuta, con la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

A tal proposito, l’articolo 13 sulla "espulsione amministrativa", alla luce del decreto suddetto, prevede(va) che, nei casi in cui il Ministro dell'interno disponga l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o quando lo straniero si sia trattenuto indebitamente nel territorio dello Stato oltre il termine fissato o qualora, quest'ultimo sia privo di valido documento attestante la sua identità e nazionalità e il prefetto rilevi un concreto pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento, il questore comunichi immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione all’ufficio del Procuratore della Repubblica presso il tribunale territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera.

Il Procuratore della Repubblica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione.

Rispetto della Costituzione, quindi, delle garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera affinché le cose vengano fatte velocemente ed i provvedimenti non vengano revocati se non convalidati dall’autorità giudiziaria entro quarantotto ore344.

Per quanto riguarda, invece, l’altro aspetto del decreto, veniva stabilito che tutti i mezzi di trasporto, e quindi, automobili, navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando e per i quali non veniva fatta una richiesta di affidamento da organi di polizia o altri organi dello Stato, la distruzione e la cancellazione dai pubblici registri345.

La distruzione può essere direttamente disposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dalla autorità da lui delegata, previo nullaosta dell’autorità giudiziaria procedente. (12 aprile 2002)

2.8 – LE GARANZIE GIURISDIZIONALI.

Le garanzie giurisdizionali previste a favore degli stranieri sono caratterizzate da uno stretto legame tra queste, le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e le politiche di controllo dell’immigrazione346.

La legge Martelli riconosceva alla giurisdizione amministrativa la competenza dei ricorsi contro i provvedimenti di espulsione dimezzando taluni termini del rito ordinario (art. 5, 5° co.), ma soprattutto, prevedendo la sospendibilità dell’esecuzione del provvedimento fino alla decisione definitiva sulla domanda cautelare (art. 5, 4° co.).

Un simile meccanismo, se da una parte, poteva risultare adeguato in un’ottica garantista, d’altra parte non solo si prestava a venire facilmente eluso e dunque a risultare inefficace ai fini del controllo e dell’effettività delle espulsioni, ma tendeva anche a precarizzare significativamente e per lungo tempo la condizione degli individui sottoposti ad espulsione, a lasciarli in una perdurante situazione di irregolarità, dal momento che, al cattivo funzionamento della giustizia amministrativa, si aggiungeva il fatto che la legge non stabilisse alcun termine per la decisione delle istanze di sospensiva347.

La normativa vigente, al di là del riconoscimento della parità di trattamento tra cittadini e stranieri nella tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, ma sempre “nei limiti e nei modi previsti dalla legge” (art. 2, 5° co.) ha trasferito le competenze in materia di espulsione amministrativa, ad esclusione di quella ministeriale, al giudice civile (art. 13, 9° e 10° co.) applicandosi a tali ricorsi la procedura in camera di consiglio fissata all’art. 737 c.p.c.348.

Il termine per la presentazione dei ricorsi è di cinque giorni, la decisione deve intervenire in dieci giorni349.

Le decisioni in materia possono essere impugnate solo in Cassazione (art. 4, 4° co., d.legisl. n. 113/1999)350 351.

Non pochi gli interrogativi che solleva il regime del diritto alla difesa degli stranieri352: la ripartizione delle competenze tra le giurisdizioni può infatti, determinare interferenze tra queste ed inoltre può pregiudicare seriamente le effettive possibilità di tutela dello straniero, che può trovarsi facilmente disorientato di fronte a tale riparto di competenze353.

La giurisprudenza amministrativa e costituzionale hanno per lungo tempo escluso che, agli individui colpiti da provvedimenti di espulsione amministrativa, possano riconoscersi i diritti di partecipazione alla formazione del provvedimento normalmente riconosciuti in base alla l. n. 241 del 1990354.

Infatti, la Corte di Cassazione ha, da ultimo disposto355 che, in tema di espulsione amministrativa dello straniero, l’autorità procedente non ha nessun obbligo, ex art. 7 l. 241/1990, di comunicare allo straniero stesso l’avvio del procedimento, in quanto, “trattandosi di procedimento improntato ad indubbie esigenze di celerità - come è dato desumere dalle norme di cui agli artt. 13 e 14 d.leg. n. 286 del 1998, - l’atto che va a formarsi (e cioè il decreto di espulsione) non presuppone alcuna procedura amministrativa, ma si forma nel momento stesso in cui l’autorità verifica l’esistenza dei suoi presupposti”356.

Alla fine degli anni ottanta, la Consulta ha dichiarato infondata la questione prospettatale ritenendo che il principio del giusto procedimento non costituisce una garanzia di rango costituzionale357.

La nuova disciplina aumenta dunque, considerevolmente le situazioni di allontanamento dello straniero che implicano notevoli restrizioni alla libertà personale e che non prevedono, neppure ex post un’intervento obbligatorio del giudice, il che peraltro, rende impossibile l’articolazione di un preventivo contraddittorio, e questo risulta ancora più discutibile dal momento che il vigente t.u., altresì la nuova legge di riforma (L. 30 luglio 2002, n. 189), sembrerebbe espandere le possibilità di intervento del giudice in materia.

Rispetto alla disciplina previdente, il t.u. e quindi, la nuova legge in materia, nel configurare le garanzie giurisdizionali riconosciute agli stranieri, tiene maggiormente in conto le esigenze di effettività e celerità delle espulsioni e dunque di controllo dell’immigrazione358.

Una recente giurisprudenza civile ha interpretato questa normativa in controtendenza rispetto alle intenzioni del legislatore, determinando un arricchimento delle garanzie a riguardo sia sul piano sostanziale sia sul piano procedurale359.

Questo atteggiamento dei giudici ha indotto il legislatore a ritornare sull’argomento con il citato d.legisl. n. 113 al fine di adeguare la normativa ed al contempo di mettere un freno ad interpretazioni giudiziarie ritenute eccessivamente garantiste360.

In tema di limiti all’espulsione, si è già visto la disposizione contenuta nell’art. 19, 1° co.

Il secondo comma di questo articolo prevede invece, quattro categorie di stranieri ritenute, per le particolari relazioni familiari o condizioni personali che le contraddistinguono, meritevoli di particolare tutela: “e dunque, espellibili solo per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato”.

La Corte costituzionale è di recente tornata a pronunciarsi in tema di cause di inespellibilità361, dichiarando l’incostituzionalità del secondo comma dell’articolo in questione, “nella parte in cui, salvo che non sussistano motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, non estende il divieto di espulsione, già previsto in favore della donna extracomunitaria o che abbia partorito da non oltre sei mesi, al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio”.

Esiste infatti, secondo la Corte un principio di “paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi” 362 363.

La Corte richiama in materia anche la numerosa normativa che, a partire dagli anni ’70, ha “dato sempre maggiore realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità fra uomini e donne, della funzione sociale della maternità”, avuto riguardo ai “superiori interessi del bambino come oggetto di tutela diretta, quando non prevalente ed esclusiva”364.

E’ interessante riconsiderare inoltre, un’importante decisione della Cassazione, la n. 1082 del 1999,365 nella quale, muovendo dalla disciplina fissata nel t.u., si è affermato da una parte che l’impugnativa proposta dallo straniero contro il decreto di espulsione non può non presupporre la “denuncia della lesione di un diritto soggettivo”, dall’altra che contro la decisione del pretore “il cittadino extracomunitario può fare ricorso al giudice ordinario contro l’espulsione che ritiene illegittima”, riconoscendo quindi allo straniero un vero e proprio “diritto soggettivo” ed il rimedio del ricorso straordinario in Cassazione previsto dall’art. 111 Cost.366

In merito, lo stesso ricorso per Cassazione, anche a detta della dottrina di maggioranza, dev’essere sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo367 e munito di procura speciale368.

E’ anche inammissibile, in quanto proposto nei confronti di organo statuale non legittimato ex art. 13 bis d.leg. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 4 d.leg. n. 113 del 1999369, il ricorso per Cassazione avverso la decisione del tribunale sulla opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, proposto nei confronti del Ministero dell’interno370.

Infatti, il predetto art. 13 bis, in adesione al modello procedimentale di cui all’art. 23 l. n. 689 del 1981, conferisce al prefetto, unica autorità idonea a valutare adeguatamente le ragioni della controparte e della decisione, esclusiva legittimazione personale a contraddire l’opposizione dello straniero, legittimazione che non può ragionevolmente non estendersi al giudizio per Cassazione371.

Né alcuna rilevanza assume la eventuale costituzione in detto giudizio del Ministero dell’interno, non essendo ipotizzabile una sanatoria in caso di mancata eccezione della carenza di legittimazione in capo allo stesso dicastero372.

La nuova disciplina, comprensiva dell’attuale legge di riforma in materia, non prevede peraltro regole e strumenti di tutela per i casi di rifiuto, revoca ed annullamento del permesso di soggiorno, adottabili anche “sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti” (art. 5, 6° co.)373.

Questa può rivelarsi una lacuna grave, soprattutto alla luce del fatto che il passo successivo in questi casi è l’espulsione di un individuo.

Da ultimo, rilevante in merito, è Ia giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione374.

Stabilisce che i cittadini extracomunitari raggiunti da decreto di espulsione hanno il diritto di difendersi davanti a un tribunale.

Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Corte di Cassazione occupandosi del caso di un cittadino bulgaro che aveva chiesto al giudice di pronunciarsi sul provvedimento del prefetto che negava la revoca dell'espulsione da cui, precedentemente, era stato raggiunto.

Il tribunale aveva considerato inammissibile la sua istanza, non potendo pronunciarsi su un provvedimento amministrativo come il decreto di un prefetto.

Ma la Suprema Corte ha ribaltato il giudizio.

Affermando il principio della parità di trattamento tra cittadini immigrati e italiani, ha rilevato che: “la legge "Turco-Napolitano" - allo stato attuale ancora in vigore - riconosce ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi, non solo i diritti fondamentali della persona umana, previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, ma anche parità di trattamento con il cittadino, relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi nei rapporti con la pubblica amministrazione" (24 aprile 2002).

Proprio in materia di garanzie giurisdizionali degli extracomunitari, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stabilito, da ultimo, con un indirizzo garantista, in piena conferma con i nostri principi costituzionali, che, anche lo straniero non residente in Italia ha diritto di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato; accogliendo il ricorso di un cittadino straniero al quale era stata respinta una istanza di ammissione al gratuito sulla base del fatto che non risiedeva in Italia375.

La Suprema Corte, richiamando anche una recente pronuncia della Corte Costituzionale, ha invece rilevato che la legge non fa alcuna distinzione, per cui "anche lo straniero (senza distinguere - già s'è detto - tra residente o non residente in territorio nazionale) fruisce della garanzia costituzionale in ordine ai diritti civili fondamentali, in particolare in ordine al diritto di difesa, nel quale è compresa anche la difesa dei non abbienti".

2.9 – I DIRITTI DELLA SFERA FAMILIARE: i ricongiungimenti familiari.

La progressiva definizione di un diritto dell’immigrato a mantenere, o eventualmente a ricostruire, l’unità del nucleo familiare rappresenta uno degli elementi più rilevanti per una definizione complessiva della condizione giuridica del residente non-cittadino: in una chiara applicazione dell’articolo 29 e ss. della Costituzione, che al primo comma stabilisce che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

La l. n. 943 del 1986 (art. 4), configurò il diritto al ricongiungimento familiare come un diritto condizionato, il cui effettivo esercizio è subordinato alla disponibilità di mezzi economici adeguati a garantire alla famiglia “ricongiunta” normali condizioni di vita, ed asimmetrico, nel senso che la titolarità di questo spetta al lavoratore extracomunitario, non ai suoi familiari residenti all’estero.

La recente giurisprudenza costituzionale è intervenuta una prima volta in materia con la sent. n. 28 del 1995, che ha reinterpretato estensivamente l’istituto e ne ha riaffermato la rilevanza costituzionale.

Una seconda pronuncia ha invece, determinato una più profonda ridefinizione della struttura stessa del diritto al ricongiungimento.

La sentenza n. 203 del 1997 ha infatti, dichiarato incostituzionale l’art. 4, 1° co., della l. n. 943 del 1986, nella parte in cui non prevedeva, a favore del genitore straniero extracomunitario, il diritto al soggiorno in Italia per ricongiungersi al figlio legalmente residente e convivente in Italia con l’altro genitore.

La portata innovativa di questa pronuncia risiede essenzialmente nella riconfigurazione che questa determina dell’istituto del ricongiungimento familiare: non più quindi, un diritto del capofamiglia a farsi raggiungere dai propri congiunti, bensì un diritto fondamentale, di ogni componente di una famiglia, anche “di fatto”376, al mantenimento (o al ristabilimento) dell’unità familiare, il tutto, in una chiara e perfetta applicazione della nostra Carta costituzionale.377 378

Nella stessa direzione si è mosso, anche il Tribunale dei minorenni di Bologna379, che, ai sensi dell’art. 31, 3° comma, t.u. “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico dei figli minori stranieri che si trovano nel territorio italiano”, può autorizzare la madre all’ingresso ed alla permanenza nello Stato, in funzione di assistenza ai figli, per un periodo di tempo determinato, necessario al perfezionamento della procedura di ricongiungimento familiare, da intraprendere nel paese d’origine ai sensi dell’art. 29 t.u380.

Tuttavia, da ultimo, è dato registrare in giurisprudenza una “diversità di vedute” in merito, che testimonia, di come, il principio al mantenimento (o ristabilimento) dell’unità della famiglia di diritto e di fatto non sia un principio… “inderogabile”381.

La nuova disciplina ha trasferito sul piano legislativo le più importanti indicazioni pervenute dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

Nel giudizio di legittimità costituzionale382 dell’art. 28, comma 6°, della legge 6 marzo 1998, n. 40 (“Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), promosso con ordinanza emessa dal Tribunale di Parma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione nella parte in cui prevede che contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare l’interessato può presentare ricorso al pretore del luogo in cui risiede, il quale provvede, dopo averlo sentito, nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti cod. proc. civ., e che il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta, la Corte costituzionale, in merito, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale383.

L’aspetto cardine è il riconoscimento di un generale diritto all’unità familiare a favore di chiunque goda di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno e rilasciato per lavoro autonomo o subordinato, asilo, studio o per motivi religiosi (art. 28, 1° co.); che dimostrino la disponibilità di un alloggio di certe dimensioni e di un certo reddito annuo, per il coniuge non legalmente separato, i figli minori a carico, i genitori a carico e i parenti entro il terzo grado a carico e inabili al lavoro (art. 28 co. 1° e art. 29 co. 1° e 3°).

Quindi, si è ampliato l’ambito dei familiari che possono ricongiungersi e si è previsto un ulteriore istituto, il c.d. “ingresso a seguito” (art. 29 co. 4°: “E’ consentito l’ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato, relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3”) il quale, in presenza di determinate previsioni permette di preservare l’unità familiare dello straniero anche nelle prime fasi della sua migrazione.

Accanto alla disciplina legale del permesso di soggiorno, allo straniero, a fini di ricongiungimento a familiare straniero già titolare di carta o di permesso di soggiorno ultrannuale, quale fissata dagli artt. 28, 29 e 30 del d.leg. n. 286/1998, il governo italiano ha, con d.p.c.m. 16 ottobre 1998, dettato una disciplina derogatoria in bonam partem, la quale consente l’operare del ricongiungimento, per le finalità di cui all’art. 28, 1° e 2° comma, d.leg. cit., anche a soggetti che, essendo sul territorio come clandestini da prima del 27 marzo 1998, mai avrebbero potuto beneficiare di un ingresso con nulla osta chiesto dal familiare regolarmente soggiornante, né – conseguentemente – di un proprio autonomo titolo di soggiorno.

Il d.p.c.m. in questione (recante programmazione dei flussi di ingresso in attuazione della previsione di cui all’art. 3, 4° comma, d.leg. n. 286 cit., nonché, fra l’altro, disposizioni specifiche sulla c.d. “sanabilità delle presenze di stranieri in Italia da data anteriore all’entrata in vigore della l. n. 40/98”, e costituente una fonte di normazione secondaria, e perciò originante norme regolamentari a rilevanza esterna la cui violazione è conseguentemente sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.) attribuisce, più in particolare ed appunto, con l’art. 5, allo straniero presente in Italia come clandestino e che non abbia i requisiti per una personale e diretta regolarizzazione di soggiorno, la possibilità, ultralegale e quindi di carattere eccezionale, di ottenere, a domanda, un permesso di soggiorno per ricongiungersi a familiare regolarmente soggiornante, sempre che sussistano le condizioni minime di accoglienza di cui all’art. 29, 3° comma, lett. a) e b)384.

Da ultimo, all’articolo 29 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, sono apportate le seguenti modificazioni:

- al comma 1, alla lettera b), indicante i soggetti per cui è possibile il ricongiungimento, è inserita la seguente: "b-bis) i figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale";

- al comma 1, alla lettera c) sono aggiunte, infine, le seguenti parole: “qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute";

- al comma 1, da ultimo, la lettera d) è abrogata (art. 23, co., 1, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Ed infine, la sostituzione dei commi 7, 8 e 9.

Infatti, la domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della prescritta documentazione compresa quella attestante i rapporti di parentela, coniugio e la minore età, autenticata dall’autorità consolare italiana, è presentata allo Sportello Unico per l’Immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale di Governo competente per il luogo di dimora del richiedente, la quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento.

L’ufficio, verificata, anche mediante accertamenti presso la questura competente, l’esistenza dei requisiti suddetti, emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta (art. 23, co., 7, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo Sportello Unico per l’Immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione.

La nuova legge, come tale, non consente il ricongiungimento dei “genitori a carico”, qualora abbiano altri figli nel paese di origine e provenienza (limitazione, questa, non prevista nel Testo Unico precedente).

Non è più consentito, inoltre, il ricongiungimento coi parenti entro il terzo grado a carico inabili al lavoro (come invece ammetteva il precedente disposto normativo).

Il ricongiungimento è, quindi, possibile solo per il coniuge a carico, i figli minorenni e, se totalmente invalidi al lavoro (non, quindi, se invalidi al 99%?!) anche i figli maggiorenni a carico385.

Ci sono una serie di norme che configurano una intromissione delle autorità nel diritto al vivere in famiglia, che è garantito dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e che la Consulta afferma essere garantito dalla Costituzione italiana anche agli stranieri in base agli articoli 29 e 30.

Il primo caso più evidente, è la revoca del permesso di soggiorno ai coniugi stranieri di cittadini italiani, qualora, venga meno la convivenza.

Si configura, anche in questo caso, una disuguaglianza tra una famiglia composta da comunitari, e una famiglia formata da un italiano e un extracomunitario.

Tra l'altro mal si coordina con l'altra norma, ereditata dalla legge del `98, che permette di avere un permesso di soggiorno ad altro titolo a chi, avendo usufruito del ricongiungimento familiare, si separa o si divorzia.

Infine, si riconosce la competenza alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane a rilasciare altresì il visto di “ingresso al seguito” nei casi previsti dal comma 5.

Da ultimo, recependo quanto stabilito nella sent. n. 203 del 1997, di cui sopra, si è prevista l’ipotesi di un ricongiungimento “al contrario”, vale a dire: l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito (6° co.)386.

Le previsioni al riguardo sono completate dal divieto assoluto di espulsione del minore387 (salvo di quella “ministeriale”, e salvo ancora il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi) e degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge di nazionalità italiana (art. 19, 2° co., lett. A e C)388 389.

