CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DELL’IMMIGRAZIONE
NELL’ORDINAMENTO NAZIONALE.
2.1. – COSTITUZIONE
E “PRINCIPIO PERSONALISTA”.
2.1.1. – Premessa.
“Principio personalista”: “natura e origine”.
Prima di osservare la collocazione dello straniero tra
i diritti fondamentali di libertà, presenti nella Costituzione
occorre fare un passo indietro, analizzando il principio ispiratore
e informatore dei diritti medesimi, nella nostra Carta costituzionale:
“Principio personalista”.
La presenza di cui ne è intriso il testo costituzionale,
quasi esclusivamente nella prima parte della Costituzione, relativa
ai principi morali, etici e religiosi rappresenta un aspetto di
notevole interesse, non solo sotto l’ambito contenutistico, ma
anche e soprattutto, sull’attività di interpretazione giuridica.
Infatti, tali principi offrono una chiave di lettura
ai precetti costituzionali, determinanti per la loro comprensione,
facendo leva su discipline e ricerche (etica, morale, religione,
sociologia), che va oltre la fattispecie strettamente giuridica.
Tutto ciò sta a testimoniare la estrema potenzialità
di principi, quali quelli costituzionali, che disvelano una dimensione
“pre giuridica” , trascendentale, che erge la persona
in quanto tale, a creatura degna di tutela e garanzia in materia
di diritti e libertà ad essa connaturati.
A questo livello - come osserva Onida – “il diritto
costituzionale non appare solo una tecnica per la produzione o
l’applicazione di comandi giuridici nella società politica
o per il concreto governo della società, ma il risultato e l’espressione
di una concezione generale dell’uomo e della società”1ario
In questa concezione generale, la persona umana è assunta
nell’ordinamento democratico come valore storico-naturale, come
valore originario e “bene giuridico primario” che precede
lo Stato2.
E’ questa l’essenza del principio “personalista”,
esplicato nella formula dell’articolo 2 della Costituzione, che
recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove
si svolge la sua personalità”, laddove il termine “riconosce”
rimanda all’esistenza di un bene giuridico primario, non derivato
dall’ordinamento e perciò “inviolabile” cioè assolutamente
indisponibile, neanche con il procedimento di revisione costituzionale.
deto.
Questo è stato reso possibile dall’“accordo” che
ha dato luogo alla Carta costituzionale.
Infatti, persone di diversa estrazione culturale, sociale
e soprattutto ideologica, politica si sono spogliati dei rispettivi
punti di contrasto, ed hanno raggiunto accordi, con grande apertura
mentale, su principi e temi di fondo, accomunati dalla consapevolezza
che il valore della e per la persona è un’aspetto imprescindibile
per una società democratica.
Lo Statuto albertino, già così “limitato” nella
definizione dei diritti di libertà, non conteneva nessun accenno
ai diritti fondamentali: che, nella tradizione liberale erano,
di solito, consegnati ad atti posti al di fuori delle costituzioni,
anche se tali atti erano considerati parte integrante di esse3.
A testimonianza di ciò, “il prodotto finale” dimostrò
che i valori cristiani potevano essere accomunati o quanto meno
coabitare con la tradizione socialista e comunista, qualora, abbandonando
ogni elemento di pregiudizio e di scontro si avesse come unico
referente il valore e la dignità della persona4.
Le carte costituzionali francese del 1946, italiana del
1948 e tedesca del 1949 dimostrano, infatti, se vengono lette
senza pregiudizi, che un patto, o compromesso politico di fondo,
si manifesta con chiarezza in tutte e tre le costituzioni.
Il “compromesso” consiste, sostanzialmente, nella
ricerca della coesistenza e di un punto di equilibrio fra la riaffermazione
dei diritti e dei valori propri della tradizione liberale e l’enunciazione
di nuovi diritti sociali che del costituzionalismo liberale non
avevano, invece, fatto parte: il punto di equilibrio fra la tradizione
della libertà individuale e quella della solidarietà sociale,
destinata ad esprimersi prevalentemente attraverso lo Stato e
le istituzioni pubbliche.
In Italia la vicenda storica della Resistenza, la forza
politica dei socialisti e dei comunisti, spostarono, certamente,
più a sinistra quel punto di equilibrio.
Tuttavia, anche nei punti più delicati, come quelli riguardanti
il rapporto fra l’eguaglianza formale e quella sostanziale (art.
3 Cost. ), le soluzioni finali assunte nella Costituzione costituirono
sempre un punto di incontro: costituito (come ebbe a rilevare
con una punta di polemica, Piero Calamandrei) da un processo di
reproche rinunzie dei maggiori partiti alle loro originarie impostazioni5.
Il tutto accomuna, oltre che per i contenuti, anche per
l’intento con cui è stata prodotta, la Costituzione ai documenti
ecclesiali per la difesa e la promozione dei diritti umani (“Centesimus
Annus”, “Rerum Novarum”).
In questa concezione, la famosa definizione di S. Tommaso,
secondo la quale la legge “nihil est aliud quam quaedam rationis
ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet,
promulgata”, offre l’esempio di una definizione aperta all'apporto
di altri riferimenti concettuali.
2.1.2. - I diritti
fondamentali di libertà dello straniero nella disciplina costituzionale.
Al di là della necessaria predisposizione di una legge
in materia di immigrazione extracomunitaria, che abbandoni le
logiche dell’emergenza, caratteristiche dell’attuale disciplina
normativa, il ripensamento delle politiche pubbliche di settore
si fonda anche e soprattutto su una nuova visione della condizione
giuridica dello straniero nello stesso ordinamento costituzionale6.
Ciò non significa necessariamente modificare la Costituzione,
o adottare nuove leggi costituzionali, che tutelino espressamente
lo status dello straniero privo della cittadinanza italiana7.
La strada nella direzione di un più moderno statuto costituzionale
della condizione dello straniero può essere senz’altro percorsa
a Costituzione invariata attraverso lo strumento dell’interpretazione,
dottrinale e della stessa Corte costituzionale, delle vigenti
disposizioni della Carta fondamentale, al fine di limitare al
minimo indispensabile e nel settore dei diritti politici, ma non
anche in quello dei diritti sociali, il campo delle legittime
disparità di trattamento in ragione della condizione di cittadinanza8.
Il punto necessario di partenza dell’analisi è senz’altro
rappresentato dal principio di eguaglianza, di cui risulta necessaria
la verifica della possibilità espansiva nei confronti del rapporto
tra cittadino e straniero.
In primo luogo, occorre chiarire l’ambito soggettivo
di efficacia del principio, dato che l'art. 3 della Costituzione
fa espresso riferimento ai cittadini.
Al di là di ogni considerazione relativa alla crisi
dell’identità nazionale e della possibile costituzione di
una società multi etnica9,
autorevole dottrina e, in parte, la stessa Corte costituzionale
hanno precisato che l’eguaglianza, almeno, nel suo contenuto minimale
dell’eguaglianza davanti alla legge è garantita anche agli stranieri10.
Il principio di eguaglianza formale, di eguaglianza davanti
alla legge, non ha più quel significato limitato del precedente
ordinamento statutario11
(art. 24 dello Statuto albertino: “Tutti i regnicoli, qualunque
sia il loro titolo o grado, sono eguali di fronte alla legge.
Tutti godono egualmente i diritti civili e politici e sono ammessi
alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate
dalle leggi”).
Esso assume una nuova dimensione, dovuta, in particolare,
al riconoscimento della “pari dignità sociale”.
Infatti, il riferimento alla “pari dignità sociale”
può essere giustamente considerato come il trait d'union
tra il principio di eguaglianza formale, espresso dal primo
comma dell’art. 3, e l’eguaglianza sostanziale, di cui
al secondo comma, in forza della quale ogni persona ha eguale
dignità, di uomo e individuo, ed eguale diritto a godere delle
libertà fondamentali12.
La “dignità umana” si configura, infatti, come
valore che qualifica, rappresentandone il fine, tutte le libertà
costituzionali13.
In tale prospettiva, non appare ammissibile una sottrazione
del godimento della dignità umana e sociale a soggetti che, privi
del legame giuridico della cittadinanza, si pongono in posizione
di eguaglianza, sul piano quanto meno dei diritti sociali, se
non anche su quello dei diritti civili, rispetto ai cittadini.
“E’ l'uomo in quanto tale, e non solo il cittadino, ad
essere titolare delle posizioni soggettive fondamentali che definiscono
i contorni principali di una società democraticamente orientata
e che ormai si pongono come contenuti irrinunciabili (e perciò
universali) delle dinamiche costituzionali”14.
In definitiva, il pensiero di Calamandrei, secondo cui
“l’elenco dei diritti presenti nella Costituzione è non da
scorciare, ma piuttosto da ampliare”15,
non sembra snaturato se riferito anche ai soggetti titolari dei
diritti costituzionali.
Nel senso di doversi preferire, laddove possibile, quell’interpretazione
della libertà costituzionale che veda come suo titolare tutti
gli individui, cittadini e stranieri, e non solo coloro che sono
titolari dello status civitatis.
D’altro canto, quanto detto non comporta in alcun modo
una impossibilità di fissare un trattamento giuridico dello straniero
diverso da quello previsto per i cittadini16.
Infatti, la Corte costituzionale, come è noto, ha da
tempo affermato che “a parità di situazioni deve corrispondere
parità di trattamento, mentre trattamenti differenziati sono riservati
a situazioni obiettivamente diverse”.
Tale valutazione circa la parità o la diversità delle
situazioni viene effettuata dal legislatore e la Corte non può
sindacare la scelta discrezionale operata in sede di politica
legislativa.
Infatti, “spetta insindacabilmente al legislatore
giudicare sulla parità o la diversità delle situazioni, pur nel
rispetto di criteri di ragionevolezza nonché degli altri principi
costituzionali”17.
Il principio di eguaglianza, dunque, risulta “intaccato
od eluso solo in caso di constatata irrazionalità del trattamento
differenziato”18.