La stessa disciplina della cittadinanza per molti aspetti interviene a configurare il quadro complessivo in tema dei diritti della sfera familiare.

La Corte costituzionale ha chiarito, fin dalla sentenza n. 87 del 1975, che anche le norme in materia di acquisto e perdita della cittadinanza sono sottoponibili ad un controllo di ragionevolezza alla luce della garanzia del principio di eguaglianza, dei diritti inviolabili del singolo così come della tutela della vita familiare.

La sentenza n. 30 del 1983, a questo proposito, ha dichiarato l’incostituzionalità di una serie di norme della legge sulla cittadinanza del 1912, essenzialmente sulla base dell’inerenza delle norme censurate a principi del diritto di famiglia oramai superati dall’evoluzione di questo stesso diritto, a partire dal principio della patria potestà.

Questa decisione inoltre, contiene altre affermazioni di notevole rilievo: da una parte questa infatti, finalmente afferma che “la presenza di più cittadinanze all’interno di un nucleo familiare non comporta una lesione dell’unità del nucleo stesso”; dall’altra si riconosce che la tutela del principio di eguaglianza prevale sui tentativi effettuati a livello internazionale di evitare i casi di doppia cittadinanza390.

Occorre ricordare in materia, le seguenti pronuncie della Corte costituzionale: la sentenza n. 199 del 1986, il cui interesse risiede nel riferimento in essa contenuto alla qualità di “cittadino potenziale” del minore straniero391 e nell’affermazione secondo cui la pretesa all’acquisto della cittadinanza merita una particolare tutela quando questa si ricollega all’attuazione di un diritto costituzionalmente garantito e, per contrasto con questa, l’ord. n. 490 del 1988, per la discutibile affermazione in essa contenuta secondo cui, non costituendo l’acquisto della cittadinanza un diritto fondamentale, la disparità di trattamento nell’attribuzione di questo status non avrebbe comunque costituito una violazione dell’art. 3 Cost.392

In tema di diritti della famiglia si deve ricordare, inoltre, per i principi di cui sono “portatrici”, la sentenza n. 376/2000 (in nota) e, in tema di convivenza more uxorio, le ordinanze nn. 313/2000 (in nota) e 481/2000 (in nota).

2.9.1. – Ricongiungimento familiare: le nuove regole Ue (Direttiva 2003/86/CE 22.9.2003 GUCE 3.10.2003)

Da ultimo, rilevante in materia, per il carattere “armonizzatorio” risulta essere il principio fondamentale contenuto nella Direttiva 2003/86/CE pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 251 del 03/10/2003.

Infatti, stabilito il diritto al ricongiungimento familiare per cittadini dei paesi terzi legittimamente residenti nell’Unione, esso dovrà esercitarsi, secondo criteri comuni in tutti gli Stati membri.

La direttiva introduce nel diritto comunitario norme comuni in materia di diritto al ricongiungimento familiare, fino ad oggi riconosciute soltanto da strumenti giuridici internazionali, in particolare dalla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.

Il ricongiungimento familiare consentirà di tutelare l’unità familiare e agevolerà l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi negli Stati membri.

La direttiva si rivolge al soggiornante che sia già titolare di un permesso di soggiorno393 rilasciato da uno Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno ed abbia una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile, se i membri della sua famiglia sono cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status giuridico.

Potrà beneficiare del ricongiungimento familiare: innanzitutto il coniuge del richiedente; poi i figli minorenni della coppia, o di uno dei due, compresi i figli adottivi (sono minori i figli che abbiano un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non siano coniugati).

In deroga alla disposizione che precede, qualora un minore abbia superato i dodici anni e giunga in uno Stato membro indipendentemente dal resto della sua famiglia, quest’ultimo, prima di autorizzarne l’ingresso ed il soggiorno ai sensi della presente direttiva, può esaminare se siano soddisfatte le condizioni per la sua integrazione richieste dalla sua legislazione in vigore al momento dell’attuazione della presente direttiva.

Sarà facoltà degli Stati membri decidere se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente, figli maggiorenni non coniugati, partners non coniugati o la cui relazione sia registrata, nonché, in caso di matrimoni poligami, i figli minori di un altro coniuge.

La direttiva non si applica invece:

·       quando il soggiornante chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;

·       quando è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di una protezione temporanea o ha chiesto l’autorizzazione a soggiornare per questo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status;

·       quando, infine, è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione.

Nelle procedure di richiesta di ricongiungimento, oltre alla domanda corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari, gli Stati membri potranno convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari.

Una volta accettata la domanda lo Stato autorizza l’ingresso del familiare agevolandone il rilascio del visto e concedendo un primo permesso di soggiorno, rinnovabile, con un periodo di validità di almeno un anno.

I familiari del soggiornante hanno diritto:

- all’accesso all’istruzione;

- ad un’attività lavorativa dipendente o autonoma;

- all’accesso all’orientamento, alla formazione, al perfezionamento e all’aggiornamento professionale.

Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale.

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il Consiglio europeo ha riconosciuto, nella riunione speciale svoltasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, la necessità di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi.

In tale contesto esso ha affermato che l’Unione europea dovrebbe garantire un trattamento equo ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente sul territorio degli Stati membri e che una politica più energica in materia d’integrazione dovrebbe proporsi di offrire loro diritti e doveri comparabili a quelli dei cittadini dell’Unione europea.

Conseguentemente il Consiglio europeo ha chiesto al Consiglio di adottare rapidamente decisioni sulla base di proposte della Commissione.

La necessità di raggiungere gli obiettivi definiti a Tampere è stata riaffermata dal Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001.

Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare.

Esso, secondo l’indirizzo della direttiva stessa, contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.

La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare.

Il diritto al ricongiungimento familiare dovrebbe essere esercitato nel necessario rispetto dei valori e dei principi riconosciuti dagli Stati membri, segnatamente qualora entrino in gioco diritti di donne e di minorenni394.

Tale rispetto giustifica che alle richieste di ricongiungimento familiare relative a famiglia poligama possono essere contrapposte misure restrittive.

La possibilità di limitare il diritto al ricongiungimento familiare dei minori che abbiano superato i dodici anni e che non risiedono in via principale con il soggiornante intende tener conto della capacità di integrazione dei minori nei primi anni di vita e assicurare che essi acquisiscano a scuola l’istruzione e le competenze linguistiche necessarie.

La riunificazione familiare può essere rifiutata per motivi debitamente giustificati.

In particolare la persona che desideri ottenere la riunificazione della famiglia non dovrebbe costituire una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna.

Nella nozione di ordine pubblico può rientrare una condanna per aver commesso un reato grave.

In tale contesto è da notare che nel concetto di ordine pubblico e di sicurezza pubblica possono rientrare pure casi in cui un cittadino di un paese terzo fa parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale, sostiene una siffatta organizzazione o nutre aspirazioni estremistiche.

Poiché gli scopi dell’azione proposta, cioè l’istituzione di un diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini di paesi terzi che venga esercitato secondo modalità comuni, non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, a causa delle dimensioni e degli effetti dell’intervento, essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato.

La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, allegato al trattato sull’Unione europea ed al trattato che istituisce la Comunità europea, e senza pregiudizio dell’articolo 4 di detto protocollo, tali Stati membri non partecipano all’adozione della presente direttiva e non sono vincolati da essa, né sono soggetti alla sua applicazione.

La Danimarca, a norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegata al trattato sull’Unione europea ed al trattato che istituisce la Comunità europea, non partecipa all’adozione della presente direttiva e non è vincolata, né è soggetta alla sua applicazione .

La presente direttiva non si applica ai familiari di cittadini dell’Unione.

La presente direttiva fa salve le disposizioni più favorevoli contenute:
a) negli accordi bilaterali e multilaterali stipulati tra la Comunità o tra la Comunità e i suoi Stati membri, da una parte, e dei paesi terzi, dall’altra;

b) nella Carta sociale europea del 18 ottobre 1961, nella Carta sociale europea riveduta del 3 maggio 1987 e nella convenzione europea relativa allo status di lavoratore migrante del 24 novembre 1977.

2.10 – I DIRITTI DELLA SFERA SOCIALE.

Indipendentemente dalla cittadinanza del soggetto, proprio nella loro veste di diritti fondamentali della persona, come tali riconosciuti dalla Costituzione e quindi inalienabili, vengono attribuiti allo straniero, diritti in materia di istruzione (art. 34 Cost.), salute (art. 32 Cost.), alloggio.

In tal senso, occorre preliminarmente affermare che, il Welfare state è un insieme di interventi pubblici connessi ai processi di industrializzazione e di modernizzazione, i quali forniscono protezione sotto forma di assistenza, assicurazione obbligatoria e sicurezza sociale, introducendo tra l’altro specifici diritti sociali (nel caso di eventi prestabiliti) nonché specifici doveri di contribuzione finanziaria a destinatari tra i quali vanno annoverati anche gli stranieri395.

La definizione analitica di Welfare state è da ricondursi all’essenza dei diritti pubblici da un lato e ai diritti sociali dall’altro.

La questione è su come debbano essere interpretati i diritti sociali e su che cosa questi diritti sociali possano fondarsi e nella capacità o meno degli stessi di soddisfare le esigenze degli stranieri che si inseriscono in un contesto sociale396.

Nello stato sociale la componente statale è essenziale e centrale in quanto afferma diritti sociali che corrispondono a bisogni di vita, di sicurezza e benessere attraverso istituti di protezione, trasferimenti e servizi, in cui sono destinatari anche gli extracomunitari.

Gli scopi, citati con maggior frequenza, insiti nell’esistenza dello stato sociale sono due:

- L’attuazione di politiche verso e contro la povertà e l’esclusione sociale;

- L’attuazione di politiche intorno alla diseguaglianza in merito all’appropriazione e alla distribuzione di specifici tipi di risorse sociali (reddito, occupazione, sapere).

E’ in questo contesto che dev’essere inserito il fenomeno dell’immigrazione397.

L’obiettivo dell’azione contro la povertà è un obiettivo di una larga varietà di regimi di stato sociale, mentre invece l’obiettivo della lotta contro la diseguaglianza, a favore di una politica dell’integrazione dell’immigrazione sembra restringere piuttosto il campo dello stato sociale attorno a una particolare tradizione europea, cioè la tradizione che si è identificata attorno al tema della cittadinanza sociale398.

Questi possono essere i tratti peculiari dello stato sociale europeo:

- Lo stato sociale serve all’integrazione politica della società entro il perimetro dello stato nazionale.

Questo sia nella variante Bismark (integrazione dall’alto) sia nella variante Beverige-Marshall (integrazione della cittadinanza).

Nella sua relazione Beverige parla, della necessità di costruire una più solida architettura dello Stato nazionale e della comunità che si riconosce in questo stato nazionale.

Questa identificazione molto forte dello Stato nazionale con lo stato sociale pone delle questioni molto forti399.

La capacità dello Stato nazionale di perseguire la propria integrazione politica attraverso le politiche di Welfare all’interno è sollecitata dalle politiche di globalizzazione e di mondializzazione.

Quando si dice cittadinanza non dovremmo dimenticarci che si parla di cittadinanza politica, mentre la cittadinanza sociale è un piano successivo400.

Lo stato sociale è produzione e regolazione per via amministrativa dei bisogni sociali: questo sembra implicito nello "stateness": più lo stato è forte (qui non bisogna intendere naturalmente il dispotismo militare, ma la consistenza, la capacità e la competenza amministrativa, nonchè organizzativa di funzionamento), più il benessere che questo può produrre e distribuire è forte.

In questo caso si delineerebbe una scala, una polarità della forza che lo stato produce che va da una base minima o bassa di trasferimenti clientelari (caratteristica che sovente è imputata al modello italiano di Welfare, considerato già negli anni ’80 con una connotazione particolaristica, ma anche clientelare, proprio per sottolineare la debolezza strutturale della regolazione pubblica e la grande permeabilità dello stato alle pressione frammentate, particolaristiche e irrazionali dei gruppi di interesse), e abbiamo dall’altra parte una scala con la produzione di benessere attraverso servizi universalistici, in particolare ben amministrati e ben distribuiti401

Identità nazionale, solidità del patto sociale e forza dell’amministrazione e quindi della regolazione pubblica sono tre caratteristiche della tradizione europea di Welfare che ci potrebbero portare a interrogarci sulle peculiarità del sistema italiano402.

Da ultimo, si rileva che, Paesi con tradizione coloniale, ad esempio, tendono all’assimilazione, benché fatti oggetto di un fenomeno di immigrazione quantitativamente rilevante: esempio, Francia, Inghilterra; altri paesi, hanno affrontato il fenomeno con una integrazione economica provvisoria (casa, lavoro, servizi sociali), ma rifiutano l’integrazione (Svizzera, Germania); altri la dosano, regolando i flussi compatibili (Stati Uniti).

Va ricordata la recente formazione di una giurisprudenza, costituzionale, ordinaria e amministrativa, su diversi profili della condizione del non-cittadino, che evidenzia la necessità di un “bilanciamento dei valori in gioco”, tra il rispetto delle norme formali in materia di soggiorno ed il concreto esame della condotta dello straniero, della dignità e moralità delle sue abitudini di vita, dello spessore dei suoi legami sociali sviluppati con il paese di immigrazione in relazione anche alla durata della sua permanenza.

Anche in materia di diritti sociali la nuova disciplina non risulta peraltro, particolarmente innovativa, dal momento che buona parte dei diritti che questa riconosce erano già stati fissati in precedenti provvedimenti, seppur caratterizzati dalla provvisorietà della loro efficacia, ma soprattutto che, l’efficacia dell’affermazione di tali diritti è demandata a regolamenti applicativi i cui tempi e contenuti sono estremamente incerti.

Il regolamento di attuazione, nonostante il lungo iter di approvazione, non esaurisce infatti, il quadro normativo indispensabile per una completa ed uniforme applicazione della legge che scongiuri il verificarsi di trattamenti differenziati e discrezionali da parte degli uffici amministrativi locali.

Lo stesso regolamento rinvia in diverse occasioni a successivi decreti ministeriali per la concreta attuazione di singole questioni, ed è dunque lecito attendersi che anche in futuro troverà spazio quella “legislazione per circolari” caratterizzante il quadro normativo previgente.

Dunque, l’individuazione dei titolari di tali diritti, deve tenere in considerazione l’inserimento del singolo all’interno di una data collettività e realtà socio-economica403.

Il diritto alla salute, sia in quanto fondamentale diritto dell’individuo come riconosciuto più volte dalla giurisprudenza costituzionale404 e dalla dottrina405, sia in quanto “interesse della collettività”406, è riconosciuto a chiunque, a prescindere dal possesso della cittadinanza, anche nel suo aspetto positivo di servizio pubblico (art. 32 Cost.).407

Inoltre, il t.u., ma soprattutto e da ultimo la legge 6 giugno 2002 n. 146, modificando la precedente normativa, non subordina più l’iscrizione al servizio sanitario nazionale al criterio della residenza.

Lo straniero con il permesso di soggiorno ed i familiari a carico devono infatti, iscriversi negli elenchi delle ASL del luogo di effettiva dimora, intendendosi per tale luogo, in assenza di iscrizione anagrafica, quello indicato nel permesso di soggiorno (art. 34, 6° co. e art. 42 reg. attuazione).

La non regolarità della residenza tuttavia, non costituisce un elemento di totale esclusione dalle prestazioni sanitarie408.

Il diritto alla salute ed i diritti del minore ricevono infatti, una certa tutela, prevalendo dunque, su eventuali condizioni di irregolarità409.

A tal proposito, in tema di ripartizione delle spese di assistenza e cura sanitaria, sostenute per gli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno, l’art. 53, 6° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, dispone che il finanziamento delle prestazioni ospedaliere urgenti o comunque essenziali è a carico del Ministero dell’interno, mentre le spese relative ai programmi di medicina preventiva, e in particolare agli interventi elencati nel 2° comma dell’articolo citato, sono a carico del fondo sanitario nazionale, con corrispondente riduzione dei programmi riferiti agli interventi di emergenza e, quindi, a carico delle aziende sanitarie410.

Il regolamento di attuazione specifica ulteriormente la materia all’art. 43, il cui 5° co. si rivela di una certa importanza nell’incoraggiare il ricorso alle strutture sanitarie da parte degli immigrati irregolari, timorosi di venire allo scoperto anche in caso di malattie o gravi infortuni: il comma in questione infatti, dispone che non può venire segnalato all’autorità di polizia lo straniero non in regola che ricorra a cure mediche, se non nei casi in cui il referto risulta obbligatorio anche nei confronti dei cittadini italiani.

In materia, oltre alla legislazione nazionale, intervengono anche le legislazioni regionali talvolta ulteriormente estensive dei diritti riconosciuti al riguardo agli stranieri comunque presenti411.

Da ultimo la Cassazione412, ha disposto che gli immigrati da curare non possono essere espulsi.

Un immigrato sprovvisto di permesso di soggiorno può non essere espulso dal nostro territorio se le sue condizioni di salute siano così gravi da richiedere cure ospedaliere urgenti o comunque essenziali.

Lo ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che ha rilevato che solo a queste condizioni lo straniero, entrato clandestinamente, può ottenere il permesso di restare in Italia (1 marzo 2002).

Infatti, già precedentemente si riconosceva la sospensione cautelare del provvedimento che dispone l’espulsione dal territorio nazionale del cittadino extracomunitario ove risultava documentato, da attestazione rilasciata dall’associazione volontaria assistenza socio-sanitaria stranieri e nomadi, che a causa delle sue precarie condizioni di salute egli è bisognoso di continua assistenza sanitaria413.

Un discorso simile riguarda il diritto del lavoratore extracomunitario e della sua famiglia all’istruzione scolastica, universitaria e professionale.

Infatti, alla luce dell’articolo 34 1° co., della Costituzione, secondo cui la “la scuola è aperta a tutti” e del principio dell’obbligatorietà e della gratuità dell’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, il t.u. estende quanto in precedenza disposto: “tutti i minori stranieri presenti sono soggetti all’obbligo scolastico”, in questo contesto quindi, le differenze culturali e linguistiche non costituiscono ostacoli, bensì, valori da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra culture e della tolleranza (art. 38 t.u.).

In materia di istruzione universitaria, scomparsa già con la legge Martelli la subordinazione dell’iscrizione all’università al possesso di uno specifico permesso di soggiorno, l’art. 39 del t.u., parzialmente inalterato dalla legge 6 giugno 2002 n. 146, ha assicurato la parità di trattamento nell’accesso all’università tra cittadino e straniero in regola con il soggiorno.

Il numero massimo di permessi di soggiorno annualmente concedibili per l’accesso all’istruzione universitaria è stabilito con decreto del Ministro degli affari esteri di concerto con quelli dell’interno e dell’università, l’accesso all’università per chi possiede altri tipi di permesso non è sottoposto a limiti particolari.

Il comma 5 dell'articolo 39 del testo unico, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, novato, prevede nello specifico, che è comunque consentito l'accesso ai corsi universitari, a parità di condizioni con gli studenti italiani, agli stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro subordinato o per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, o per motivi religiosi, ovvero agli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno in possesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia, nonché agli stranieri, ovunque residenti, che sono titolari dei diplomi finali delle scuole italiane all'estero o delle scuole straniere o internazionali, funzionanti in Italia o all'estero, oggetto di intese bilaterali o di normative speciali per il riconoscimento dei titoli di studio e soddisfino le condizioni generali richieste per l'ingresso per studio (art. 26, l. 30 luglio 2002, n. 189)

Da ultimo, nell’ottica della stessa legge di riforma, si è stabilito che l’accesso alle misure di integrazione sociale è riservato agli stranieri non appartenenti a Paesi dell’Unione europea che dimostrino di essere in regola con le norme che disciplinano il soggiorno in Italia ai sensi del suddetto decreto, e delle leggi e regolamenti vigenti in materia.