La Corte costituzionale si è espressamente pronunciata,
sin dalla sua prima giurisprudenza, nel senso dell’illegittimità,
in generale, di trattamenti discriminatori fondati su distinzioni
di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni
personali e sociali, in quanto l’art. 3, primo comma, “contiene
un precetto di fronte al quale non sono ammesse deroghe da parte
del legislatore ordinario”19.
Ora, non sembra illegittimo sostenere che un trattamento
discriminatorio degli stranieri fondato su tali motivi sia egualmente
in contrasto con il principio di eguaglianza, così come sopra
ricollegato alla pari dignità umana e sociale di tutti gli
individui.
Lo status civitatis, in definitiva, incide in
Italia sulla stessa titolarità di posizioni garantite costituzionalmente,
ma non può mai ledere la pari dignità umana e sociale,
che si riferisce a tutte le persone, cittadini e non20.
Rispetto a questo “nocciolo duro” di libertà costituzionali,
che sono ontologicamente intangibili siano esse di titolarità
di persone che abbiano o no la cittadinanza, nessuna discriminazione
è ammessa e la valutazione della ragionevolezza di un eventuale
trattamento differenziatorio dovrà essere particolarrnente severa.
Rispetto alle altre libertà costituzionali, non in rapporto
diretto con la pari dignità umana e sociale, indipendentemente
dal fatto che esse siano rivolte a tutti o ai soli cittadini,
dovrà sempre essere censurato, in quanto illegittimo, il trattamento
discriminatorio che risulti arbitrario in quanto irragionevole21.
L’eguaglianza tra cittadini e stranieri, come è stato
da tempo messo in rilevo, ha infatti, essa stessa un rilievo costituzionale
e, almeno in parte, non è rimessa alla semplice buona volontà
del legislatore22.
Al di là della possibilità di ricostruire l’art. 2 della
Costituzione (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali,
ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”),
e il principio in esso contenuto, come clausola interpretativa
generale di tutte le specifiche disposizioni costituzionali attributive
di diritti23,
il carattere fondamentale e inviolabile dei diritti della persona
hanno un senso solo se giungono ad interdire al legislatore ogni
discrìminazione che fondi la differenza del trattamento in base
ad un generico riferimento alla nazionalità e alla cittadinanza24.
Il differente trattamento degli stranieri sarà, dunque,
giustificato solo laddove si fondi sulla posizione di intrinseca
debolezza del soggetto, che consente, ed anzi richiede, una considerazione
di favore nelle politiche legislative e giammai una discriminazione,
alla luce della portata del principio di eguaglianza così come
sopra ricostruito25.
In tale prospettiva, peraltro, appare un residuo illiberale
la persistenza nel nostro ordinamento26
- anche all’indomani della riforma del diritto internazionale
privato ex legge 31 maggio 1995 n. 218 - del principio
di reciprocità, che configura, da un lato, un debole strumento
per la difesa degli Italiani all’estero e, dall’altro, un istituto
illegittimo se riferito al godimento dei diritti fondamentali27.
A questo punto, l’ulteriore elemento di indagine è teso
ad enucleare - in via di mera esemplificazione e non certo tassativa,
essendo rimessa la scelta concreta a valutazioni di politica legislativa,
rispetto alle quali l’interprete non può fare altro che indicare
una possibile via di intervento - le singole posizioni soggettive,
costituzionalmente garantite, di titolarità esclusiva dei cittadini
o, invece, di tutti gli individui indipendentemente dallo status
civitatis28.
Al riguardo è bene subito precisare che sembra ormai
da superare l’opinione secondo la quale il riferimento letterale
in Costituzione ai “cittadini” e non a “tutti” costituisca
un criterio risolutorio circa la questione del riconoscimento
dell’ambito soggettivo di titolarità del diritto29.
Certo il dato letterale può acquistare rilevanza in sede
di interpretazione, ma non può rappresentare un parametro di “valutazione
risolutivo”30.
Se così fosse vi sarebbe un’eccessiva restrizione della
posizione degli stranieri nel nostro ordinamento, a cui verrebbero
negate, ad esempio, oltre i diritti di elettorato, la libertà
di riunione e di associazione, necessarie per la loro integrazione
e per la loro partecipazione alla vita civile del Paese, in cui
legalmente risiedono.
Comunque, in Costituzione si fa espresso riferimento
ai “cittadini” in materia di diritto al lavoro (art. 4),
libertà di circolazione (art. 16), riunione (art. 17) e associazione
(art. 18), in materia di estradizione (art. 26), assistenza in
caso inabilità al lavoro e povertà (art. 38, co. 1), diritto di
voto (art. 48), associazione a partiti (art. 49), petizione (art.
50), accesso a pubblici uffici e a cariche elettive (art. 51),
difesa della Patria e servizio militare (art. 52), obbligo di
fedeltà alla Repubblica, osservanza della Costituzione e delle
leggi nonché del giuramento (art. 54).
Bisogna decisamente respingere l’opinione espressa da
qualche scrittore e secondo la quale, in forza del fatto che nelle
proposizioni degli artt. 17 e 18 Cost., il soggetto è costituito
dai “cittadini”31, la tutela in essa delineata non
copre anche gli stranieri32.
Infatti, a parte la considerazione metodologica che non
è dalla singola norma ma dall’intero ordinamento che si fa discendere
il significato di una proposizione normativa, la cosa che bisogna
osservare è che nello stesso art. 18, allorchè si tratta di determinare
quali associazioni siano garantite dal punto di vista del fine
perseguito, il costituente non fa più riferimento ai fini dei
cittadini ma a quelli “che non sono vietati ai singoli dalla
legge penale”.
Mentre si fa riferimento a “tutti”, o non si indica
espressamente il titolare, in relazione alla libertà personale
(art. 13), di domicilio (art. 14), della corrispondenza (art.
15), di religione (art. 19), di manifestazione del pensiero (art.
21), divieto per motivi politici di privazione della capacità
giuridica, della cittadinanza e del nome (art. 22), diritto di
difesa (art. 24), principi di legalità e irretroattività della
legge in materia penale e giudice naturale (art. 25), personalità
della responsabilità penale, presunzione di non colpevolezza e
divieto di pena di morte (art. 27), statuto costituzionale della
famiglia (artt. 29-31), diritto alla salute (art. 32), libertà
dell’insegnamento (art. 33) e scuola (art. 34), garanzie del lavoratore
(artt. 35-37, 38 co. 2 e ss.), libertà sindacale e diritto di
sciopero (artt. 39 e 40), libertà economiche (artt. 41-47), doveri
tributari (art. 53)33.
Ugualmente non appare ammissibile l’opinione di chi,
pur respingendo l’analisi delle singole disposizioni costituzionali,
considera l’art. 10 della Costituzione - e, in particolare, la
riserva di legge rinforzata ivi prevista34
(“La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla
legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”)
- come l’unico dato testuale riferito allo straniero35.
In tale ottica, la Costituzione sembrerebbe riguardare
la sola condizione del cittadino anche quando fa riferimento a
“tutti”, spettando al legislatore ordinario, in sede di
scelta della politica legislativa, l’eventuale estensione
allo straniero delle disposizioni e degli istituti di garanzia
previsti in Costituzione36.
La prospettiva che allora si apre alla ricostruzione
della condizione giuridica dello straniero nella Carta costituzionale
è quella della tendenziale equiparazione - almeno per le libertà
e i diritti sociali - alla condizione dei cittadini37.
La Costituzione, infatti, immune da logiche di emarginazione
pone al centro dell’attenzione il valore delle persone,
“viste non come semplici estrinsecazioni della sovranità degli
Stati, o - nella diversità dei legami con la comunità politica
- come termini dei conflitto amico/nemico secondo la visione nazionalistica
di C. Schmitt, ma piuttosto come portatori del valore generale
e non frazionabile della dignità umana e sociale, al quale sono
preordinate le libertà e le chances costituzionalmente garantite”38.
Inoltre, autorevole dottrina è concorde nel ritenere
che non tutte le norme costituzionali che recano nel testo la
parola “cittadini” e non riguardano “l’attiva partecipazione
alla vita dello Stato” devono valere esclusivamente per i
cittadini.
Di conseguenza, anche l’art. 16 Cost. – che garantisce
la libertà di circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del
territorio nazionale – andrebbe applicato agli stranieri39.
A favore di quest’ultima interpretazione militerebbe
la stessa collocazione dell’art. 16, posto nel titolo dei rapporti
civili, e non in quello dei rapporti politici.
In particolare, Onorato concorda con l’opinione di Manlio
Mazziotti per il quale “anche gli stranieri [godono] dei diritti
enunciati dall’art. 16, ma senza che valga per essi la garanzia
costituzionale, e rimanendo quindi salvo, il potere del legislatore
ordinario di disporre diversamente nei loro confronti”40.
Come dovrebbe apparire evidente, l’argomentazione di
Onorato risulta essere molto debole e decisamente paradossale:
infatti, come si può spiegare che un diritto di “circolazione
transnazionale notevolmente affievolito” elaborato sulla base
del diritto internazionale possa trasformarsi – una volta recepito
– in un “vero diritto soggettivo”, e che un diritto costituzionale
(di circolazione e soggiorno) possa ad un tempo valere senza essere
costituzionalmente garantito?41
Per quanto concerne il già citato art. 10 Cost., la prima
osservazione da fare è che in base ad esso il trattamento degli
stranieri da parte della Repubblica, non deve essere più condizionato
dal principio di reciprocità (art. 16 delle disposizioni
preliminari al cod. civ.), ma deve ispirarsi, come espressamente
affermarono gli onn. Della Sete e Moro in sede di Assemblea
Costituente, ad un “criterio etico più alto”: quello della
massima “apertura” verso tutti i membri della Comunità
Internazionale42.
Le ragioni di una tale disposizione che trasse origine
dalla convergenza tra le tendenze “personalistiche” dei
cattolici e le concezioni “internazionalistiche” dei marxisti
non sono difficili a scoprirsi.
Esse consistono nella scelta per una organizzazione democratica
fondata sul principio d’eguaglianza che, se impone di trattare
alla stessa maniera tutti i cittadini, impone anche di non discriminare
tra cittadini e stranieri43
e di considerare questi ultimi senza tener conto del trattamento
che i loro paesi di origine riservano agli italiani ivi immigrati44.