Anche il diritto all’abitazione, riconosciuto dalla Corte costituzionale414 come diritto fondamentale, e dunque, anche ai non cittadini, costituisce un’altra componente essenziale del complesso diritto del lavoratore extracomunitario e della sua famiglia ad un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.): sostanziali diseguaglianze nell’accesso all’abitazione pongono infatti, nel nulla gli stessi diritti della sfera familiare, costituendo la disponibilità di un alloggio idoneo uno dei prerequisiti essenziali per richiedere il ricongiungimento dei familiari rimasti all’estero.

Discutibile è la limitazione, contenuta nel nuovo testo di legge, dell’accesso alle misure di integrazione sociale ai soli extra-comunitari in regola con le norme di soggiorno in Italia.

In effetti, esistono primari doveri di assistenza e solidarietà che prescindono, specie quando si tratti di minorenni e di donne in stato di gravidanza, dalla regolarità formale del soggiorno.

La nuova disciplina (art. 40) innova non poco a riguardo rispetto alla legislazione precedente: ai centri di prima accoglienza ed ai servizi per gli immigrati e le loro famiglie, previsti dalla legge Martelli, si aggiungono ulteriori soluzioni alloggiative e la stessa funzione dei centri viene riveduta.

A questi, infatti, aperti gratuitamente a tutti coloro, cittadini o stranieri, in condizione di disagio o comunque di basso reddito e che offrono, oltre che un alloggio, una serie di servizi per il reinserimento (o il primo inserimento) (1°, 2° e 3°), si aggiungono “alloggi sociali”, ossia strutture alloggiative collettive a costi calmierati (4° co.), ed inoltre, per i possessori di carta di soggiorno e di permessi di lavoro di una certa durata, alloggi di proprietà di enti pubblici.

Suscita invece perplessità che si continui a porre come condizione per l’ingresso a scopo di lavoro subordinato il fatto che il datore di lavoro debba offrire al non-cittadino la disponibilità di un’idonea sistemazione alloggiativi (art. 22, 2° co.).

Uno specifico ruolo in materia, come del resto anche nei campi della salute e dell’istruzione, era riconosciuto, alle regioni ed agli enti locali, chiamati alla realizzazione delle strutture alloggiative ed alla determinazione delle regole per l’accesso alle strutture pubbliche.

Le regioni in particolare, erano chiamate a finanziare opere di risanamento degli alloggi da destinare ad alcune categorie di stranieri lungo-residenti.

La nuova legge, infatti, abroga il comma 5 dell’art. 40 del testo unico che prevede la concessione di contributi da parte delle regioni a comuni, province, enti morali pubblici e privati per opere di risanamento igienico sanitario di alloggi di loro proprietà o disponibilità almeno quindicennale da destinare a stranieri in possesso di permesso di soggiorno per lavoro, studio, motivi familiari, asilo politico o umanitario.

Anche tale disposizione è controproducente in quanto comporta un aggravamento delle condizioni di vita (con il conseguente pericolo di malattie e tensioni sociali) anche degli extracomunitari ospitati nei centri di accoglienza415.

Infine, si è stabilito che gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, nel limite del cinque per cento degli alloggi e delle agevolazioni, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione.

Mentre, la vecchia legge prevedeva l’accesso, in condizioni di parità, per gli stranieri in possesso di carta di soggiorno e regolarmente soggiornanti iscritti nelle liste di collocamento o esercitanti attività di lavoro subordinato o autonomo, alla proprietà o alla locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ed al credito agevolato.

Anche per ciò che concerne quel complesso di misure riconducibili ad obbiettivi di integrazione e di inserimento sociale, vale lo stesso rilievo sulla centralità delle competenze in materia di regioni, enti locali ed associazioni.

Il supporto concreto alle iniziative in materia nella nuova disciplina dipende dal Fondo nazionale per le politiche migratorie (art. 45).

Le misure di un certo rilievo nel quadro delle politiche di integrazione presuppongono scelte di base di carattere politico-culturale: a questo fine si è prevista l’istituzione di una Commissione per le politiche di integrazione (art. 46), composta da rappresentanti delle amministrazioni maggiormente coinvolte sull’immigrazione, con compiti di analisi, indirizzo, studio e proposta, chiamato a costituire il referente in materia del Governo e ad elaborare annualmente un rapporto da presentare al Parlamento, sullo stato di attuazione della legge.

La condizione del non-cittadino più o meno regolarmente presente, resta comunque segnata, non solo dai limiti riguardanti la titolarità formale di una serie di diritti, bensì anche da gravi limitazioni all’effettivo godimento degli stessi diritti di cui pure risultano formalmente titolari.

Il discorso non può che trascendere la sfera del giuridico positivo.

2.11 – I DIRITTI POLITICI: dal concetto di cittadinanza (sostanziale) al diritto di voto il passo è breve?

A riguardo, due questioni acquisiscono una particolare rilevanza: in primo luogo l’estensione o meno dei diritti politici ai non-cittadini residenti indipendentemente dalla nazionalità, per lo meno alle elezioni locali, ed in secondo luogo i criteri di naturalizzazione e di accesso alla cittadinanza legislativamente previsti.

L’Italia è infatti, tra i paesi UE che richiedono, ai fini dell’ammissibilità della domanda di naturalizzazione, tempi di residenza legale più lunghi, coincidenti peraltro con la soglia massima prevista dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla cittadinanza del 1997.

La legge italiana sulla cittadinanza contiene inoltre norme decisamente severe e restrittive per l’applicazione del criterio dello “jus soli”, consentendo agli immigrati di seconda generazione l’acquisto della cittadinanza italiana, su richiesta presentata tra il diciottesimo e il diciannovesimo anno di età, solo in caso di residenza continuativa in Italia dal momento della nascita416.

I diritti politici sono “naturalmente” rimasti riservati al “popolo” dei soli cittadini, così come nello Stato liberale questi rimanevano “naturalmente” riservati ai soli maschi proprietari.

Che le costituzioni contemporanee riconoscano testualmente come inviolabili e di rango costituzionale i diritti politici dei (soli) cittadini ha dunque, costituito per lungo tempo la giustificazione per precludere questi diritti ai non-cittadini417.

Di contro, al di là della nozione formale di cittadinanza, a cui si riferiscono i testi costituzionali nel limitare l’accesso ai diritti politici, sta infatti, una idea storico-sostanziale di cittadino, che si ricollega alle concrete e molteplici relazioni intercorrenti tra gli individui insediati in un dato contesto sociale, economico, culturale, territorialmente definito; ed è pertanto a questa idea di cittadinanza che si riferiscono le costituzioni nel momento in cui definiscono la sovranità “popolare” e non più nazionale418.

Di conseguenza la limitazione dei diritti politici alla comunità dei cittadini può giustificarsi solo se, i meccanismi di riconoscimento della cittadinanza formale, a partire dalle leggi in materia, riescono a ricomprendere al loro interno l’effettiva comunità socio-politica dei cittadini419.

Ma questa coincidenza tra i due profili nell’ordinamento italiano come in altri, non si determina essenzialmente per due motivi.

Da una parte infatti, non tutti coloro che potrebbero dirsi cittadini da un punto di vista sostanziale (che vivono stabilmente sul territorio nazionale, partecipano di fatto alla vita della collettività che vi risiede e ne subiscono completamente le decisioni pubbliche delle diverse autorità), sono considerati giuridicamente cittadini: gli immigrati ed i loro (ri)congiunti.

Dall’altra, vi sono invece individui che pur non potendosi dire sostanzialmente cittadini, avendo abbandonato quel territorio e quella collettività per insediarsi altrove, continuano a godere della cittadinanza giuridica e dunque dei diritti politici: gli emigrati e le loro famiglie.

Un punto nodale, in materia di diritti politici, è l’estensione del diritto di voto agli “stranieri”.

E’ chiaro che i modi con cui i diversi paesi hanno affrontato ed affrontano la questione dell’estensione del diritto di voto al di là dei cittadini residenti, si ricollegano alle caratteristiche migratorie della popolazione di un certo Stato420.

Uno Stato storicamente di emigrazione sarà indotto a configurare l’accesso ai diritti politici in maniera diversa da quella che si configurerà in un paese meta di immigrazione e di insediamento dall’estero: i primi tenderanno a valorizzare ed a mantenere i legami tra chi emigra ed il paese di origine, mentre i secondi articoleranno le proprie opzioni in materia, a seconda del tipo di integrazione cui mirano.

La Corte costituzionale fino ad ora, non ha preso una posizione chiara in materia, limitandosi nella sua più risalente giurisprudenza ad escludere che tali diritti possano definirsi “fondamentali”421, o comunque evitando di affrontare l’argomento, è il caso dell’ord. n. 316/1989, sull’estensione dell’elettorato passivo al Parlamento europeo dei cittadini degli Stati-membri eleggibili secondo le rispettive normative nazionali.

La Corte infatti, si liberò del problema pronunciandosi per irrilevanza della questione, dovuta al venire meno dei presupposti di fatto che l’avevano originata.

In queste scarne indicazioni non sembra comunque potersi rintracciare una scelta della Corte a favore o contro un’eventuale estensione dei diritti politici agli stranieri.

Una recente decisione del Giudice delle leggi, pur riguardante una diversa questione, potrebbe comunque produrre effetti anche sull’interpretazione dell’art. 48 Cost.: la sent. n. 172/1999, riguardo la sottoponibilità degli apolidi residenti in Italia agli obblighi di leva422.

In questa decisione infatti la Corte, superando la sua precedente giurisprudenza in materia423, riconosce che l’art. 52 Cost. (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”), ha l’obbiettivo di stabilire in positivo, non già di circoscrivere in negativo, i limiti soggettivi del dovere costituzionale; di conseguenza, il fatto che titolari dell’obbligo contenuto nell’art. 52 siano testualmente i cittadini, non esclude che tale dovere possa venire ragionevolmente esteso ad altri soggetti424.

Dalla formulazione dell’art. 48 Cost., 1° co., in forza del quale “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, per lungo tempo la prevalente dottrina425, ha tratto la conclusione che soltanto i cittadini potessero accedere ai diritti elettorali, tanto politici quanto locali, stante la compattezza con cui il costituente ha disciplinato la materia.

La dottrina più recente tuttavia, va articolando il discorso in tema di partecipazione politica degli stranieri, estendendo quell’interpretazione soggettivamente, oltre che oggettivamente, “aperta” del catalogo dei diritti, già affermatasi in relazione ad altre categorie di situazioni giuridiche.

Il riferimento testuale ai cittadini anche in questo contesto costituirebbe un possibile elemento di differenziazione, di graduazione nel riconoscimento dei diritti in questione, elemento ricollegabile alla discrezionalità legislativa, ma temperata quest’ultima dai sempre più numerosi ed articolati obblighi comunitari e previsioni internazionali in materia426.

Attraverso questa lettura del riferimento testuale al cittadino, possano riconoscersi allo straniero anche il diritto di riunione (art. 17 Cost.) ed associazione (art. 18 Cost.)427.

Degna di nota, in merito, risulta essere la proposta dell’On. Gianfranco Fini circa l’estendibilità del voto agli immigrati428.

Consentire agli immigrati di votare alle elezioni amministrative dopo sei anni di regolare permanenza in Italia.

È quanto prevede la proposta di legge costituzionale presentata dal vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini alla Camera il 16 ottobre, come articolo aggiuntivo all'articolo 48 della Costituzione che regola il diritto di voto429.

Per diventare legge occorreranno quattro passaggi parlamentari, due per ciascun ramo del Parlamento.

Nella prassi tuttavia, si continua a registrare un atteggiamento di chiusura dell’ordinamento italiano sul terreno della concessione dei diritti politici agli stranieri, e questo tanto sul piano della concessione di diritti di partecipazione politica agli stranieri, quanto sul piano dell’accesso alla cittadinanza.

In quest’ottica risulta inserita la pronuncia n. 1185/2001, del T.A.R. dell’Abruzzo, sez. Pescara, che ha disposto, che la donna extracomunitaria che sposa un cittadino italiano e si separa dopo pochi mesi perde il diritto alla cittadinanza: dunque, allo scadere del permesso di soggiorno deve essere espulsa.

Così ha deciso il T.A.R. dell’Abruzzo, sez. di Pescara, che ha respinto un ricorso presentato da una cittadina extracomunitaria.

La donna aveva sposato un italiano per evitare un provvedimento di espulsione, ma si era separata dal marito dopo pochi mesi di matrimonio.

Di quì il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno da parte del questore di Pescara e la presentazione del ricorso.

Ricorso che veniva rigettato perché, a detta dei giudici amministrativi: “Il venir meno della effettiva convivenza matrimoniale, in un lasso di tempo brevissimo, è invero, ragione valida e sufficiente per l’adozione dell’atto di revoca”.

In caso contrario, infatti: “l’istituto matrimoniale verrebbe strumentalizzato per il raggiungimento di finalità diverse e/o ulteriori”. (21 dicembre 2001).

Con riferimento a quest’ultimo punto, in una precedente pronuncia, il T.A.R. della Toscana, sez. I, aveva disposto che l’art. 7 sexies, 9° comma, d.l. 13 settembre 1996 n. 477, secondo cui “salvo che nelle ipotesi dell’art. 7 quater (recante espulsione per motivi di sicurezza) non possono essere sottoposti ad espulsione gli stranieri che vivono col coniuge di nazionalità italiana, deve essere inteso sia nel senso che “non può essere destinatario di provvedimento di espulsione lo straniero che già si trovi nella condizione prevista dalla legge sia nel senso che non può essere concretamente eseguito un provvedimento (pur legittimo) di espulsione a carico di uno straniero che prima dell’esecuzione del relativo provvedimento si venga a trovare nella condizione prevista dalla legge come preclusiva dell’efficacia del provvedimento”430.

Ancora, a proposito del rapporto cittadinanza-espulsione, lo stesso T.A.R. della Toscana sez. I, venne a disporre che “il conseguimento della cittadinanza italiana da parte dello straniero, in precedenza colpito dal provvedimento di espulsione per violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno nello Stato italiano, comporta l’inefficacia sopravvenuta del provvedimento espulsivo e quindi dell’interesse al ricorso, pertanto, la p.a., in ragione della causa che ha dato luogo alla decisione processuale di improcedibilità, non dispone più del potere di dare esecuzione al provvedimento dichiarato inefficace in quanto la pronuncia di rito è collegata a quella di merito cui è pregiudiziale431”.

Un’importante produzione legislativa, che è destinata a dirimere ogni dubbio in merito è rappresentata dalla modifica della legge di riforma, al testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, all'articolo 30, dopo il comma 1, è inserito il seguente:

"1-bis. Il permesso di soggiorno nei casi di cui al comma 1, lettera b), è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza, salvo che dal matrimonio sia nata prole" (art. 29, co., 1 bis, l. 30 luglio 2002, n. 189).

Occorre tuttavia sottolineare che l’Italia, con la legge n. 203 del 8 marzo 1994, ha ratificato solo parzialmente la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale, del febbraio 1992, stralciando l’intero capitolo C di questa convenzione (“Diritto di voto alle elezioni locali”), che prevedeva (art. 6, 1° co.) il riconoscimento del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali ad ogni residente straniero, a condizione che questo soddisfi le stesse condizioni prescritte per i cittadini e risieda legalmente nello Stato da almeno cinque anni.

Si ricordi che l’originario disegno di legge che ha prodotto il vigente t.u. in materia di immigrazione prevedeva l’introduzione per via legislativa del diritto di elettorato locale per gli stranieri extracomunitari.

In corso di approvazione tuttavia, questa parte della normativa è stata stralciata, e trasferita in un altro disegno di legge costituzionale non ancora approvato, adducendo a giustificazione il timore di un intervento della Corte costituzionale per violazione dell’art. 48 Cost.: è evidente che la scelta di una tale via per il riconoscimento del diritto in questione si presenti più lunga e difficoltosa di quanto non risultasse una modifica per via legislativa ordinaria.

Di maggiore utilità può risultare invece, il riconoscimento effettuato da alcune amministrazioni comunali agli stranieri del diritto di voto ai referendum comunali mediante lo strumento statutario (ad es.: Comune di Bologna, Tit. II, art. 3; Comune di Roma, Tit. II, art. 3; Comune di Torino, Tit. II, art. 9) e di nuove e più specifiche forme di partecipazione consultiva che pongono gli stranieri in più stretto contatto con le reali sedi decisionali (quale, ad esempio la figura del “consigliere comunale aggiunto”, presente in alcune realtà locali ed equiparato agli altri consiglieri, salvo nell’esercizio del diritto di voto sulle delibere assembleari).

In questo modo tuttavia, resta il fatto che un elemento ad alto profilo costituzionale, quale l’insieme dei diritti di partecipazione politica, viene in ultima analisi a diversificarsi profondamente a livello territoriale ed in base alle maggioranze politiche che governano i diversi enti locali432.

Il riconoscimento in capo allo straniero dei diritti di partecipazione politica nella comunità di residenza può effettuarsi non solo mediante una loro diretta estensione ai non-cittadini, ma anche attraverso l’accesso di questi individui allo status di cittadino, con tutti i diritti e doveri che questa condizione implica.

Anche su questo piano, tuttavia, l’ordinamento italiano risulta storicamente alquanto restio a concedere un tale riconoscimento.

La vigente normativa in tema di cittadinanza risulta improntata ad un atteggiamento tra i più restrittivi in Europa per l’accesso alla cittadinanza, mentre al contrario continua a dimostrarsi particolarmente sensibile alle esigenze degli italiani emigrati433.

Questa legge (art. 9) suddivide infatti, gli stranieri in diverse categorie, fissando per ognuna di queste diversi termini di residenza legale ai fini dell’ammissibilità della domanda di naturalizzazione, che comunque, resta sempre oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione.

Per gli immigrati extracomunitari questo tempo minimo di residenza risulta raddoppiato rispetto alla disciplina precedente, passando da cinque a dieci anni (art. 9, 1° co., lett. f).

Mentre tempi più brevi sono previsti per i discendenti degli emigrati italiani, per i cittadini di Stati membri dell’UE e per gli apolidi.

E’ chiara anche in questo caso la chiusura in termini di politica dell’immigrazione, finalizzata ad evitare una “rapida” integrazione della componente comunque “regolare” degli immigrati residenti.

Il testo unico sulla disciplina dell’immigrazione è stato emendato dal decreto legislativo 19 ottobre 1998 n. 380.

Conformemente all’art. 3 del testo unico, tenendo conto delle indicazioni fornite dal documento programmatico emanato con decreto del Presidente della Repubblica 5 agosto 1998, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 ottobre 1998 aveva fissato in 38.000 unità la quota massima di permessi di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo rilasciabili per il residuo periodo del 1998, quota da aggiungersi a quella fissata con decreto interministeriale del 24 dicembre 1997 (art. 1).

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 ottobre 1998 aveva, poi, previsto, nell’ambito della suddetta quota massima, l’ingresso in via preferenziale di cittadini albanesi (fino a 3.000), di cittadini marocchini (fino a 1.500) e di cittadini tunisini (fino a 1.500), in considerazione degli accordi bilaterali conclusi con i rispettivi Stati di appartenenza (art. 2).

Da ultimo, il testo unico sulla disciplina dell’immigrazione, prima dell’attuale legge di riforma, è stato emendato dal decreto legislativo 13 aprile 1999 n. 113.

Tale decreto ha introdotto una deroga per il 1998 al sistema dei flussi programmati previsto dal testo unico, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato e per lavoro autonomo a tutti gli stranieri presenti in Italia prima dell’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998 n. 40, in possesso dei requisiti stabiliti dal decreto suddetto.

2.11.1. –I diritti politici: considerazioni sugli artt. 10 e 11 della Costituzione.

Per quanto riguarda questa categoria di diritti, non si può sostenere che la direttiva costituzionale sia di immediata e facile percezione come per le altre categorie di diritti434.

Nonostante ciò, però, si deve affermare che anche per questi diritti la scelta costituzionale è nel senso di attribuirne la titolarità a tutti i soggetti dell’ordinamento e quindi, anche agli stranieri che per motivi di lavoro o di altre attività comunque apprezzabili si siano trasferiti nel nostro Paese435.

Per convincersene basta accogliere in tutta la loro portata di carattere generale le due disposizioni che rispettivamente riguardano il diritto d’asilo (terzo comma dell’art. 10) e l’impegno dell’Italia a consentire le limitazioni di sovranità che si rendono necessarie per assicurare la pace e la giustizia fra i Popoli (art. 11)436.

Partendo dalla prima437, infatti è da sottolineare che, se la condizione in base alla quale la Repubblica può concedere l’asilo è che lo straniero richiedente appartenga ad un paese nel quale sia impedito “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”438, se ne deve dedurre che il suo accoglimento nel nostro Paese è determinato dal fine, ritenuto dalla nostra Costituzione essenziale al rispetto ed allo sviluppo della sua personalità, di fargli esercitare quelle “libertà democratiche” che altrimenti – continuando a risiedere nel proprio – non potrebbe esercitare.

La conseguenza che deriva da ciò è che, poiché appare certo che le “libertà democratiche” di cui ci si occupa non sono altro che i diritti politici che rendono democratico un ordinamento439, almeno per gli stranieri che appartengono ad un paese autoritario e si sono rivolti al nostro per ottenere ospitalità la titolarità dei diritti politici è pacifica440.

Al contrario, non si comprenderebbe in che cosa consiste questa accoglienza; atteso che, non trattandosi nella stragrande maggioranza delle richieste di asilo di gente “perseguitata”, l’asilo non può valere a garantire beni primari come la vita o la libertà personale che in quanto tali, in questi casi, non sono messi in discussione441.

Ora, però, se questo è vero per gli stranieri “esiliati”, a maggior ragione sarà vero anche per gli stranieri non esiliati ma immigrati: sarebbe assurdo che la nostra Repubblica, così sollecita a dare accoglienza a chi in un ordinamento autoritario è impedito nell’esercizio delle libertà democratiche, non consentisse poi di esercitare questi diritti a chi nel nostro paese è immigrato solo per motivi di lavoro o di altro genere provenendo da un paese a regime democratico442.

In definitiva è certo che per la nostra Costituzione il lavoratore straniero può partecipare alla determinazione della politica nazionale, così come partecipa alla vita quotidiana e soprattutto alla produzione della ricchezza economica della nostra comunità.

E la conferma di quanto ora detto, seppure in questo caso limitatamente agli stranieri che provengono da stati che si sono reciprocamente obbligati, la si trova nell’impegno della Repubblica a consentire limitazioni di sovranità443.

Se infatti, coerentemente al superamento della forma statuale della sovranità operato con il secondo comma dell’art. 1444, quest’ultima non è identificata con una qualità dello Stato ma si considera come la identità tra governanti e governati445 espressa a livello diffuso nello status di activae civitatis dei singoli, ci si rende immediatamente conto che le limitazioni di cui si prevede la possibilità nell’art. 11 non possono farsi consistere né in una compressione dei diritti politici dei cittadini né in un restringimento della cerchia dei cittadini a cui essi sono riconosciuti.

Viceversa, a differenza di quanto ritiene la dottrina della sovranità statuale, non si consentirebbe solo ad “ampi e penetranti vincoli internazionali” né si assumerebbero obblighi comportanti il trasferimento ad altri soggetti statuali di potestà legislative, amministrative o giudiziarie446, ma si rimetterebbe in discussione la democraticità dello stesso ordinamento repubblicano.

Per questi motivi la limitazione di sovranità di cui all’art. 11 deve, invece, intendersi come nient’altro che il superamento del principio nazionalistico (secondo cui lo stato di attiva partecipazione al reggimento della Repubblica è ristretto agli appartenenti alla “razza italica”) ed il riconoscimento dei diritti politici anche agli stranieri447.

I quali solo così potranno apprezzare il valore della pace e della giustizia (in funzione delle quali le limitazioni della sovranità sono consentite) e diventarne con il nostro popolo autentici operatori e promotori448.

Da ultimo, è opportuno fare un’ultima osservazione riguardo la contraddizione in cui sarebbero caduti molti dei nostri costituenti se avessero negato agli stranieri il pieno riconoscimento dei diritti politici.

Sarebbe stata una contraddizione così macroscopica in considerazione della loro esperienza di esiliati che avevano sentito le “libertà democratiche” non solo come un bene di cui il regime fascista li aveva privati ma anche come un diritto di cui avevano cercato e desiderato l’esercizio nel paese nel quale erano stati ospitati.

2.12. – LA NUOVA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE (l. 30 luglio 2002, N. 189) E I PRINCIPI COSTITUZIONALI.

Sulla nuova legge Bossi-Fini se ne sono dette tante, ma alcuni aspetti sono rimasti in ombra.

Si tratta dei profili incostituzionali: uno degli aspetti più allarmanti della nuova legge sull'immigrazione, come si è avuto già modo di accennare nel corso della trattazione, riguarda le misure di accompagnamento alla frontiera dell'immigrato espellendo per mezzo della forza pubblica.

Lacuna che, non assolve neanche il decreto n. 51449, emanato dal governo, non stabilendo che il questore deve “comunicare” al giudice il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento.

Il provvedimento, infatti, resta “immediatamente esecutivo”450.

Una beffa, da un lato, ma anche una decisione in contrasto con la Costituzione, perché, come sostiene il Bonetti, “con la legge Bossi-Fini l'espulsione con accompagnamento alla frontiera diventa ordinaria, ovvero, tutti gli immigrati presenti irregolarmente sul territorio italiano verranno espulsi in questo modo, ma l'articolo 13 della Costituzione prevede che la libertà personale si possa limitare solo in casi di eccezionalità, oltre a prevedere, in questi casi, una riserva giurisdizionale”.

Oltre alla mancata “eccezionalità”, c'è anche qualcos'altro che non torna nella decisione di “scortare” tutti gli espellendi: “manca completamente la tassatività dei presupposti - continua Bonetti - cioè una loro precisa definizione”.

Ad esempio, non basta dire “per motivi di ordine pubblico”, occorre specificare.

In secondo luogo, la riserva di giuridizionalità dell'articolo 13 Cost., non riguarda soltanto, come potrebbe apparire a una lettura superficiale, la necessità che il magistrato convalidi la misura, bensì che sia la magistratura stessa ad applicarla, e non l'autorità di pubblica sicurezza451.

2.12.1. – Divieto di ingresso e presunzione di non colpevolezza: articolo 27 della Costituzione.

Nella Bossi-Fini troviamo tutta una serie di misure in cui sembra venir meno la presunzione costituzionale di non colpevolezza fino alla condanna definitiva.

L'articolo 4, l. 30 luglio 2002, n. 189, stabilisce, infatti, il divieto di ingresso nel territorio nazionale di persone che siano state condannate in via non definitiva per reati medio-gravi, a tal proposito, il Bonetti sostiene che ciò rappresenta “un divieto assoluto, che si pone come misura sanzionatoria e che fa a pugni con il principio di non colpevolezza”, previsto dall’articolo 27 della Costituzione 2° comma, secondo cui, l’imputato non può essere considerato colpevole “sino alla condanna definitiva”.

E non basta: secondo il sistema del testo unico, qualora queste condanne di primo grado venissero inferte a uno straniero già regolarmente soggiornante, si configura, in modo automatico, il presupposto per procedere alla revoca o al rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno452.

In materia di diritto alla difesa, la nuova legge prevede che il ricorso avverso all'espulsione può essere presentato tramite “la rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel paese di destinazione” (articolo 12).

Il diritto alla difesa è tutelato dall'articolo 24 della Costituzione, secondo cui: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (1° co.), e dal principio in base al quale, “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (2° co.), ma è evidente che se lo straniero proviene da un paese in cui non siano presenti rappresentanze consolari, gli viene di fatto impedito il diritto alla difesa.

Inoltre, lo stesso Bonetti sostiene che, il diritto alla difesa non è soltanto il diritto a ricorrere, ma anche il diritto ad evitare l'adozione nei propri confronti di azioni gravi e irreparabili.

Per esempio l'espulsione con accompagnamento alla frontiera, di cui sopra.

In quel caso, infatti, si evidenzia una “distorsione” dei principi costituzionali, in quanto la limitazione della libertà personale è sottratta alla possibilità di un intervento giurisdizionale prima dell'esecuzione del provvedimento di espulsione453.

Quel che ha fatto più scalpore tra gli addetti ai lavori rispetto al diritto alla difesa, riguarda però la parte della legge Bossi-Fini dedicata al diritto di asilo.

Infatti, nel caso in cui il richiedente asilo otterrà un respingimento della propria domanda da parte della commissione territoriale, potrà presentare ricorso: ma questo non comporterà la sospensione dell'espulsione454.

Tuttavia, pare che, non sia sufficiente neanche la previsione - aggiunta in extremis - di un ricorso amministrativo gerarchico.

Ma non si tratta neanche di un ricorso gerarchico vero e proprio, visto che la domanda sarà esaminata per la seconda volta dalla stessa commissione territoriale integrata da un membro esterno.

Sulla questione del diritto d'asilo, Bonetti rileva che si continua ad identificare il rifugiato - cioè colui che in base alla Convenzione di Ginevra dimostra una persecuzione individuale - con l'asilante, dimenticando che, secondo la Costituzione italiana può chiedere asilo chi, nel paese d'origine, non vede garantito l'effettivo esercizio delle libertà previste dalla nostra carta costituzionale.

2.12.2. – Novità sui centri di permanenza temporanea.

Nel 2001 la Corte costituzionale dichiarò legittimo il trattenimento nei centri di permanenza temporanea per gli espellendi.455

Ma con la Bossi-Fini, qualcosa potrebbe cambiare: con la Turco-Napolitano il trattenimento poteva essere considerato una misura non ordinaria, e quindi costituzionalmente legittima.

Mentre, con la nuova normativa le cose cambiano, perché il trattenimento e l'accompagnamento alla frontiera diventano la normale procedura di espulsione.

Ma il problema non sta nel trattenimento: di dubbia costituzionalità è che sia disposto autonomamente dall'autorità di pubblica sicurezza.

Come succedeva già con la Turco-Napolitano, al giudice viene presentato un provvedimento che già di per sé prevede trenta giorni di trattenimento, mentre questo tipo di valutazioni spetta soltanto alla magistratura.

Eppure, secondo Bonetti, esisterebbe un modello di trattenimento in grado di tenere insieme la necessità di controllare le frontiere e l'inviolabilità della libertà personale: “nei termini massimi di 48 ore più 48 il questore potrebbe chiedere al magistrato tre cose:

·       decretare l'espulsione,

·       convalidare l'accompagnamento,

·       decidere sull'eventuale prolungamento del trattenimento.

Questa decisione spetta solo al giudice.456

2.12.3. – Rinvio: Il contratto di soggiorno: un contratto di lavoro.

Anche la “rivoluzione” più consistente contenuta nella Bossi-Fini, e cioè il famoso contratto di soggiorno è di dubbia costituzionalità.

Perché è un istituto previsto solo nei confronti degli stranieri extracomunitari, in violazione del principio di uguaglianza di trattamento previsto dalla convenzione 143 del 1975 dell'Organizzazione internazionale del lavoro.

Questa convenzione, in base all'articolo 10 secondo comma della Costituzione, è vincolante per il legislatore italiano.

 

1 Allegretti U., “Costituzione e diritti cosmopolitici”, in Gozzi G., (a cura di), “Democrazia, diritti, Costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee”, Bologna, 1997.

2 Barile P., “Diritti dell’uomo e libertà fondamentali”, Bologna, 1984.

3 Merlini S., I principi fondamentali della Costituzione”. Seminario sul tema "Costituzione e Repubblica" - aprile/ottobre 1997.

4 Giocoli Nacci P., Loiodice A., “Materiali di diritto costituzionale”, Bari, 1999; pag. 12.

5 Barile P., “Il soggetto privato nella Costituzione italiana”, Padova, 1953.

6 Bonifazi C., “L’immigrazione straniera in Italia”, Bologna 1998.

7 Allegretti U., “Costituzione e diritti cosmopolitici”, in Gozzi G., (a cura di), “Democrazia, diritti, Costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee”, Bologna, 1997.

8 Amirante C., “Sistema federale e tutela dei diritti delle minoranze linguistiche ed etniche. Il caso canadese tra bilinguismo e multiculturalismo”, in S. Gambino e G. Fabbrini (a cura di), “Regione e governo locale. Riforme e decentramento istituzionale”, pag. 199.

9 Barrera P., “I diritti delle minoranze nel crepuscolo degli Stati nazionali”, in Dem. dir., 1993, pag. 69.

10 Baldassarre A., “Diritti sociali”, in Enc. Giur., Roma, 1994, pag. 13. In merito, anche, Barbera A., Cocozza F. e Corso G., in Amato G. e Barbera A., (a cura di), “Manuale di diritto pubblico”, Roma, 1995, pag. 274 ss.

11 Patroni Griffi, “La condizione giuridica dello straniero tra valori costituzionali e politiche pubbliche”, in Riv. amm. reg. Campania, 4/1995, pag. 253.

12 Baldassarre A., “Diritti sociali”, in Enc. Giur., Roma, 1994, pag. 13.

13 Ruggeri A. e Spadaro A. “Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale”, in V. Angiolini (a cura di), “Libertà e giurisprudenza costituzionale”, 1998, pag. 224 ss.

14 Allegretti U., “Costituzione e diritti cosmopolitici”, in Gozzi G., (a cura di), “Democrazia, diritti, Costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee”, Bologna, 1997; D’Aloia A. e Patroni Griffi A., “La condizione giuridica dello straniero tra valori costituzionali e politiche pubbliche”, in Riv. amm. reg. Campania, 4/1995, pag. 254. In merito, anche, Amirante C., Atripaldi V., Meloncelli A. e Saccomanno A., “Diritto pubblico””, CUD, 1, 1995, pag. 150.

15 Il pensiero di Calamandrei è riportato da Barile P., “I diritti umani come diritti costituzionali”, in “Diritti umani e civiltà giuridica”, Atti del convegno, stabilimento Pliniana, 1992, pag. 81.

16 Bolaffi G., “Una politica per gli immigrati”, Bologna 1996.

17 Scudiero M., “La discrezionalità legislativa e la giurisprudenza della Corte costituzionale”, Milano, 1999; pag. 95 ss.

18 Corte cost., sent. 18 aprile 1967, n. 45, in Giur. cost., 1967, 270.

19 Corte cost., sent. 3 ottobre 1958, n. 56 in Giur. cost., 1958, 868.

20 Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 69 ss.

21 Cuniberti M., “La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana”, Padova, 1997; pag. 14 ss.

22 Paladin L., “Il principio costituzionale di eguaglianza”, Milano, 1965, pag. 207.

23 Modugno F., “Nuovi diritti e principi supremi della Costituzione”, atti V convegno ass. it. costituzionalisti, Taormina, 1990.

24 Ruggeri A. e Spadaro A. “Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale”, in V. Angiolini (a cura di), “Libertà e giurisprudenza costituzionale”, 1998, pag. 224 ss.

25 D’Orazio C., “Lo straniero nella Costituzione italiana”, Padova, 1992; pag. 55 ss.

26 Art. 16 disp. prel. cod. civ.

27 Nel senso del superamento della condizione di reciprocità, Barile P., “Diritti dell’uomo e libertà fondamentali”, Bologna, 1984, pag. 33, Piraino A., “Appunti sulla condizione giuridica degli stranieri nell’ordinamento italiano”, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1994, pag. 995, Caruso A., “Sulla reciprocità”, in “Gli stranieri”, 1994, pag. 135 e Cassese A., “Art. 10-12”, in Comm. cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, pag. 512. La tesi della legittimità della condizione di reciprocità è invece accolta da Ballarino T., “Diritto internazionale privato”, Padova, 1992, pag. 570, Nascimbene B., “Lo straniero nel diritto italiano”, Milano, 1988, pag. 15 e Pace A., “Problematica delle libertà costituzionali”. Parte generale, 2° ed., Padova, 1990, pag. 145.

28 Grosso E., “Straniero (status costituzionale)”, in Digesto pubbl., Torino, 1999, vol. XV, 156.

29 Balladore Pallieri P., “Diritto costituzionale”, 1970, pag. 396, Barile P., “Il soggetto privato nella Costituzione italiana”, Padova, 1953, pag. 51 e Cassese A., “Art. 10-12”, in Comm. cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, pag. 508 ss.

30 Pace A., “Problematica delle libertà costituzionali”, Padova, 1992; pag. 45 ss. In merito, anche, Biscottini G., “I diritti fondamentali dello straniero”, in Studi in onore di Biondo Biondi, III, Milano, 1965.

31 Martines T., “Diritto costituzionale”, Milano, 1995; pag. 661 ss.

32 In merito, anche, Melica L., “Lo straniero extracomunitario. Valori costituzionali ed identità culturale”, Torino, 1996.

33 Biscottini G., “I diritti fondamentali dello straniero”, in Studi in onore di Biondo Biondi, III, Milano, 1965; pag. 343 ss.

34 Patroni Griffi, “La condizione giuridica dello straniero tra valori costituzionali e politiche pubbliche”, in Riv. amm. reg. Campania, 4/1995, pag. 253.

35 Pace A., “Problematica delle libertà costituzionali”. Parte generale, 2° ed., Padova, 1990, pag. 144 ss.

36 Cerri A., “La Costituzione e il diritto privato”, in Tratt. Rescigno, II, ed., Torino, 1999.

37 Cuniberti M., “La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana”, Padova, 1997; pag. 14 ss.

38 D’Aloia A. e Patroni Griffi A., “La condizione giuridica dello straniero tra valori costituzionali e politiche pubbliche”, in Riv. amm. reg. Campania, 4/1995, pag. 254.

39 Barile P., “Diritti dell’uomo e libertà fondamentali”, Bologna, 1984; pag. 122 ss.

40 Onorato P., “Per uno statuto dello straniero”, in Dem. dir., 1989, spec. 315 ss.

41 Belvisi F., “Il diritto di immigrazione come diritto sopranazionale”, in Dem. Dir., 1997, pag. 212.

42 La Pergola A., “Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale”, Milano, 1961; pag. 325, nt. 74.

43 Paladin L., “Il principio costituzionale d’eguaglianza”, Milano, 1965; pag. 205 e nt. 102.

44 Bascherini Gianluca, “Europa, cittadinanza, immigrazione”. Dir. Pubbl., 2000, pag. 767.

45 D’Orazio C., “Lo straniero nella Costituzione italiana”, Padova, 1992; pag. 67.

46 D’Orazio G., “Condizione dello straniero e società democratica. Le ragioni dello Stato”, Padova, 1994; pag. 154 ss.

47 Piraino A., “Appunto sulla condizione giuridica degli “stranieri” nell’ordinamento italiano”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1984, fasc. 4 (dicembre), pag. 996.