Un’altra garanzia, poi, che si ricava dal secondo comma
dell’art. 10 consiste nella riserva di legge, che sottrae al potere
regolamentare dell’esecutivo un ambito, che, nel passato regime
fascista, aveva registrato esercizi ispirati alle più cupe ideologie
nazionalistiche e xenofobe45.
La riserva di legge in favore del Parlamento, infatti,
garantisce sufficientemente nei confronti di questi pericoli e,
collegata soprattutto con l’altro vincolo che discende sempre
dal secondo comma dell’art. 10 e che riguarda il fatto che la
legge ordinaria nel regolare la condizione dello straniero deve
attenersi a quanto dispongono in materia le norme internazionali
generalmente riconosciute, assicura una possibilità di normativa
più “aperta” che non operi interventi discriminatori46.
Già da queste indicazioni dell’art. 10, che costituiscono
una sorta di “premessa generale”, si capisce benissimo
quale sia la considerazione che la nostra Costituzione ha degli
stranieri e come questa non tolleri che essi siano trattati da
“sudditi” o siano discriminati come “diversi” rispetto
ai cittadini47.
Ancora più chiara appare, però, questa direttiva se si
dà una scorsa alle varie disposizioni attributive di diritti che
sono contenute nella prima parte della Costituzione.
2.1.3. – Le interpretazioni del
giudice costituzionale dei diritti fondamentali di libertà dello
straniero.
Il quadro delineato dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale, che ha avuto modo più volte di occuparsi della
condizione nel nostro ordinamento giuridico dello straniero, nonostante
le incertezze, fornisce interessanti indicazioni48.
In primo luogo, come accennato, in alcune decisioni,
sia pure in riferimento a fattispecie concrete, la Corte ha delineato
una nozione del principio di eguaglianza inclusiva della
condizione dei non cittadini.
La Corte infatti, evidenzia la necessità di non leggere
l’articolo 3 della Costituzione - che si riferisce espressamente,
come visto, ai cittadini - in maniera isolata, ma nel combinato
disposto con il principio pluralista, di cui all’art. 2 Cost.,
e con il rafforzamento della riserva di legge derivante dall’obbligo
di conformità ai trattati internazionali, di cui all’art. 10 cpv.
della Cost49.
Sicché, in tale prospettiva, viene accolta l’opinione
che “il principio di eguaglianza, pur essendo nell’art. 3 Cost.
riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri,
allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo,
garantiti allo straniero anche in conformità dell’ordinamento
internazionale”50.
Anche se la Corte precisa che “la riconosciuta eguaglianza
di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti
di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete,
non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto
che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità,
la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo
apprezzamento”51.
Analogo atteggiamento di tendenziale equiparazione del
cittadino allo straniero anche non comunitario è ravvisabile in
altre decisioni fondamentali della Corte costituzionale, sempre
con riferimento ad alcune ipotesi particolari e non su un piano
generale52.
Nel valutare il procedimento di espulsione, la Corte
ha evidenziato che l’esigenza di celerità e di effettività non
può tradursi in una deminutio delle tutele riconosciute
in Costituzione.
In tal senso, è intervenuta la dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 7 bis, co. 1, legge n. 3911990,
nella parte in cui punisce con la reclusione lo straniero espulso
che, privo del documento di viaggio, non si adoperi presso l’autorità
diplomatica per ottenerne il rilascio, senza stabilire quando
l’inerzia sia penalmente apprezzabile e lasciando così troppo
ampia discrezionalità alla polizia e al giudice53.
In altra decisione viene dichiarata illegittima la disposizione
in materia di reati legati al traffico di stupefacenti54, che obbligava il giudice ad emettere
l’ordine di espulsione, da eseguire a pena espiata, nei confronti
dello straniero condannato55.
La Corte rende evidente che l’interesse pubblico, sotteso
all’istituto dell’espulsione, non può comportare il sacrificio
di altri valori costituzionali, quali, nella prima decisione,
il principio di tassatività in materia penale e, nella
seconda, il previo accertamento della pericolosità sociale dell’individuo,
italiano o straniero che sia, al fine di comminare misure di sicurezza
che senz’altro incidono sulla libertà personale56.
D’altro canto, sempre in tema di espulsione, la stessa
Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, pur
ammettendo la legittimità in astratto della misura, afferma che
essa, per non essere in contrasto con la Convenzione, deve essere
giustificata da esigenze di ordine sociale e, soprattutto, deve
essere proporzionata al fine legittimo perseguito57.
La Corte costituzionale manifesta, dunque, la volontà
di muoversi nella direzione di non discriminare irragionevolmente
la condizione di straniero e di cittadino.
Con una tale portata è da inquadrare la dichiarazione
di illegittimità della norma che rendeva più difficile la dimostrazione
dello stato di non abbiente dello straniero, in materia di disciplina
della documentazione necessaria per l’accertamento dei presupposti
reddituali, per godere del gratuito patrocinio58
e l’equiparazione del lavoro subordinato a quello casalingo al
fine del ricongiungimento familiare59.