48 Grosso E., “Straniero (status costituzionale)”, in Digesto pubbl., Torino, 1999, vol. XV, 156.

49 Berti G., “Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali”, in Riv. dir. cost., 1997, 3 ss.

50 Corte cost., sent. 23 novembre 1967 n. 120, in Giur. cost., 1967, 1571.

51 Corte cost., sent. 26 giugno 1969 n. 104, in Giur. cost., 1969, 1565, commentata da Cassese A., “Commento alla sent. C. cost. n. 104 del 1969”, in Riv. dir. intern., 1969, 573 ss.

52 Luciani M., “Cittadini e stranieri come titolari di diritti fondamentali. L’esperienza italiana”, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 203 ss.

53 Corte cost., sent. 13 febbraio 1995 n. 34. In merito, con lo stesso orientamento, Corte cost., ord. 7 aprile 1995 n. 116, ord. 19 giugno 1995 n. 265, nonché ord. 26 ottobre 1995 n. 469.

54 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, art. 86, co. 1.

55 Corte cost., sent. 24 febbraio 1995 n. 58.

56 Cuniberti M., “La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana”, Padova, 1997; pag. 14 ss.

57 Selvaggi E., “Strasburgo ammonisce”, in Il Sole-24 Ore, 14 novembre 1995, 7, con riferimento alla sentenza 13 luglio 1995.

58 Corte cost., sent. 1° giugno 1995 n. 219.

59 Corte cost., sent. 19 gennaio 1995 n. 28.

60 Brubaker R., “Cittadinanza e nazionalità in Francia ed in Germania”, Bologna, 1997; pag. 16 ss.

61 Ordinanza n. 23/1994. (Consulta Online - www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

62 Vedi la l. n. 523/1992 per la ratifica della Convenzione di Dublino e la l. n. 388/1993, per la ratifica dell’adesione dell’Italia alla Convenzione di Schengen.

63 Nascimbene B., “La condizione giuridica dello straniero. Diritto vigente e prospettive di riforma”, Padova, 1997; pag. 95 ss.

64 Maranella S., “La condizione giuridica dello straniero extracomunitario alla luce dell’ordinamento giuridico italiano: rapporto tra la l. 40/98 e la normativa comunitaria”, in Temi romana, 2000, 817.

65 Sentenza C. Cost. n. 31/2000. (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002). In merito Giuffrè A., ”Corte costituzionale e immigrati: horror vacui e vincoli di natura internazionale” (Nota a Corte cost., 7 febbraio 2000, n. 31), in Dir. mercato lav., 2001, 127.

66 Caputo A., “Il referendum sulla legge Napolitano-Turco”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 2, 49 e Paolo Bonetti, “Il referendum abrogativo del Testo unico delle disposizioni sull'immigrazione di fronte alla Corte Costituzionale”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, Fascicolo 1.

68 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

70 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

71 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

72 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

73 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

74 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

75 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

77 Principio presente in Nascimbene B., “La condizione giuridica dello straniero. Diritto vigente e prospettive di riforma”, Padova, 1997, pag. 66 ss.

78 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Avv. Annamaria Spalluto – (30/03/2002).

79 Mafrolla E. M., “L’evoluzione del regime internazionale in materia di asilo: tra sovranità territoriale e dovere umanitario”, in Riv. internaz. diritti dell’uomo, 2001, 532.

80 www.stranieriinitalia.it/news/propos2002.htm - Giovanni Senatore – (30/03/2002).

81 Vedi Miazzi L., “Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?” in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 34 e Turri G. C., Vitale G., Rubinacci C., Foti C., Guerci L., Campisi P., Cartasegna C., Dusi A., Calcagno G., “I bambini stranieri dal rifiuto e dalla separatezza all’accoglienza e all’integrazione”, in Minori giustizia, 1999, fasc. 3, 5. Su rimpatrio assistito del minore vedi, Tribunale minorenni Perugia, 1 dicembre 1999, in Rass. giur. umbra, 2000, 17, par. 2.5.1. (Limiti normativi alla potestà statuale di allontanamento e la disciplina degli extracomunitari minorenni).

82 web.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID – immigrazione: chiesta modifica della “Bossi-Fini” a favore dei minori – (30/03/2002).

83 Biscottini G., “L’ammissione ed il soggiorno dello straniero”, in Scritti in onore di V.E. Orlando, I, Padova, 1957; pag. 147 ss. In merito anche, Calamia A. M., “Ammissione ed allontanamento degli stranieri”, Milano, 1980.

84 Corsi C., “Lo Stato e lo straniero”, Padova 2001; pag. 210.

85 Fiore P., “Il diritto internazionale codificato e la sua sanzione giuridica”, Torino, 1915; pag. 195 ss., contra Quadri R., “La sudditanza nel diritto internazionale”, Padova, 1936; pag. 211.

86 Belvisi F., “Il diritto di immigrazione come diritto sopranazionale”, in Dem. Dir., 1997, pag. 203 ss. In merito, anche, Calamia A. M., “Ammissione ed allontanamento degli stranieri”, Milano, 1980; pag. 33.

87 Allegretti U., “Costituzione e diritti cosmopolitici”, in Gozzi G. (a cura di), “Democrazia, diritti, Costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee”, Bologna, 1997; pag. 129 ss.

88 Ohmae K., “La fine dello Stato-nazione”, Milano, 1996; pag. 15-21.

89 Grosso E., “Straniero (status costituzionale)”, in Digesto pubbl., Torino, 1999, vol. XV, 156.

90 Belvisi F., “Il diritto di immigrazione come diritto sopranazionale”, in Dem. Dir., 1997, pag. 206.

91 Pace A., “Problematica delle libertà costituzionali”, Padova, 1992; pag. 37.

92 Corsi C., “Lo Stato e lo straniero”, Padova, 2001; pag. 67.

93 Nascimbene B., “La condizione giuridica dello straniero. Diritto vigente e prospettive di riforma”, Padova, 1997; pag. 265-268.

94 Allegretti U., “Costituzione e diritti cosmopolitici”, in Gozzi G., (a cura di), “Democrazia, diritti, Costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee”, Bologna, 1997.

95 Zolo D., “Cosmopolis”, Bologna, 1998; pag. 92.

96 Barile P., “Diritti dell’uomo e libertà fondamentali”, Bologna, 1984; pag. 96 ss. In tal senso, anche, Belvisi F., “Il diritto di immigrazione come diritto sopranazionale”, in Dem. Dir., 1997, pag. 218.

97 Habermas J., “Cittadinanza politica ed identità nazionale. Riflessioni sul futuro dell’Europa”, in Morale, Diritto, Politica. Torino, 1999, 105 ss.

98 “Per gli ingressi di lavoratori extracomunitari confermato il “tetto” di cinquantottomila unità – Direttiva del Presidente del consiglio dei ministri 4 agosto 1999 – Programmazione dei flussi di ingresso per lavoro, nell’anno 1999, di cittadini stranieri non comunitari”, in Guida al dir., 1999, fasc. 37, 131.

99 Palidda S., “Dieci spunti su immigrazione, politica e diritto”, in Questione giustizia, 2002, 672.

100 Nascimbene B., “La condizione giuridica dello straniero. Diritto vigente e prospettive di riforma”, Padova, 1997; pag. 193 ss.

101 Interessante in merito, Cuniberti M., “La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana”, Padova, 1997; pag. 242 ss.

102 In merito, Pugliese B., “Mercato del lavoro e politiche migratorie”, Politica internazionale, 2002; pag. 157.

103 Finocchi R., “Il testo unico sull’immigrazione (commento al d.leg. 25 luglio 1998 n. 286)”, in Giornale dir. amm., 1999, 5.

104 Vedi l’accordo relativo alla previsione di interventi della Marina Militare italiana in acque internazionali ed in acque territoriali albanesi, stipulato in occasione dell’emergenza albanese del 1997, in G.U. 15 luglio 1997.

105 Vedi Algostino A., “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio: anche gli albanesi?” in Pol. Dir., 1998, pag. 25 ss.

106 In merito, Reyneri, Immigrazione ed economia sommersa, Stato e mercato, 1998, 53, 287.

107 Gazzetta Ufficiale n. C 274 del 19/09/1996.

108 Per un elenco degli accordi di riammissione conclusi dall’Italia: “Relazione del Ministro dell’interno al Parlamento sui risultati raggiunti attraverso i provvedimenti attuativi del documento programmatico sulle politiche di immigrazione”, 16 luglio 2000, Roma.

109 Miele R., “La nuova legislazione sugli stranieri”, II ed., Viterbo, 1999.

110 In merito, anche, Cass., sez. I, 8 settembre 2000, n. 11870, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2001, 428.

111 Sentenza C. Cost. n. 244/1974.

112 Ordinanza n. 503/1987.

113 Sentenza C. Cost. n. 13/1962; sentenza n. 23/1978.

114 Cons. St., sez. IV, 27 febbraio 1952, n. 208, e Cons. St., A.P., 15 settembre 1956.

115 In tal senso, Cuniberti M., “La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana”, Padova, 1997; pag. 269 ss.

116 Barile P., “Il soggetto privato nella Costituzione italiana”, Padova, 1953; pag. 58. Interessante in merito, anche, Jemolo A.C., “L’espulsione dello straniero”, in Foro it., 1952, pag. 109.

117 Consiglio di Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 870, in Cons. Stato, 1999, I, 805; Gazzetta giur., 1999, fasc. 29, 83; Guida al dir., 1999, fasc. 27, 90, n. Manzi.

118 Vedi in merito anche, Cass., sez. I, 23 giugno 1999, n. 6374, in Giust. civ., 1999, I, 2288; Gazzetta giur., 1999, fasc. 35, 37; Guida al dir., 1999, fasc. 27, 66, n. Noci.

119 Di Bari P. L., “Irregolarità nel soggiorno: non basta il superamento dei termini per le autorizzazioni per essere espulsi” (Nota a Cass., sez. I, 23 giugno 1999, n. 6374 e C. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 870), in Dir. immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, 90.

120 Mezzacapo S., “Lo straniero che non ha rinnovato il permesso non può essere espulso in via automatica – L’autorità amministrativa deve contemperare l’interesse pubblico con quello della parte” (Nota a P. Varese, 20 giugno 1998), in Guida al dir., 1998, fasc. 39, 46. Di contro, vedi, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3825, in Cons. Stato, 2000, I, 1679 (m).

121 Sentenza C. Cost. n. 46/1977.

122 Ziotti P., “Il diritto di asilo nell’ordinamento italiano”, Padova, 1988; pag. 46 ss.

123 In merito, Consiglio di Stato, sez. I, 14 giugno 2001, n. 552/01, in Cons. Stato, 2001, I, 2416.

124 Gili L., “I termini del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 63.

125 Cass., sez. I, 24 novembre 2000, n. 15174, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000 e Cass., sez. I, 14 novembre 2001, n. 14152, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001. Vedi anche, sentenza C. Cost. n. 104/1969 e Cass. sez. civ. I, 6 luglio 2001, n. 9138, par. 2.5.2. (Limiti costituzionali alla potestà statuale di allontanamento e relative garanzie dello straniero).

126 Parimenti, circa l’onere della prova, Cass., sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15408, in Mass. 2001.

127 In merito, Tribunale di sorveglianza, Frosinone, 2 marzo 2001, in Giust. pen., 2001, II, 535 e T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 maggio 2001, n. 1158, in Trib. amm. reg., 2001, I, 2241.

128 In merito, Pugliese , “Mercato del lavoro e politiche migratorie”, Politica internazionale, 2002, pag. 277.

129 Sentenza Corte di Cassazione n. 9407/2001.

130 Neri Livio, “La resurrezione del libero licenziamento per il lavoratore extracomunitario “non regolarmente soggiornante””. (Nota a Trib. Parma, 28 settembre 2000). DL - Rivista critica di diritto del lavoro, 2001, fasc. 1 (gennaio), pagg. 222-224.

131 Per un approfondimento in merito, Forlenza O., Tricomi I., Candidi A. M., Sacchettini E., Noci M., Miele T., Girgenti D. e Finocchi Ghersi R., “Commento al d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, 6° comma, d.leg. 25 luglio 1998, n. 286”, in Guida al dir., 1999, fasc. 46, 10.

132 Note critiche al nuovo testo di legge sull’immigrazione a cura dell'Avv. Massimo Ceciarini, in www.ismu.orgwww.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo. Vedi, anche, Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 125.

133 Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 376, in Cons. Stato, 2000, II, 1309; Questione giustizia, 2000, 1005, n. Bouchard; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 86; Riv. polizia, 2000, 650; Tutela, 2000, fasc. 3, 177; Guida al dir., 2000, fasc. 32, 18, n. Noci. Vedi par. 2.8 (LE GARANZIE GIURISDIZIONALI).

134 Bouchard M., “Corte costituzionale: immigrazione e protezione dell’unità familiare” (Nota a Corte cost., 27 luglio 2000, n. 376), in Questione giustizia, 2000, 1002.

135 Sirianni G., “La polizia degli stranieri”, Torino, 2001; pag. 33 ss.

136 Sentenza C. Cost. n. 454/1998; sentenza C. Cost. n. 172/1999; sentenza C. Cost. n. 376/2000. (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

137 Corsi C., “Lo Stato e lo straniero”, Padova, 2001; pag. 209 ss.

138 Per una giurisprudenza contraria, da ultimo, vedi, Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16030, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 9 novembre 2001, n. 13874, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 19 ottobre 2001, n. 12795, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 19 ottobre 2001, n. 12803, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Consiglio di Stato, sez. I, 14 giugno 2001, n. 552/01, in Cons. Stato, 2001, I, 2416 e Cass., sez. I, 10 ottobre 2000, n. 13459, in Giur. it., 2001, 605; Ammin. it., 2001, 781; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 121. In tal senso, vedi, par. 2.8 (LE GARANZIE GIURISDIZIONALI), Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16030, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

139 Pret. Varese, 20 giugno 1998, in Guida al diritto, 18 luglio 1998, n. 28, pag. 48 ss.; Pret. Milano, 19 maggio 1999, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 3/1999, pag. 144 ss.; Cons. St., sez. IV, 20 maggio 1999, ivi, 3/1999, pag. 141 ss.; Pret. Torino, 29 maggio 1999, ivi, 3/1999, pag. 150 ss.; Cass., sez. I, 23 giugno 1999, ivi, 3/1999, pag. 145 ss.

140 Corte di giustizia europea 11 luglio 2002.

141 http://www.cittadinolex.kataweb.it/HomePageCategory/0,1513,107,00.html - Percorso: Prima pagina/Immigrazione.

142 Corsi C., “Lo Stato e lo straniero”, Padova, 2001; pag. 35 ss.

143 Ord. n. 68/2001. (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 06/03/2002). Corte cost. ord., 16 marzo 2001, n. 68, in Giur. costit., 2001, 408; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2, 169.

144 Cass., sez. I, 4 novembre 1999, in Riv. pen., 2000, 232; Riv. polizia, 2000, 479, n. Pedone; Dir. immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 166, n. Casadonte.

145 In tal senso, vedi, Cass., sez. I, 26 settembre 2001, in Ced Cass., rv. 219760 (m); Cass., sez. VI, 19 aprile 2001, in Guida al dir., 2001, fasc. 41, 89, n. Forlenza; Cass., sez. I, 8 marzo 2001, in Ced Cass., rv. 219665 (m); Cass., sez. I, 16 febbraio 2001, in Riv. pen., 2001, 841; Cass., sez. I, 21 dicembre 2000, in Giust. pen., 2001, II, 644 e Cass., sez. I, 16 giugno 2000, in Riv. pen., 2000, 1156. Contrariamente, vedi, Cass., sez. VI, 27 giugno 2001, in Riv. pen., 2001, 929; Guida al dir., 2001, fasc. 32, 56, n. Forlenza.

146 Pedone V., “Sul reato dello straniero clandestino che non documenta la sua identità a richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza” (Nota a Cass., sez. I, 4 novembre 1999), in Riv. polizia, 2000, 483. Interessante in merito anche Fusiello I., “I destinatari dell’obbligo di esibizione dei documenti di identificazione – Brevi note in materia di art. 6, 3° comma, d. leg. 286/90”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 2, 76.

147 Casadonte A., “Del reato di omessa esibizione di documento identificativo ovvero alla ricerca della perduta nomofilachia” (Nota a Cass., sez. I, 4 novembre 1999 e Cass., sez. I, 11 novembre 1999), in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 86.

148 “Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, 6° comma, d. leg. 25 luglio 1998, n. 286, analisi di Callaioli A., al d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394”, in Legislazione pen., 2000, 739.

149 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza n. 31990/2003.

150 Bonetti P., “Espulsione, accompagnamento e trattenimento dello straniero di fronte alla riserva di giurisdizione prevista dalla Costituzione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, Fasc. 4, 11. Vedi anche Bonetti P., “Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull’immigrazione straniera”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 52.

151 In tal senso vedi, anche, Alessano F. M., “Condizione giuridica dello straniero e valori costituzionali”, in Dir. economia, 2001, 95.

152 Bonetti P., “Espulsione, accompagnamento e trattenimento dello straniero di fronte alla riserva di giurisdizione prevista dalla Costituzione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, Fasc. 4, 11. Vedi anche Bonetti P., “Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull’immigrazione straniera”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, 52.

153 Bonetti P., “Espulsione, accompagnamento e trattenimento dello straniero di fronte alla riserva di giurisdizione prevista dalla Costituzione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 11. Vedi anche Bonetti P., “Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull’immigrazione straniera”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, 52.

154 Bonetti P., “Espulsione, accompagnamento e trattenimento dello straniero di fronte alla riserva di giurisdizione prevista dalla Costituzione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 11. Vedi anche Bonetti P., “Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull’immigrazione straniera”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, 52.

155 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 15830/2001 e Consiglio di Stato, sez. IV [ord.], 9 gennaio 1998, n. 68, in Riv. amm., 1998, 639 (m).

156 Giasanti A., “A proposito di immigrati clandestini”, in Dir. pen. e proc., 2001, 243.

157 Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353, in Foro it., 1998, I, 711; Cons. Stato, 1997, II, 1742; Questione giustizia, 1998, 237; Riv. dir. internaz., 1998, 245; Giur. costit., 1997, 3457, n. Cinanni; Giur. it., 1998, 1481, n. Algostino; Giust. pen., 1998, I, 215; Riv. dir. internaz. privato e proc., 1998, 391.

158 Algostino A., “L’espulsione fra tutela dei “casi umani più disperati” e “presidio” delle frontiere” (Nota a Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353), in Giur. it., 1998, 1481. In merito, anche, Coletta G., “Le ragioni della collettività nazionale come ragioni estese all’immigrato regolarmente residente” (Nota a Corte cost., 21 novembre 1997, n. 353), in Dir. e giur., 1998, 203 e Cinanni G., “Tre principi per una disciplina organica e coerente sull’immigrazione” (Nota a Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353), in Giur. costit., 1997, 3460

159 Giammarinaro M. G., “Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art. 18 t.u. sull’immigrazione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 4, 34.

160 Interessante in merito, è l’ordinanza della Corte costituzionale n. 485/2000. (Consulta Online www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002), pag. 100.

161 Di Maio L., Proto M. e Longarzia M. C., “Manuale di legislazione sugli stranieri, integrato dalle norme del regolamento di attuazione (guida pratica all’applicazione delle norme sull’ingresso ed il soggiorno degli stranieri in Italia)”, Roma, 2001, pag. 462.

162 Cass., sez. I, 14 luglio 2000, n. 9326, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000 e Cass., sez. I, 14 luglio 2000, n. 9327, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000.

163 Miazzi L., “La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia”, in Minori giustizia, 1999, fasc. 3, 104. Per una visione organica dell’argomento, vedi, Ravot E., “Ricongiungimento familiare: diritti del minore straniero” (Nota a Tribunale minorenni Bologna, 3 luglio 2000), in Famiglia e dir., 2001, 83.

164 Vedi Miazzi L., “Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?” in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 34 e Turri G. C., Vitale G., Rubinacci C., Foti C., Guerci L., Campisi P., Cartasegna C., Dusi A., Calcagno G., “I bambini stranieri dal rifiuto e dalla separatezza all’accoglienza e all’integrazione”, in Minori giustizia, 1999, fasc. 3, 5.

165 Per la dottrina, Miazzi L., “Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?” in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 34. Per la giurisprudenza, vedi Tribunale minorenni Perugia, 1 dicembre 1999, in Rass. giur. umbra, 2000, 17.

166 Mariella Console,Questioni connesse al permesso di soggiorno per minore età: evoluzione normativa e giurisprudenziale”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 1.

167 http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2002/luglio/bossi-fini-seminario.html. In merito vedi, anche, http://www.cestim.org/15politiche_bossi-fini_dibattito.htm#comm.

169 Interessante in merito, anche, Giulio Peroni,L'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 1980 e il rimpatrio del minore illecitamente sottratto”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 1.

170 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 8510/2002.

171 Campiglio C., “Espulsione e diritti dell’uomo a proposito dell’art. 1 del protocollo n. 7 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in Riv. dir. intern., 1985, pag. 64 ss.

172 Pedrazzi F., “Convenzione europea dei diritti dell’uomo e protocollo addizionale n. 7: una nuova tappa nella tutela delle garanzie fondamentali”, in Riv. int. diritti dell’uomo, 1992, pag. 453 ss.

173 Nascimbene B., Pedrazzi F., Trucco L., Leita F., Meneghello M., Riondato S., Zorzella N., Melica L., Paggi M., e Barel B., “La condizione giuridica dello straniero”, Padova, 1997, pag. XIV – 542.

174 Vedi dir. n. 64/221 del 5 febbraio 1964.

175 Di contro, Cass., sez. I, 8 settembre 2000, n. 11870, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2001, 428.

176 Ricciotti R. e Ricciotti M. M., “Espulsione degli stranieri” [aggiornamento-2000], in Digesto pen., Utet, Torino, 260.

177 Sentenza C. Cost. n. 104/1969.

178 In tal senso, Cassese A., in: “Commento alla sent. C. cost. n. 104 del 1969”, in Riv. dir. intern., 1969, pag. 573 ss. In merito, anche, Cuniberti M., “La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana”, Padova, 1997; pag. 259 ss.

179 Corte cost., 22 giugno 2000, n. 227, in Foro it., 2001, I, 1102, n. Caponi; Giur. costit., 2000, 2889, n. Sirianni; Giur. it., 2001, 139, n. Caielli; Legislazione pen., 2000, 950; Giur. costit., 2000, 1786 e Corte cost., 16 giugno 2000, n. 198, in Foro it., 2001, I, 1109, n. La Spina; Giur. costit., 2000, 2889, n. Sirianni; Giur. it., 2001, 139, n. Caielli; Legislazione pen., 2000, 940; Giur. costit., 2000, 1666.

180 Rivello P.P., “Le conseguenze del mancato rispetto delle garanzie linguistiche nell’ambito del procedimento di espulsione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 1, 20.

181 La Spina P., “Sulla (mancata) decorrenza del termine per impugnare il provvedimento di espulsione non tradotto in lingua comprensibile al destinatario” (Nota a Corte cost., 16 giugno 2000, n. 198), in Foro it., 2001, I, 1109.

182 Caielli Mia, “Il diritto di difesa degli stranieri extra-comunitari nel procedimento di espulsione dal territorio dello Stato: problemi di lingua”. (Nota a Corte Cost., 16 giugno 2000, n. 198; Corte Cost., 22 giugno 2000, n. 227). Giurisprudenza italiana, 2001, fasc. 1 (gennaio), pag. 139-142.

183 Sirianni G., “Il diritto alla difesa degli stranieri: il difficile equilibrio tra tutela sostanziale ed esigenze di controllo dell’immigrazione”, in Giur. cost., 2000.

184 Tra le decisioni in materia: ordinanze n. 492/1991, n. 23/1994 e n. 401/1998. (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

185 In merito, sulla stessa linea, anche, Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16032, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 8 novembre 2001, n. 13817, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 19 ottobre 2001, n. 12803, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 16 ottobre 2001, n. 12581, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 9 ottobre 2001, n. 12350, in Mass., 2001; Cd- Rom Foro it., 1987-2001 e Cass., sez. I, 7 luglio 2001, n. 9264, in Mass., 2001.

186 Cass. sez. civ. I, 6 luglio 2001, n. 9138, in Giust. civ., 2001, I, 2018; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 123, n. Di Bari; Guida al dir., 2001, fasc. 31, 43, n. Noci; Dir. e giustizia, 2001, fasc. 30, 46, n. Giacalone; Cd-Rom Foro it., 1987-2001. Il Corriere giuridico, 2001, fasc. 8 (agosto).

187 Di contro, per quanto concerne la comunicazione della convalida del provvedimento di trattenimento nei cpt, vedi, Gambacurta S., “Due pronunce della Corte di Cassazione in tema di regolarizzazione e trattenimento temporaneo del cittadino straniero” (Nota a Cass., sez. I, 6 luglio 2000, n. 9002 e Cass., sez. I, 7 luglio 2000, 9003, [in Guida al dir., 2000, fasc. 37, 34, n. Noci; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 107; Cd-Rom Foro it., 1987-2000]), in Riv. giur. polizia, 2000, 761.

188 Di Bari P. L., “Il diritto alla comprensione linguistica del decreto di espulsione secondo la Cassazione civile” (Nota a Cass., sez. I, 6 luglio 2001, n. 9138), in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 88.

189 Cass., sez. I, 8 novembre 2001, n. 13817, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

190 Zorzella N., “Il diritto di difesa dello straniero nel rapporto tra giudizio amministrativo e giudizio ordinario – Commento alle recenti pronunce della Corte di Cassazione” (Cass., sez. I, 8 novembre 2001, n. 13817, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001), in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 1, 106.

191 Carbone Vincenzo, “Immigrazione”. (Osservazioni a Cass., sez. civ. I, 6 luglio 2001, n. 9138). Il Corriere giuridico, 2001, fasc. 8 (agosto), pag. 996-997.

192 Pastore M., “Espulsioni e procedura di regolarizzazione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 67.

193 Su tale punto vedi, la nuova normativa in materia e i dubbi costituzionali in merito, par. 2.12. (LA NUOVA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE E I PRINCIPI COSTITUZIONALI).

194 Ceccarelli P., “Immigrati: i poteri del prefetto in materia di revoca delle espulsioni”, in Ammin. civ., 2002, fasc. 2, 97.

195 Tribunale di Padova, 27 settembre 2000, in Riv. pen., 2001, 151.

196 Ord. n. 257/2001. (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

197 Di contrario avviso, una precedente giurisprudenza della Corte cost. ord., 28 maggio 2001, n. 165 in Riv. dir. internaz., 2001, 818; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 2, 119.

198 Su tale punto vedi, la nuova normativa in materia e i dubbi costituzionali in merito, par. 2.12. (LA NUOVA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE E I PRINCIPI COSTITUZIONALI).

199 Tribunale di Milano, 2 novembre 2000, 6 novembre 2000, in Foro it., 2000, I, 3345 – 3344, n. Civinini, Proto Pisani, Scarselli; Guida al dir., 2000, fasc. 42, 62 – 42, 64, n. Forlenza. Interessante in merito, anche, Tribunale di Milano, 10 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, 350, n. La Spina; Questione giustizia, 2000, 1186, n. Caputo; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 148, par. 2.7.4. (Le espulsioni “amministrative”: il trattenimento nei “centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Violazione della libertà personale?)

200 Civinini M. G., Proto Pisani A. e Scarselli G., “La tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari” (Nota a Tribunale di Milano, 7 novembre 2000; Tribunale di Milano, 6 novembre 2000 e Tribunale di Milano, 2 novembre 2000), in Foro it., 2000, I, 3344. Per una visione completa della questione, vedi, 2.7.4. (Le espulsioni “amministrative”: il trattenimento nei “centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Violazione della libertà personale?)

201 Corte Cost. ord., 25 luglio 2001, n. 297, in Foro it., 2001, I, 2700, n. La Spina, Romboli.

202 In tal senso anche, Gambacurta S., “Due pronunce della Corte di Cassazione in tema di regolarizzazione e trattenimento temporaneo del cittadino straniero” (Nota a Cass., sez. I, 6 luglio 2000, n. 9002, [in Guida al dir., 2000, fasc. 37, 32, n. Noci; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 105; Cd-Rom Foro it., 1987-2000] e Cass., sez. I, 7 luglio 2000, 9003), in Riv. giur. polizia, 2000, 761.

203 Caputo A., “Verso un diritto speciale per gli immigrati?” (Nota a Tribunale di Milano, 6 novembre 2000 e Tribunale di Milano, 10 novembre 2000), in Questione giustizia, 2000, 1179. Vedi, anche, Caputo A., “La detenzione amministrativa e la Costituzione: interrogativi sul diritto speciale degli stranieri”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1/2000, 51.

204 Romboli Roberto, “Immigrazione, libertà personale e riserva di giurisdizione: la Corte costituzionale afferma importanti principi, ma lo fa sottovoce”. (Nota a ord. C. Cost. 25 luglio 2001, n. 297, sent. C. Cost. 10 aprile 2001, n. 105 e ord. Tribunale di Milano 27 gennaio 2001). Il Foro italiano, 2001, fasc. 10 (ottobre), pt. 1, pag. 2703-2714.

205 Corte cost. ord., 25 luglio 2001, n. 297, in Foro it., 2001, I, 2700, n. La Spina, Romboli.

206 La Spina P., “Modalità esecutive dell’espulsione dello straniero e controllo giurisdizionale” (Nota a Corte cost., ord. 25 luglio 2001 n. 297; Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105 e Tribunale di Milano, 27 gennaio 2001), in Foro it., 2001, I, 2700.

207 Corte cost. ord., 9 novembre 2000, n. 485, in Giur. costit., 2000, 3751, n. Sirianni; Riv. dir. internaz., 2001, 167; Riv. internaz. diritti dell’uomo, 2001, 319; Legislazione pen., 2001, 587; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 121; Cons. Stato, 2000, II, 2141.

208 Sirianni G., “I termini processuali del ricorso avverso l’espulsione nuovamente al vaglio della consulta” (Nota a Corte cost., ord. 9 novembre 2000, n. 485), in Giur. costit., 2000, 3756.

209 Ord. n. 414/2001. (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

210 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza penale, sentenza n. 3162/2003.

211 In merito, Cass., sez. VI, 3 novembre 2000, in Riv. pen., 2001, 461; Giust. pen., 2001, II, 505.

212 Ricciotti R., “L’espulsione degli stranieri clandestini – Problemi di esecuzione”, in Critica pen., 2000, 39 e Cass., sez. I, 19 maggio 2000, in Arch. circolaz., 2000, 833.

213 In merito, anche, Cass., sez. I, 29 gennaio 2001, in Riv. pen., 2001, 535; Cass., sez. I, 16 novembre 2000, in Riv. pen., 2001, 535 e Cass., sez. I, 2 novembre 2000, in Giust. pen., 2001, II, 649.

214 Miele R., “La nuova legislazione sugli stranieri”, II ed., Viterbo, 1999.

215 Cass., sez. I, 30 aprile 2001, in Riv. pen., 2001, 728. Giovagnoli R., “Favoreggiamento della permanenza illecita degli stranieri nello Stato e successione di leggi penali nel tempo” (Nota a Cass., sez. III, 25 ottobre 2000), in Mass. giur. lav., 2001, 296.

216 Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 962/2004.

217 Cass., sez. III, 4 maggio 2001, in Ced Cass., rv. 219538 (m) e Giovagnoli R., “Favoreggiamento della permanenza illecita degli stranieri nello Stato e successione di leggi penali nel tempo” (Nota a Cass., sez. III, 25 ottobre 2000), in Mass. giur. lav., 2001, 296.

218 Cass., sez. I, 8 marzo 2000, in Ced Cass., rv. 216423 (m).

219 Note critiche al nuovo testo di legge sull’immigrazione a cura dell'Avv. Massimo Ceciarini, in www.ismu.orgwww.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo. Vedi, anche, Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 78.

220 Zorzella N.,Il diritto di difesa dello straniero nel rapporto tra giudizio amministrativo e giudizio ordinario. Commento alle recenti pronunce della Corte di cassazione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 1.

221 Acierno M., “Il reclamo nel testo unico d. leg. 286/98”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 1, 65.

222 Da ultimo (vedi più avanti): Sentenza Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 2513/2002 (Presidente: R. Panzarani; Relatore: G. Marziale).

223 Corte cost., 31 maggio 2000, n. 161, in Giust. civ., 2000, I, 2531; Cons. Stato, 2000, II, 836; Riv. polizia, 2000, 569; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 93, n. Zorzella; Riv. dir. internaz., 2000, 835.

224 Sirianni G., “Il diritto alla difesa degli stranieri: il difficile equilibrio tra tutela sostanziale ed esigenze di controllo della immigrazione” (Nota a Corte cost., 31 maggio 2000, n. 161; Corte cost., 16 giugno 2000, n. 198 e Corte cost., 22 giugno 2000, n. 227), in Giur. costit., 2000, 2890.

225 Ferri B., “La “riscontrabilità” nel rapporto controverso del vizio lamentato può configurarsi come requisito necessario per la rilevanza di una questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale?” (Nota a Corte cost., 31 maggio 2000, n. 161), in Giur. costit., 2000, 4381.

226 Zorzella N., “Il diritto di difesa degli stranieri e la Corte costituzionale: spunti di analisi sulla sentenza n. 161/2000” (Nota a Corte costituzionale, 31 maggio 2000, n. 161), in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 51.

227 Locatelli G., “Disposizioni correttive al testo unico sull’immigrazione e sanatoria per i clandestini (commento al d.leg. 13 aprile 1999 n. 113)”, in Dir. pen. e proc., 2000, 673.

228 Sirianni G., “Il diritto alla difesa degli stranieri: il difficile equilibrio tra tutela sostanziale ed esigenze di controllo dell’immigrazione”, in Giur. cost., 2000.

229 Forlenza O., “Commento al d.leg. 13 aprile 1999 n. 113, disposizioni correttive al t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 47, 2° comma, l. 6 marzo 1998 n. 40”, in Guida al dir., 1999, fasc. 19, 14.

230 Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 2513/2002 (Presidente: R. Panzarani; Relatore: G. Marziale), vedi par. 2.8 (LE GARANZIE GIURISDIZIONALI).

231 Sent. C. Cost. n. 503/1987.

232 Cuniberti M., “La nuova disciplina dell’espulsione dello straniero dal territorio nazionale e le libertà costituzionali: spunti per una riflessione sul significato costituzionale della cittadinanza”, in Dir. pubbl., 2000; pag. 9.

234 Sirianni G., “La polizia degli stranieri”, Torino, 1999; pag. 59 ss.

235 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 12721/2002. .

236 Di contro vedi, per la dottrina, Miazzi L., “Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?” in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 34. Per la giurisprudenza, vedi Tribunale minorenni Perugia, 1 dicembre 1999, in Rass. giur. umbra, 2000, 17. Par. 2.5.1. (Limiti normativi alla potestà statuale di allontanamento e la disciplina degli extracomunitari minorenni).

237 Algostino A., “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio: anche gli albanesi?”, in Pol. Dir., 1998, pag. 25 ss. Vedi anche, Marazzita G., “Lo stato d’emergenza diretto a fronteggiare l’esodo dall’Albania”, in Giur. cost., 1997, pag. 2099 ss.

238 Adinolfi A., “Nuovi istituti (e vecchi problemi) nella disciplina del soggiorno e dell’allontanamento dei cittadini albanesi”, in Riv. dir. intern., 1997, pag. 424 ss.

239 Di contro, Algostino A., “L’espulsione fra tutela dei “casi umani più disperati” e “presidio” delle frontiere”. (Nota a Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353), in Giur. it., 1998, 1481 e Giammarinaro M. G., “Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art. 18 t.u. sull’immigrazione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 4, 34.

240 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2002.

241 In tal senso, Pastore M., “Espulsioni e procedura di regolarizzazione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 1, 67. Vedi anche Consiglio di Stato, sez. IV, 12 aprile 2000, n. 2084, in Cons. Stato, 2000, I, 936 (m).

242 Caselli G. C., “Stranieri e carcere”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 11.

243 Sentenze C. Cost. n. 62/1994 e n. 58/1995.

244 Ord. n. 73/1994, ma soprattutto, sent. n.. 129/1995.

245 Cass., sez. I, 12 maggio 1992, n. 319.

246 Di contro alla prassi amm.tiva, vedi, Consiglio di Stato, sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 368, in Cons. Stato, 2001, I, 183.

247 Sent. C. Cost. n. 58/1995.

248 Sent. C. Cost. n. 313/1990.

249 Consiglio di Stato, sez. IV, 25 settembre 1998, n. 1201, in Guida al dir., 1998, fasc. 42, 109, n. Mezzacapo.

250 Mezzacapo S., “Immigrati: illegittima l’espulsione automatica in seguito a sentenza penale di patteggiamento – La misura adottata dall’autorità amministrativa si deve basare sul comportamento dello straniero” (Nota a C. Stato, sez. IV, 25 settembre 1998, n. 1201), in Guida al dir., 1998, fasc. 42, 111.

251 In tal senso, anche, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 aprile 2001, n. 2241, in Giur. it., 2001, 1967; Cons. Stato, 2001, I, 940 e Consiglio di Stato, sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5233, in Foro amm., 2000, 3039 (m).

252 Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353, in Foro it., 1998, I, 711; Cons. Stato, 1997, II, 1742; Questione giustizia, 1998, 237; Riv. dir. internaz., 1998, 245; Giur. costit., 1997, 3457, n. Cinanni; Giur. it., 1998, 1481, n. Algostino; Giust. pen., 1998, I, 215; Riv. dir. internaz. privato e proc., 1998, 391.

253 Stefani A., “Le nuove misure per lo straniero espulso”, in Dir. pen. e proc., 2001, 638.

254 Parimenti, Algostino A., “L’espulsione fra tutela dei “casi umani più disperati” e “presidio” delle frontiere” (Nota a Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353), in Giur. it., 1998, 1481.

255 Cinanni G., “Tre principi per una disciplina organica e coerente sull’immigrazione” (Nota a Corte costit., 21 novembre 1997 n. 353), in Giur. cost., 1997, 3460.

256 Caselli G. C., “Stranieri e carcere”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 11.

257 Locatelli G., “Osservazioni sull’espulsione sostitutiva della detenzione”, in Dir. pen. e proc., 1999, 1035.

258 Vedi, sentenze C. Cost. n. 62/1994 e n. 283/1994 e le ordinanze n. 401/1994 e n. 106/1995. - (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

259 Cuniberti M., “Espulsione dello straniero e libertà costituzionali”, in Dir. pubbl., 2000, 817.

260 Corte cost. ord., 28 luglio 1999, n. 369, in Giur. costit., 1999, 2827; Cass. pen., 1999, 3367; Riv. dir. internaz., 2000, 233; Legislazione pen., 1999, 992; Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, 187, n. Casadonte.