Almeno in questi ambiti, in definitiva, non vi è motivo
ragionevole di distinzione tra la condizione di cittadino e di
straniero.
Analogo orientamento è, d’altro canto, ravvisabile nella
giurisprudenza costituzionale di altri paesi.
Si ricorda, ad esempio, il Conseil constitutionnel
francese che sottolinea la diversità tra la materia della
disciplina dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e l’imprescindibile
riconoscimento a tutte le persone, prive o no della cittadinanza,
dei diritti e delle libertà fondamentali.
Il giudice delle leggi francese, infatti, considera che
le limitazioni contenute nella loi Pasqua di alcuni diritti
fondamentali non concretizzino “des atteintes excessives à
la liberté individuelle”, in quanto la subordinazione del
rilascio della carta di soggiorno alla condizione che l’immigrato
non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico, la possibilità
di interdire con atto motivato dell’autorità giudiziaria la permanenza
sul territorio francese di uno straniero non in regola con gli
obblighi del soggiorno, la stessa espulsione immediata dello straniero
in caso d’urgenza nonché la subordinazione del diritto dello straniero
a lasciare il territorio nazionale ad una previa dichiarazione
rappresentano un contemperamento ragionevole tra le esigenze dell’ordine
pubblico e le libertà fondamentali, di cui gli stranieri rimangono
titolari60.
2.2 – I PRECEDENTI
LEGISLATIVI E IL DIRITTO VIGENTE ALLA LUCE DELL’ATTUALE RIFORMA
(l. 30 luglio 2002, n. 189).
Gli anni novanta si aprono con il primo tentativo di
colmare il precedente vuoto politico e legislativo attraverso
una disciplina tendenzialmente organica dell’immigrazione e della
condizione dello straniero: la l. 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d.
legge Martelli), risultante dalla conversione in legge con
modifiche del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416 (“Norme urgenti
in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini
extracomunitari e degli apolidi già presenti nel territorio dello
Stato”).
La suddetta legge, sin dal suo primo operare, fu caratterizzata
da numerose rimessioni alla Corte costituzionale, anche se, per
lo più, non ebbero l’esito sperato.
Avverso una questione di legittimità costituzionale sollevata
dal Tribunale di Bologna dell’art. 7 del decreto-legge 30 dicembre
1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio
1990, n. 39, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
nella parte in cui non prevede che lo straniero espulso sia autorizzato
al rientro nel territorio nazionale in modo da consentirgli di
partecipare alla fase dibattimentale del procedimento penale avviato
a suo carico, la Corte costituzionale, ordinò la restituzione
degli atti al Tribunale di Bologna61.
I risultati che concretamente raggiunse furono di ben
più modesta entità.
La disciplina fissata dalla legge Martelli evidenziò
presto le sue carenze: la persistente inattuazione del diritto
d’asilo, la mancata individuazione delle procedure per l’ammissione
al lavoro stagionale, la scarsa armonizzazione della normativa
sul ricongiungimento familiare con le altre leggi in materia.
Una serie di tentativi in senso correttivo vennero effettuati
mediante diversi decreti-legge settoriali che intervennero in
materia nel periodo di vigenza della l. n. 39 del 199063.
Tra il 1993 ed il 1994, una commissione di nomina governativa
(la c.d. Commissione Contri) redasse un articolato progetto
di legge organica in materia di immigrazione, che tuttavia, venne
posto nel nulla dal governo uscito dalle elezioni del 27 marzo
1994.
Significa quindi, che l’impugnazione sarà possibile solo
se l’espulsione si è materialmente verificata.
Al di là degli eventuali rilievi di illegittimità, che
potrebbe avere tale disposizione (potrebbe comprimere notevolmente
il diritto costituzionale alla difesa processuale, con ripercussioni
anche sul principio della uguaglianza tra cittadini), sarebbe
auspicabile che tale drastica limitazione del diritto alla difesa
fosse mitigato da una maggiore certezza e garanzia nella procedura
di decretazione della espulsione74.
Sarebbe necessario, seguendo anche i precetti della legge
241/90, garantire ed assicurare, nelle more del procedimento amministrativo
di decretazione del provvedimento di espulsione, un vero e proprio
contraddittorio75.
L’immigrato, irregolare o clandestino, potrebbe anche
avvalersi della difesa di un legale nell’ipotesi in cui non riesca
a dimostrare che ad esempio ha i requisiti per permanere in Italia.
Molti decreti di espulsione vengono infatti annullati
attualmente dai giudici civili.
La maggiore certezza della espulsione dovrebbe comunque
essere mitigata da un maggiore contraddittorio nella fase di decretazione
del provvedimento di allontanamento.
·
Per quanto concerne il ricongiungimento, tale disposizione
di fatto limita la possibilità di ricongiungimento a sole tre
categorie di parenti: i figli (minorenni, ovvero anche
i figli maggiorenni ma solo in caso di loro invalidità assoluta),
il coniuge e i genitori a carico (questi ultimi
solo nel caso che non abbiano altri figli)76.
Abrogando la lettera d) dell’art. 27 legge 40/1998, infatti,
il ricongiungimento familiare sarebbe precluso anche nei confronti
dei fratelli e delle sorelle, a carico, inabili al lavoro.