261 Casadonte A., “L’espulsione come sanzione sostitutiva della pena e i dubbi di legittimità costituzionale”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 1, 71.

262 Criticamente, Casadonte A.M., “La Corte costituzionale e l’espulsione dello straniero: un’ordinanza che non convince” (Nota a Corte cost., ord. 28 luglio 1999, n. 369), in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, pag. 85 ss.

263 Sent. C. Cost. n. 62/1994.

264 Conformemente, vedi, Cass., sez. VI, 22 dicembre 1997, in Ced Cass., rv. 209685 (m); Cass., sez. I, 25 settembre 1997, in Ced Cass., rv. 209171 (m); Cass., sez. I, 13 novembre 1997, in Ced Cass., rv. 209002 (m); Cass., sez. I, 13 novembre 1997, in Ced Cass., rv. 209831 (m); Cass., sez. I, 23 settembre 1998, in Ced Cass., rv. 211499 (m); Cass., sez. I, 23 settembre 1998, in Ced Cass., rv. 211498 (m); Cass., sez. I, 21 settembre 1998, in Ced Cass., rv. 211395 (m); Cass., sez. I, 8 luglio 1998, in Ced Cass., rv. 211304; Cass., sez. I, 27 novembre 1998, in Foro it., 1999, II, 81; Cass., sez. I, 21 settembre 1998, in Foro it., 1999, II, 81; Cass., sez. I, 11 gennaio 1999, in Ced Cass., rv. 212573 (m); Cass., sez. I, 22 dicembre 1998, in Ced Cass., rv. 213360 (m).

265 Locatelli G., “Osservazioni sull’espulsione sostitutiva della detenzione”, in Dir. pen. e proc., 1999, 1035.

266 Cass., sez. I, 9 febbraio 1999, n. 1082, in Giust. civ., 1999, I, 981; Arch. civ., 1999, 1274; Guida al dir., 1999, fasc. 8, 57, n. Forlenza; Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 1, 146.

267 In merito anche, Di Bari P. L., “La Cassazione estende la tutela giurisdizionale ordinaria sui provvedimenti di espulsione dei prefetti, ma il governo intende cambiare la legge”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, 75.

268 Basilica F., “La riforma dell’immigrazione al primo esame della Corte di cassazione e la novità contenuta nel d.leg. 13 aprile 1999 n. 113” (Nota a Cass., sez. I, 9 febbraio 1999, n. 1082), in Rass. avv. Stato, 1999, I, 102. Vedi in merito, anche, par. 2.8 (LE GARANZIE GIURISDIZIONALI).

269 Interessante in merito, anche, Tiscini R., “La tutela dello straniero espulso tra reclamo, ricorso straordinario e ritorni legislativi sul t.u. in materia d’immigrazione” (Nota a Tribunale di Trieste, 25 settembre 1998), in Giust. civ., 1999, I, 2176.

270 Tribunale di Perugia, 6 luglio 1998, in Rass., giur. umbra, 1998, 438, n. Zuddas.

271 Zuddas G., “Legge per gli stranieri e stranieri senza legge: prime applicazioni della l. 12 marzo 1998 n. 40” (Nota a Tribunale di Perugia, 6 luglio 1998), in Rass. giur. umbra, 1998, 440.

272 Cass., sez. I, 9 marzo 2000, in Ced Cass., rv. 216191 (m).

273 Cass., sez. I, 10 luglio 2001, in Ced Cass., rv. 219656 (m). In tal senso, anche, Cass., sez. I, 31 gennaio 2001, in Ced Cass., rv. 219450 (m).

275 Ricciotti R., “L’espulsione degli stranieri clandestini – Problemi di esecuzione”, in Critica pen., 2000, 39.

276 Cfr. Sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2004.

277 Interessante, in merito, Cass., sez. I, 10 luglio 2001, in Ced Cass., rv. 219656 (m) (in nota).

278 Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 2513/2002 (Presidente: R. Panzarani; Relatore: G. Marziale). Vedi in merito, par. 2.8 (LE GARANZIE GIURISDIZIONALI).

279 Favilli C., “La nuova disciplina dell’espulsione amministrativa”, in Riv. dir. internaz., 2001, 769.

280 Consiglio di Stato, sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3825, in Cons. Stato, 2000, I, 1679 (m). Corte costit., 21 novembre 1997, n. 353, in Foro it., 1998, I, 711; Cons. Stato, 1997, II, 1742; Questione giustizia, 1998, 237; Riv. dir. internaz., 1998, 245; Giur. costit., 1997, 3457, n. Cinanni; Giur. it., 1998, 1481, n. Algostino; Giust. pen., 1998, I, 215; Riv. dir. internaz. privato e proc., 1998, 391. Vedi, par. 2.7.1. (Le espulsioni “penali”: espulsione “automatica”. Origine e natura giuridica).

281 In merito, anche, Cinanni G., “Tre principi per una disciplina organica e coerente sull’immigrazione” (Nota a Corte costit., 21 novembre 1997 n. 353), in Giur. cost., 1997, 3460.

282 Sirianni G., “Il diritto alla difesa degli stranieri: il difficile equilibrio tra tutela sostanziale ed esigenze di controllo dell’immigrazione”, in Giur. cost., 2000. Conformemente, vedi, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3825, in Cons. Stato, 2000, I, 1679 (m).

283 In materia di comunicazione del provvedimento prefettizio di espulsione, vedi, Cass., sez. I, 9 novembre 2001, n. 13871, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

284 In merito, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 novembre 2000, n. 6113, in Foro amm., 2000, 3548 (m).

285 Ricciotti R. e Ricciotti M. M., “Espulsione degli stranieri” [aggiornamento-2000], in Digesto pen., Utet, Torino, 262.

286 Corte cost. ord., 20 luglio 2000, n. 313, in Giur. costit., 2000, 2367; Riv. dir. internaz., 2000, 1147; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 119; Foro it., 2002, I, 356 e Corte cost. ord., 8 novembre 2000, n. 481, in Giur. costit., 2000, 3727.

287 Tribunale di Vibo Valentia, 12 marzo 1999, in Foro it., 1999, I, 3698 (m). Tribunale di Vibo Valentia, 22 febbraio 2000, Mazur, in Riv. pen., 2000, 670;

288 Cuniberti M., “Espulsione dello straniero e libertà costituzionali”, in Dir. pubbl., 2000, 817.

289 Corte cost. ord., 6 luglio 2001, n. 232, in Riv. dir. internaz., 2001, 821.

290 Alessano F. M., “Condizione giuridica dello straniero e valori costituzionali”, in Dir. economia, 2002, 95.

291 Ceccarelli P., “Immigrati: i poteri del prefetto in materia di revoca delle espulsioni”, in Ammin. civ., 2002, fasc. 2, 97.

292 Interessante in merito, Cass., sez. I, 9 novembre 2001, n. 13864, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

293 In merito, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1381, in Giornale dir. amm., 2001, 483, n. Gardini; Corte cost. ord., 9 novembre 2000, n. 485, in Giur. costit., 2000, 3751, n. Sirianni; Riv. dir. internaz., 2001, 167; Riv. internaz. diritti dell’uomo, 2001, 319; Legislazione pen., 2001, 587; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 121; Cons. Stato, 2000, II, 2141; n. 2001/257; n. 2001/298; n. 2001/388; n. 2001/414.- (Consulta Online-www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

294 Gualandi F., “Espulsione e comunicazione di avvio del procedimento: dalla teoria alla pratica”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 81.

295 Pace A., “Problematica delle libertà costituzionali”, Padova, 1992; pag. 169 ss.

296 Castellaro M., “La disciplina delle espulsioni amministrative e della connessa tutela giurisdizionale nella recente legge contenente nuove norme sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero”, in Riv. polizia, 1998, 345.

297 Dubolino P., “L’accompagnamento coattivo alla frontiera dopo l’intervento della Corte costituzionale”, in Riv. polizia, 2001, 542.

298 Sent. C. Cost. n. 13/1972.

299 Di avviso contrario, Pace A., “La negata incostituzionalità dell’accompagnamento coattivo di pubblica sicurezza”, in Giur. cost., 1972, 72 ss.

300 Sentenza Corte cost. n. 5 del 2004.

301 Dubolino P., “L’accompagnamento coattivo alla frontiera dopo l’intervento della Corte costituzionale”, in Riv. polizia, 2001, 545.

302 Caputo A., “Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri”, in Questione giustizia, 1999, 424.

303 Pedone V., ”Mitigato il regime sanzionatorio degli stranieri che rientrano nello Stato dopo esserne stati espulsi” (Nota a Cass., sez. I, 1° febbraio 2000), in Riv. polizia, 2000, 795.

304 Castellaro M., “La tutela cautelare contro il provvedimento di espulsione adottato dal prefetto ed i suoi riflessi sulla configurabilità del reato previsto dall’art. 151 r.d. n. 773/1931”, in Giust. pen., 1998, II, 123.

305 In merito, Cass., sez. I, 20 giugno 2000, n. 8381, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000.

306 Zorzella N., “Il diritto di difesa dello straniero nel rapporto tra giudizio amministrativo e giudizio ordinario – Commento alle recenti pronunce della Corte di Cassazione” (Nota a Cass., sez. I, 9 giugno 2000, n. 7867 e Cass., sez. I, 20 giugno 2000, n. 8381), in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 106.

307 Gualandi F., “Espulsione e comunicazione di avvio del procedimento: dalla teoria alla pratica”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 81e Cass., sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15414, in Mass., 2001.

308 In tal senso, anche, Cass., sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15414, in Mass., 2001.

309 Note critiche al nuovo testo di legge sull’immigrazione a cura dell'Avv. Massimo Ceciarini, in www.ismu.orgwww.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo.

310 Per un confronto con la precedente disciplina, Caputo A., “Espulsione amministrativa e nulla osta dell’autorità giudiziaria”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, fasc. 3, 95.

311 Cass., sez. I, 9 novembre 2001, n. 13865; in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

312 Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16029 in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

313 In merito, Cass., sez. I, 14 dicembre 2001, n. 15825, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

314 Fiorini E., “I ricorsi in materia di immigrazione”, in Nuova giur. ligure, 2000, 309.

315 Cfr. Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza n. 12684/2003.

316 Raffaele Miraglia,Patrocinio per i non abbienti stranieri nei giudizi penali”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 2.

317 Massenz M., “Il patrocinio a spese dello Stato per gli stranieri espulsi nella disciplina del t.u. d.leg. 286/98”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 93.

318 Cassazione Sezioni Unite Civili 7892/2003.

319 Vassallo Paleologo F., “I centri di permanenza temporanea per stranieri in Italia”, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 4/1999; pag. 26 ss.

320 Forlenza O., Tricomi I., Candidi A. M., Sacchettini E., Noci M., Miele T., Girgenti D. e Finocchi Ghersi R., “Commento al d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, 6° comma, d.leg. 25 luglio 1998, n. 286”, in Guida al dir., 1999, fasc. 46, 15. Vedi anche, Casoni G., ”Cittadini comunitari ed extracomunitari: visto d’ingresso, permesso e carta di soggiorno alla luce delle recenti disposizioni normative (t.u. 25 luglio 1998 n. 286, d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, d.leg. 2 agosto 1999 n. 358)”, in Stato civile it., 2000, 516.

321 Caputo A., “Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri”, in Questione giustizia, 1999, 424.

322 Tribunale di Milano, 7 novembre 2000, in Foro it., 2000, I, 3344; n. Civinini, Proto Pisani, Scarselli; Guida al dir., 2000, fasc. 42, 67, n. Forlenza. Vedi anche, Tribunale di Milano, 2 novembre 2000, 6 novembre 2000, in Foro it., 2000, I, 3345 – 3344, n. Civinini, Proto Pisani, Scarselli; Guida al dir., 2000, fasc. 42, 62 – 42, 64, n. Forlenza. Vedi, par. 2.5.3. (L’evoluzione normativa dell’allontanamento dalla legge Martelli alla legge Bossi-Fini e profili di incostituzionalità della materia).

323 Caputo A., “La detenzione amministrativa e la Costituzione: interrogativi sul diritto speciale degli stranieri”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1/2000, 51 ss.

324 Civinini M. G., Proto Pisani A. e Scarselli G., “La tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari” (Nota a Tribunale di Milano, 7 novembre 2000; Tribunale di Milano, 6 novembre 2000 e Tribunale di Milano, 2 novembre 2000), in Foro it., 2000, I, 3344.

325 In tal senso vedi, anche, Tribunale di Milano, 10 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, 350, n. La Spina; Questione giustizia, 2000, 1186, n. Caputo; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 148.

326 Savio G., “Controllo giurisdizionale e diritto di difesa degli stranieri trattenuti presso i centri di permanenza temporanea”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 63.

327 Castellaro M., “La tutela cautelare contro il provvedimento di espulsione adottato dal prefetto ed i suoi riflessi sulla configurabilità del reato previsto dall’art. 151 r.d. n. 773/1931”, in Giust. pen., 1998, II, 122.

328 Pepino L., “Centri di detenzione ed espulsioni (irrazionalità del sistema e alternative possibili)”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 11.

329 Finocchi R., “Trattenimento ed espulsione dello straniero clandestino” (Nota a Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105), in Giornale dir. amm., 2001, 1117 e Pedone V., “Trattenimento ed accompagnamento coattivo dello straniero al vaglio della Corte costituzionale” (Nota a Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105), in Riv. polizia, 2001, 419.

330 Sentenza C.Cost. 10 aprile 2001 n. 105, in Foro it., 2001, I, 2701, n. La Spina, Romboli; Questione giustizia, 2001, 588, n. Casadonte; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2, 109; Corriere giur., 2001, 1019, n. Marinelli; Giornale dir. amm., 2001, 1117, n. Finocchi; Giur. costit., 2001, 675; Riv. dir. internaz., 2001, 510; Critica pen., 2001, 75; Guida al dir., 2001, fasc. 15, 91, n. Forlenza; Giust. pen., 2001, I, 334; Riv. polizia, 2001, 410, n. Pedone; Dir. e giustizia, 2001, fasc. 16, 11, n. Bruni; Cons. Stato, 2001, II, 552.

331 Romboli Roberto, “Immigrazione, libertà personale e riserva di giurisdizione: la Corte costituzionale afferma importanti principi, ma lo fa sottovoce”. (Nota a ord. C. Cost. 25 luglio 2001, n. 297, sent. C. Cost. 10 aprile 2001, n. 105 e ord. Trib. Milano 27 gennaio 2001). Il Foro italiano, 2001, fasc. 10 (ottobre), pt. 1, pagg. 2703-2714. Vedi anche, Vittorio Angiolini,L'accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera e la tutela della libertà personale con la sentenza n. 105 del 2001 la Corte fa (solo) il primo passo e lascia ai giudici comuni di proseguire”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2.

332 Marinelli M., “Immigrazione e processo, tra efficienza e garanzie di tutti” (Nota a Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105 e Corte cost., ord. 17 maggio 2001, n. 140), in Corriere giur., 2001, 1019.

333 Civinini M. G., Proto Pisani A. e Scarselli G., “La tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari” (Nota a Tribunale di Milano, 7 novembre 2000; Tribunale di Milano, 6 novembre 2000 e Tribunale di Milano, 2 novembre 2000), in Foro it., 2000, I, 3344.

334 Per una visione completa in merito, vedi, Guido Savio,Brevi note sulla pronuncia della Corte costituzionale n. 35/2001 in tema di convalida del trattamento in C.P.T”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 1 e La Spina P., “Modalità esecutive dell’espulsione dello straniero e controllo giurisdizionale” (Nota a Corte cost., ord. 25 luglio 2001, n. 297; Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105 e T. Milano, 27 gennaio 2001), in Foro it., 2001, I, 2700.

335 Casadonte A., “Il giudice delle leggi e i centri di detenzione: un salvataggio che apre nuovi dubbi” (Nota a Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105), in Questione giustizia, 2001, 585.

336 Tribunale di Napoli, 22 novembre 2000 in Giur. merito, 2001, 744.

337 Tribunale di Napoli, Sezione Prima Civile. Decreto del 22- 24 novembre 2000 sulla legittimità costituzionale dell’art. 13 commi 4, 5, 6, e dell’art. 14 commi 4 e 5 del D. L.vo 25.7.1998 n. 286.

338 Interessante in merito, Savio G., “Controllo giurisdizionale e diritto di difesa degli stranieri trattenuti presso i centri di permanenza temporanea”, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 63.

339 Interessante in merito, Sarti A., “Immigrati trattenuti nei centri di accoglienza e garanzie difensive” , (Nota a Tribunale di Brindisi, 23 gennaio 2001, X.), in Giur. it., 2001, 1476.

340 Caputo A., “La detenzione amministrativa e la Costituzione: interrogativi sul diritto speciale degli stranieri”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, fasc. 1, 2000, 51 ss. Vedi anche, Agamben G., “Mezzi senza fine”, Torino, 1996; pagg. 35-41.

341 Cass., sez. I, 29 novembre 2001, n. 15203, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

342 Legge 7 giugno 2002, n. 106. “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera”.

343 DECRETO-LEGGE 4 aprile 2002, n. 51. “Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera”.

344 Cfr. Sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2004.

345 In merito, Corte cost. ord., 23 marzo 2001, n. 78, in Cass. pen., 2001, 2026; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2, 171; Giur. costit., 2001, 537 e Cass., sez. I, 30 aprile 2001, in Riv. pen., 2001, 728.

346 Martucci Pierpaolo, Putignano Carlo, “Criminalità e immigrazione nella percezione sociale degli italiani. Risultato di un’indagine preliminare”. Rass. It. Criminologia, 2001, pag. 73.

347 De Angelis I. e De Martino A. C., “L’espulsione amministrativa disciplinata dall’art. 11 l. 6 marzo 1998 n. 40 nella giurisprudenza del giudice ordinario”, in Riv. amm., 1999, 1137.

348 Cass., sez. I, 14 novembre 2001, n. 14157, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001 e Cass., sez. I, 9 novembre 2001, n. 13869, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

349 In merito al diritto di difesa, interessanti sono le pronunce, Cass., sez. I, 14 dicembre 2001, n. 15825, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Corte cost. 31 maggio 2000, n. 161, in Giust. civ., 2000, I, 2531; Cons. Stato, 2000, II, 836; Riv. polizia, 2000, 569; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 93, n. Zorzella; Riv. dir. internaz., 2000, 835.

350 Ricciotti R. e Ricciotti M. M., “Espulsione degli stranieri” [aggiornamento-2000], in Digesto pen., Utet, Torino, 262.

351 In tal senso, Cass., sez. I, 3 gennaio 2001, n. 52, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

352 Luigi Gili,Ancora sul diritto alla difesa dello straniero, nel rapporto tra il giudizio ordinario e quello amministrativo”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2.

353 In merito, Zorzella N., “Il diritto di difesa degli stranieri e la Corte costituzionale: spunti di analisi sulla sentenza n. 161/2000” (Nota a Corte cost., 31 maggio 2000, n. 161), in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 51.

354 Caputo A., “La detenzione amministrativa e la Costituzione: interrogativi sul diritto speciale degli stranieri”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 1, 51.

355 Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16030, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

356 Conformemente, vedi, Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16032, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 9 novembre 2001, n. 13874, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 19 ottobre 2001, n. 12795, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 19 ottobre 2001, n. 12803, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001 e Cass., sez. I, 10 ottobre 2000, n. 13459, in Giur. it., 2001, 605; Ammin. It., 2001, 781; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 121.