Si tratta di una disposizione troppo drastica, considerato
anche che il ricongiungimento con fratelli e sorelle difficilmente
si presta ad abusi. Vanno anche considerate le ripercussioni umane
di queste limitazioni77.
Sarebbe stato quindi, più opportuno riformulare l’art.
27 lett. d) senza abrogarlo completamente78.
·
In materia di rifugio politico, la nuova formulazione
prevede la “preselezione dei richiedenti il rifugio politico”.
Spesso in passato si è ricorsi a tale richiesta al solo
fine di bloccare
qualsiasi forma di espulsione.
Inoltre, il ricorso alla richiesta dello status
di rifugiato da parte di molti immigrati clandestini ha precluso
la possibilità a molti veri richiedenti di vedere riconosciuto,
dopo approfonditi accertamenti lo status di rifugiato79.
In questa situazione incontrollabile, dove le verifiche
e le c.d. “interviste” non garantiscono una equa valutazione
dei fatti, molti richiedenti, pur avendone titolo, hanno visto
rigettata la propria istanza di asilo80.
Una risoluzione in Commissione infanzia della Camera,
per impegnare il Governo a “predisporre tutti gli interventi
urgenti e necessari per accogliere i rifugiati e in particolare
i bambini”, l’hanno presentata gli onorevoli Giacco e Capitelli
dei Ds, ricordando che, tra i curdi intercettati su una nave a
largo della Sicilia, c’erano 377 bambini “a cui è dovuta tutela
e specifica assistenza in conformità alla Costituzione italiana
ed alla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo di
New York”81.
“L’Italia – è scritto nella risoluzione – è l’unico Paese
dell’Unione Europea a non avere una legislazione organica in materia
di asilo e per questo l’Alto commissario delle Nazioni Unite,
nel fornire i dati sulla presenza dei rifugiati (23 mila in Italia,
cioè lo 0,4 per cento ogni mille abitanti) chiede alcune modifiche
alla legislazione vigente, per renderla in linea con quella degli
altri paesi”82.
2.3 – L’INGRESSO E
IL SOGGIORNO: LA PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI DI ACCESSO AL TERRITORIO.
Da
ultimo, il Dm Lavoro 4.2.2002 che prevede l’ingresso di 33 mila
lavoratori extra-UE per attività stagionali e il Dm Lavoro
12.3.2002, che ha stabilito nuovi ingressi di lavoratori extra-UE
per attività stagionali.
La l. n. 943 del 1986 si limitava a prospettare un modello
regolativo fondato sull’incontro preventivo di domanda (interna)
ed offerta (immigrata) di lavoro, “previo accertamento di indisponibilità
di lavoratori italiani e comunitari” (art. 5, 1° co., lett.
d).
Il
t.u. vigente ha confermato la scelta in favore dei meccanismi
di programmazione dei flussi, conferendo a questo criterio maggiore
articolazione strutturale e funzionale (art. 3).
Sono
previsti infatti, diversi livelli: il documento programmatico
triennale (1° co.) disciplina nei tratti essenziali l’accesso
al lavoro e l’esercizio di quei diritti complessivamente riconducibili
alla materia economica e sociale.
Questo
va predisposto udita obbligatoriamente una lunga serie di soggetti.
Articolazione
strutturale e funzionale che è venuta ancor più aumentando sulla
base della nuova riforma legislativa, “targata”, “Bossi-Fini”(l.
30 luglio 2002, n. 189) 102.
Il documento triennale non è tuttavia solo uno strumento
per la programmazione dei flussi.
Infatti, questo deve indicare anche le azioni e gli interventi
che lo Stato si propone in materia di immigrazione (art. 3, 2°
co.)103.
Il documento deve inoltre, prevedere le misure di integrazione
socio-economica a favore degli stranieri soggiornanti nelle materie
che non debbono essere disciplinate con legge.
Il Presidente del Consiglio, infine, viene chiamato a
definire con decreti le quote di stranieri da ammettere per ragioni
di lavoro.
Per
la prima volta peraltro, si ammette l’ingresso, anche se eventuale,
dello straniero a fini di inserimento nel mercato del lavoro in
presenza di una garanzia che diversi soggetti possono prestare,
privati, enti pubblici territoriali, sindacati, associazioni e
così via.
Il primo è stato firmato con la Slovenia il 3 settembre
1996, l'ultimo il 12 settembre 2000.
Sono ventidue in tutto gli accordi bilaterali siglati
dall'Italia con altrettanti Paesi per la riconsegna dei cittadini
stranieri immigrati illegalmente nel nostro territorio.
In quattro anni l'intesa è stata raggiunta con Slovenia,
Macedonia, Romania, Georgia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia,
Jugoslavia, Croazia, Francia, Austria, Albania, Bulgaria, Marocco,
Slovacchia, Tunisia, Svizzera, Grecia, Spagna, Algeria, Nigeria.
Questi Stati si sono impegnati a riammettere i propri
cittadini entrati in Italia privi delle condizioni legali.
Unico presupposto necessario, l'accertamento della nazionalità
dell'immigrato che si vuole riconsegnare.