357 Sent. C. Cost. n. 503 del 1987. - (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

358 Fiorini E., “I ricorsi in materia di immigrazione”, in Nuova giur. ligure, 2000, 309.

359 In merito, anche, Consiglio di Stato, sez. I, 14 giugno 2001, n. 552/01, in Cons. Stato, 2001, I, 2416.

360 In proposito, Sirianni G., “Le garanzie giurisdizionali avverso l’espulsione, “anello debole” della condizione giuridica dello straniero”, in Dir. pubbl., 2000; spec. § 7 ss.

361 Citata sent. C. Cost., 27 luglio 2000 n. 376 (Consulta Online www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002), in Cons. Stato, 2000, II, 1309; Questione giustizia, 2000, 1005, n. Bouchard; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 3, 86; Riv. polizia, 2000, 650; Tutela, 2000, fasc. 3, 177; Guida al dir., 2000, fasc. 32, 18, n. Noci.

362 Bouchard M., “Corte costituzionale: immigrazione e protezione dell’unità familiare”, (Nota a Corte cost., 27 luglio 2000, n. 376), in Questione giustizia, 2000, 1002.

363 Vedi anche, sent. C. Cost. n. 341/1991.

364 Sent. C. Cost. n. 179/1993.

365 Sentenza Corte di Cassazione n. 1082/1999 in “Guida al diritto”, 1999, n. 8, pag. 57 ss. Vedi anche, Basilica F., “La riforma dell’immigrazione al primo esame della Corte di cassazione e la novità contenuta nel d.leg. 13 aprile 1999 n. 113” (Nota a Cass., sez. I, 9 febbraio 1999, n. 1082), in Rass. avv. Stato, 1999, I, 102, e par. 2.7.2. (Le espulsioni “penali”: espulsione “a richiesta di parte” e espulsione come “sanzione sostitutiva”. Origine e evoluzione normativa).

366 Sirianni, G., “Le garanzie giurisdizionali avverso l’espulsione, “anello debole” della condizione giuridica dello straniero”, in Dir. pubbl., 2000; § 9.

367 In merito, Cass., sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15413, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

368 Interessante in merito, Cassazione, sez. I, 17 novembre 2000, n. 14908, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000.

369 Forlenza O., “Commento al d.leg. 13 aprile 1999 n. 113, disposizioni correttive al t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 47, 2° comma, l. 6 marzo 1998 n. 40”, in Guida al dir., 1999, fasc. 19, 14.

370 Nazzarena Zorzella,Il diritto di difesa dello straniero nel rapporto tra giudizio amministrativo e giudizio ordinario. Commento alle recenti pronunce della Corte di Cassazione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 1.

371 In merito, Cass., sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15414, in Mass., 2001. In tal senso, anche, Cass., sez. un., 28 novembre 2001, n. 15141, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001; Cass., sez. I, 14 novembre 2001, n. 14152, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001 e Cass., sez. I, 13 aprile 2001, n. 5537, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

372 In tal senso, anche, Cassazione, sez. I, 13 ottobre 2000, n. 13653, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000.

373 Casoni G., “Cittadini comunitari ed extracomunitari: visto d’ingresso, permesso e carta di soggiorno alla luce delle recenti disposizioni normative (t.u. 25 luglio 1998 n. 286, d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, d.leg. 2 agosto 1999 n. 358)”, in Stato civile it., 2000, 354, 436 e 516.

374 Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 2513/2002 (Presidente: R. Panzarani; Relatore: G. Marziale)

375 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza n. 12684/2003.

376 Pasotti L., “Convivenza more uxorio e diritto dell’extracomunitario al ricongiungimento con i figli” (Nota a Corte costit., 26 giugno 1997, n. 203), in Giur. it., 1998, 205.

377 Tripodina C., “Il diritto fondamentale del genitore extracomunitario al ricongiungimento con il figlio minorenne” (Nota a Corte costit., 26 giugno 1997, n. 203), in Giur. it., 1998, 414.

378 Di contro cfr., Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 8510/2002.

379 Tribunale minorenni Bologna, 3 luglio 2000, in Famiglia e dir., 2001, 83, n. Ravot.

380 Ravot E., “Ricongiungimento familiare: diritti del minore straniero” (Nota a Tribunale minorenni Bologna, 3 luglio 2000), in Famiglia e dir., 2001, 83. In tal senso, anche, Cass., sez. I, 17 settembre 2001, n. 11624, in Dir. e giustizia, 2001, fasc. 34, 54; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

381 Corte cost. ord., 20 luglio 2000, n. 313, in Giur. costit., 2000, 2367; Riv. dir. internaz., 2000, 1147; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 4, 119; Foro it., 2002, I, 356; Corte cost. ord., 8 novembre 2000, n. 481, in Giur. costit., 2000, 3727, promosse con ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia 22 febbraio 2000, Mazur, in Riv. pen., 2000, 670 e Corte cost. ord., 6 luglio 2001, n. 232, in Riv. dir. internaz., 2001, 821. In merito par. 2.7.3. (Le espulsioni “amministrative”).

382 Corte cost., ord., 17 maggio 2001, n. 140, in Corriere giur., 2001, 1023, n. Marinelli; Riv. dir. internaz., 2001, 814; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2, 141.

383 Marinelli M., “Immigrazione e processo, tra efficienza e garanzie di tutti” (Nota a Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105 e Corte cost., ord. 17 maggio 2001, n. 140), in Corriere giur., 2001, 1019.

384 Manese G., “Le più importanti novità normative sull’immigrazione extracomunitaria”, in Stato civile, it., 2000, 350 e 432. Vedi anche in merito, Cass., sez. I, 26 luglio 2000, n. 9793, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000.

385 Note critiche al nuovo testo di legge sull’immigrazione a cura dell'Avv. Massimo Ceciarini, in www.ismu.orgwww.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo.

386 Pasotti L., “Convivenza more uxorio e diritto dell’extracomunitario al ricongiungimento con i figli” (Nota a Corte costit., 26 giugno 1997, n. 203), in Giur. it., 1998, 205 e Tripodina C., “Il diritto fondamentale del genitore extracomunitario al ricongiungimento con il figlio minorenne” (Nota a Corte costit., 26 giugno 1997, n. 203), in Giur. it., 1998, 414.

387 Di contro cfr., Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 8510/2002.

388 Interessante in merito, Cass., sez. I, 14 luglio 2000, n. 9326, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000 e Cass., sez. I, 14 luglio 2000, n. 9327, in Mass., 2000; Cd-Rom Foro it., 1987-2000; Vedi par. 2.5.1. (Limiti normativi alla potestà statuale di allontanamento e la disciplina degli extracomunitari minorenni).

389 Vedi Miazzi L., “Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?” in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2000, fasc. 2, 34 e Turri G. C., Vitale G., Rubinacci C., Foti C., Guerci L., Campisi P., Cartasegna C., Dusi A., Calcagno G., “I bambini stranieri dal rifiuto e dalla separatezza all’accoglienza e all’integrazione”, in Minori giustizia, 1999, fasc. 3, 5.

390 Biscottini G., “Cittadinanza (dir. vigente)”, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, pag. 155. Di contro Quadri R., “Cittadinanza”, in Nss. D.I., III, Torino, 1959, pag. 327.

391 Miazzi L., “La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia”, in Minori giustizia, 1999, fasc. 3, 104.

392 Clerici R., “La cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano”, Padova, 1993; pag. 107 ss.

393 Interessante in merito l’articolo 1 del regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002 che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi: Articolo 1.

1. I permessi di soggiorno rilasciati dagli Stati membri a cittadini di paesi terzi hanno un modello uniforme e comprendono uno spazio riservato alle informazioni indicate nell'allegato. Il modello uniforme può essere utilizzato come autoadesivo o documento separato. Ciascuno Stato membro può aggiungere nello spazio del modello uniforme riservato a tal fine informazioni importanti riguardanti la natura del permesso e lo status giuridico della persona interessata, comprese le informazioni su un eventuale permesso di lavoro della stessa.

2. Ai fini del presente regolamento, si intende per:

a) “permesso di soggiorno”, un'autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio, fatta eccezione per:

i) visti;

ii) permessi rilasciati in attesa dell'esame di una domanda di permesso di soggiorno o di asilo;

iii) autorizzazioni rilasciate per soggiorni di durata inferiore ai sei mesi da Stati membri che non applicano le disposizioni dell'articolo 21 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni;

b) “cittadino di un paese terzo”, una persona che non è cittadino dell'Unione ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, del trattato.

394 Oggi sono 12 milioni gli immigrati legali provenienti dai Paesi terzi.

395 Bobbio N., “Destra e sinistra”, Roma, 1994; pag. 76 ss.

396 Bolaffi G., “Una politica per gli immigrati”, Bologna 1996; pag. 45 ss.

397 Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 16 ss.

398 Habermas J., “Cittadinanza politica ed identità nazionale. Riflessioni sul futuro dell’Europa”, in Morale, Diritto, Politica. Torino, 1999, pag. 125.

399 Pace A., “Problematica delle libertà costituzionali”, Padova, 1992; pag. 67.

400 Bolaffi G., “Una politica per gli immigrati”, Bologna 1996; pag. 47.

401 Ambrosini M., “La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia”, Milano 2001; pag. 196.

402 Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 20.

403 Costa P., “Civitas. Storia della cittadinanza in Europa”, I-II, Roma-Bari, 1999-2000

404 Pronunce della C. Cost. n. 88/1979, n. 132/1985, n. 561/1987 e n. 455/1990.

405 Cerri A., “La Costituzione e il diritto privato”, in Tratt. Rescigno, II ed., Torino, 1999, 127 ss e Luciani M., “Salute: I) Diritto alla salute – dir. cost.”, in Treccani Enciclopedia, XXVII, Roma, 1994.

406 D’Orazio G., “Lo straniero nella Costituzione italiana”, Padova, 1992; pag. 286 ss.

407 In merito, sent. C. Cost. n. 103/1977.

408 Dalla Torre Giuseppe, “Immigrazione e salute. Questione di biogiuridica”. Studium, Roma, 1999.

409 “Indicazioni applicative del d.leg. 25 luglio 1998 n. 286 “t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”” – Disposizioni in materia di assistenza sanitaria (Circ. Min. Sanità, 24 marzo 2000, n. 5), in Leggi, 2000, II, 83.

410 Consiglio di Stato, sez. I, 7 febbraio 2001, n. 259/00, in Cons. Stato, 2001, I, 2210.

411 Patroni Griffi A., “I diritti dello straniero tra Costituzione e politiche regionali”, in Riv. amm., 2001, 493.

412 Suprema Corte di Cassazione, sez. Prima Civile, sentenza n. 15830/2001. – (www.cittadinolex.it – kataweb – 02/04/2002). In tal senso anche, Corte cost., 17 luglio 2001, n. 252, in Giust. civ., 2001, I, 2018; Comuni d’Italia, 2001, 1415; Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 3, 113; Dir. e giustizia, 2001, fasc. 30, 42, n. Giacalone; Cons. Stato, 2001, II, 1167. Con riferimento allo stato di tossicodipendenza dello straniero clandestino, di contro, vedi, Cass., sez. I, 14 dicembre 2001, n. 15830, in Mass., 2001; Cd-Rom Foro it., 1987-2001.

413 Consiglio di Stato, sez. IV [ord.], 9 gennaio 1998, n. 68, in Riv. amm., 1998, 639 (m).

414 Sent. C. Cost. n. 404/1988. - (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002).

415 Note critiche al nuovo testo di legge sull’immigrazione a cura dell'Avv. Massimo Ceciarini, in www.ismu.orgwww.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo. Vedi, anche, Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 145 ss.

416 Costa P., “Civitas. Storia della cittadinanza in Europa”, I-II, Roma-Bari, 1999-2000

417 Habermas J., “Cittadinanza politica ed identità nazionale. Riflessioni sul futuro dell’Europa”, in Morale, Diritto, politica, Torino, 1992; pag. 105 ss.

418 Rescigno G.U., “Cittadinanza: riflessioni sulla parola e sulla cosa”, in Riv. Dir. Cost., 1997, pag. 37 ss.

419 Brubaker R., “Cittadinanza e nazionalità in Francia ed in Germania”, Bologna, 1997 e Grosso E., “Le vie della cittadinanza”, Padova, 1997.

420 Grosso E., “Cittadini per amore, cittadini per forza: la titolarità soggettiva del diritto di voto nelle Costituzioni europee”, in Dir. pubbl. comp. europeo, 2002, pag. 503 ss.

421 Sentenze C. Cost. n. 120/1963, n. 11/1968 e n. 104/1969.

422 Moschella, G., “Sul mantenimento dell’obbligo del servizio militare di leva per gli apolidi: un’interpretazione discutibile della Corte”, in Giur. cost., 1999, pag. 1728 ss.

423 Sentenze C. Cost. n. 53/1967, n. 974/1988 e n. 278/1992 - Commento di Lombardi G., “Dovere di difesa, servizio militare e status di cittadino (profili critici)”, in Giur. cost., 1967, 343 ss.

424 Grosso E., “Sull’obbligo di prestazione del servizio di leva da parte degli apolidi. Spunti di riflessione verso possibili nuove concezioni della cittadinanza”, in Giur. cost., 1999, 1705 ss.

425 Tra cui, Barile P., ”Diritti dell’uomo e libertà fondamentali”, Bologna, 1984; pag. 31 ss.. Castorina E., “Introduzione allo studio della cittadinanza”, Milano, 1997; pag. 201 ss.

426 Melica L., “Lo straniero extracomunitario. Valori costituzionali ed identità culturale”, Torino, 1996; pag. 31 ss.

427 Sottolineato da Corsi C., “Lo Stato e lo straniero”, Padova, 2001; pag. 223 ss.

428 Proposta di legge, presentata il 16.10.2003 dal vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini.

429 Dopo l'articolo 48 della Costituzione è inserito il seguente:

Articolo 48 bis. 'Agli stranieri non comunitari che hanno raggiunto la maggiore età, che soggiornano stabilmente e regolarmente in Italia da almeno sei anni, che sono titolari di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, che dimostrano di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari e che non sono stati rinviati a giudizio per reati per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto, è riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative in conformità alla disciplina prevista per i cittadini comunitari. L'esercizio del diritto di cui al comma 1 è riconosciuto a coloro che ne fanno richiesta e che si impegnano contestualmente a rispettare i principi fondamentali della Costituzione italiana”.

430 T.A.R. Toscana, sez. I, 18 febbraio 1998, n. 85, in Trib. amm. reg., 1998, I, 1416.

431 T.A.R. Toscana, sez. I, 22 luglio 1997, n. 373, in Toscana giur., 1998, 223.

432 Così Zincone G., “Uno schermo contro il razzismo. Per una politica dei diritti utili”, Roma, 1994; pag. 79.

433 Clerici R., “La cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano”, Padova, 1993; pag. 328.

434 Corsi C., “Lo Stato e lo straniero”, Padova, 2001; pag. 56 ss.

435 Piraino A., “Appunto sulla condizione giuridica degli “stranieri” nell’ordinamento italiano”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1984, fasc. 4 (dicembre), pag. 998.

436 In merito, anche, Grosso E., “Straniero (status costituzionale)”, in Digesto pubbl., Torino, 1999, vol. XV, 156.

437 Udina M., “L’asilo politico territoriale nel diritto internazionale e secondo la Costituzione italiana”, in Dir. intern., 1967, I, 258 ss.

438 Cassese A., “Art. 10-12”, in Comm. cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, 461 ss.

439 Virga P., “Libertà giuridica e diritti fondamentali”, Milano, 1947; pag. 67-68.

440 Cassese A., “Art. 10-12”, in Comm. cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, pag. 531-532.

441 Berti G., “Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali”, in Riv. dir. cost., 1997, 6 ss.

442 Cerrone F., “Identità civica e diritti degli stranieri”, in Pol. dir., 1995; 441 ss.

443 Sperduti G., “Sulle limitazioni di sovranità secondo l’art. 11 della Costituzione”, in Rivista trim. di diritti pubblico, 1978, 473 ss.

444 Romano A., “Sovranità del popolo e legittimazione dello Stato”, in Individuo, collettività e Stato (Atti del Convegno svoltosi a Mondello dal 9 al 12 marzo 1983), Palermo, 1983.

445 Quadri R., “Cittadinanza”, in Nss. D.I., III, Torino, 1959, 306 ss.

446 Quadri S., “Primi spunti per uno statuto giuridico dell’immigrato extracomunitario”, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1998, 395.

447 Piraino A., “Appunto sulla condizione giuridica degli “stranieri” nell’ordinamento italiano”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1984, fasc. 4 (dicembre), pag. 1001.

448 In tal senso, anche, Biscottini G., “I diritti fondamentali dello straniero”, in Studi in onore di Biondo Biondi, III, Milano, 1965.

449 DECRETO-LEGGE 4 aprile 2002, n. 51. “Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera”, da cui, legge 7 giugno 2002, n. 106. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51. In merito, par. 2.7.4. (Le espulsioni “amministrative”: il trattenimento nei “centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Violazione della libertà personale?).

450 Paolo Bonetti, Profili costituzionali della convalida giurisdizionale dell'accompagnamento alla frontiera” , in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 2. In merito, anche, Annamaria Casadonte, Due vicende emblematiche da cui trarre preziosi suggerimenti sull'effettività del controllo giurisdizionale nei casi di espulsione immediatamente esecutiva”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, fasc. 2.

451 http://www.ismu.org. - www.cestim.org/rassegna%20stampa/02/07/16/bossi-fini_bonetti.htm. Il Manifesto - 16 Luglio 2002. Paolo Bonetti, “Si può ricorrere alla Consulta: La legge Bossi-Fini contiene molti profili di incostituzionalità” di CINZIA GUBBINI. (20/08/2003).

452 http://www.ismu.org - http://www.cestim.org/15politiche_bossi-fini_dibattito.htm e http://www.ismu.org. - www.cestim.org/rassegna%20stampa/02/07/16/bossi-fini_bonetti.htm. Il Manifesto - 16 Luglio 2002. Paolo Bonetti, “Si può ricorrere alla Consulta: La legge Bossi-Fini contiene molti profili di incostituzionalità” di CINZIA GUBBINI. (20/08/2003).

453 http://www.ismu.org. - www.cestim.org/rassegna%20stampa/02/07/16/bossi-fini_bonetti.htm. Il Manifesto - 16 Luglio 2002. Paolo Bonetti, “Si può ricorrere alla Consulta: La legge Bossi-Fini contiene molti profili di incostituzionalità” di CINZIA GUBBINI (20/08/2003). Vedi in merito, anche, Codini Ennio, “Diversi ed eguali: immigrazione extracomunitaria e principio giuridico di eguaglianza”, Milano 2002; pag. 170 ss.

454 http://www.cestim.org/15politiche_bossi-fini_dibattito.htm

455 Sentenza C.Cost. n. 105/2001- (Consulta Online – www.giurcost.org/decisioni/motore.php3? - 07/03/2002). Depositata il 10 aprile 2001. Vedi anche, Vittorio Angiolini, “L'accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera e la tutela della libertà personale con la sentenza n. 105 del 2001, la Corte fa (solo) il primo passo e lascia ai giudici comuni di proseguire”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 2. Per una visione completa della problematica, vedi, par. 2.7.4. (Le espulsioni “amministrative”: il trattenimento nei “centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Violazione della libertà personale?

456 http://www.ismu.org. - www.cestim.org/rassegna%20stampa/02/07/16/bossi-fini_bonetti.htm. Il Manifesto - 16 Luglio 2002. Paolo Bonetti, “Si può ricorrere alla Consulta:… di CINZIA GUBBINI (20/08/2002).

 

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