Faranno fede documenti di viaggio, carta d'identità,
certificato di nazionalità.
Nei casi in cui non siano disponibili questi documenti,
l'immigrato sarà sottoposto ad una audizione presso la più vicina
rappresentanza diplomatica del Paese che dovrebbe riammetterlo.
Lo stesso trattamento viene applicato per i cittadini
di Paesi terzi: se un immigrato è entrato clandestinamente in
Italia passando, ad esempio, per la Macedonia, questa avrà l'obbligo
di riammetterlo.
Allo stesso modo i governi hanno stabilito che, nel caso
in cui sia necessario attraversare il territorio di uno degli
Stati firmatari per riconsegnare il cittadino al suo paese, il
servizio di accompagnamento sarà misto108.
In tutto il 2000 gli stranieri allontanati dal nostro
territorio sono 66.057, mentre gli stranieri "intimati"
(foglio di via obbligatorio) sono 64.734.
Altri 3.134 sono stati rimpatriati dopo un breve periodo
trascorso nei Centri di permanenza e assistenza temporanea.
I ventidue accordi hanno tutti lo stesso testo.
2.4. – IL PERMESSO
DI SOGGIORNO: NATURA GIURIDICA, TRA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA.
Il permesso di soggiorno nasce tra le pieghe del t.u.p.s.
del 1931 per via di una discutibile prassi amministrativa e, con
l’entrata in vigore della Costituzione, rivelò la sua evidente
incompatibilità tanto con la riserva di cui all’art. 10, 2°co.,
secondo cui “la condizione giuridica dello straniero è regolata
dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”,
quanto con lo stesso principio di legalità, sia formalmente sia
sostanzialmente inteso109.
2.4.1. – L’evoluzione
normativa del permesso di soggiorno, dalla legge Martelli
alla legge Bossi-Fini: fra dottrina e giurisprudenza.
Al
t.u., di cui al predetto decreto legislativo n. 286 del 1998,
all'articolo 5 sono apportate le seguenti modificazioni:
-
al comma 1, dopo le parole: “permesso di soggiorno rilasciati”,
sono inserite le seguenti: "e in corso di validità";
-
dopo il comma 2, è inserito il 2 bis, secondo cui lo straniero
che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici;
-
al comma 3, dopo le parole: “La durata del permesso di soggiorno”
sono inserite le seguenti: “non rilasciato per motivi di lavoro”;
-
al comma 3, le lettere b) e d) sono abrogate;
-
dopo il comma 3, sono inseriti principi che rappresentano uno
degli aspetti predominanti della nuova legge.
Infatti,
il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito
della stipula del contratto di soggiorno per lavoro, di
cui all’articolo 5 bis.
La
durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella
prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:
a)
in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale, la durata
complessiva di nove mesi;
b)
in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato,
la durata di un anno;
c)
in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato,
la durata di due anni (art. 5, co., 3 bis, l. 30 luglio
2002, n. 189).
Inoltre,
allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia almeno
due anni di seguito per prestare lavoro stagionale può essere
rilasciato, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, un permesso
pluriennale, a tale titolo, fino a tre annualità, per la durata
temporale annuale di cui ha usufruito nell'ultimo dei due anni
precedenti con un solo provvedimento.
Il
relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno.
Il
permesso è revocato immediatamente qualora lo straniero violi
le disposizioni del suddetto testo unico novellato (3 ter).
Possono
inoltre, soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri
muniti di permesso di soggiorno per lavoro autonomo rilasciato
sulla base della certificazione della competente rappresentanza
diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti
previsti dall'articolo 26 del presente testo unico.
Il
permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo
di due anni (3 quater).
Infine,
nei casi di ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo
29, la durata del permesso di soggiorno non può essere superiore
a due anni (3 sexies).
-
il comma 4 è stato novato nel principio, in forza del quale il
rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero
al questore della provincia in cui dimora, almeno novanta giorni
prima della scadenza nei casi di cui al comma 3 bis, lettera
c), sessanta giorni prima nei casi di cui alla lettera b) del
medesimo comma 3 bis, e trenta giorni nei restanti casi,
ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il
rilascio e delle diverse condizioni previste dal decreto.
Fatti
salvi i diversi termini previsti dal decreto e dal regolamento
di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata
non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.
-
dopo il comma 4, è inserito il 4 bis, in forza del quale
lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno
è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
-
il comma 8 è stato novato nel principio secondo cui il permesso
di soggiorno e la carta di soggiorno di cui all’articolo 9 sono
rilasciati mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con
caratteristiche anticontraffazione conformi ai tipi da approvare
con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro
per l'innovazione e le tecnologie in attuazione dell'”azione
comune” adottata dal Consiglio dell'Unione europea
il 16 dicembre 1996, riguardante l'adozione di un modello uniforme
per i permessi di soggiorno.
-
dopo il comma 8, è inserito l’8 bis, in virtù del quale,
chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso,
un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta
di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare
il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso
di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno,
è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se
la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede
fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni.
La
pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale
(art. 5, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Degno
di nota, a seguito della nuova legge 30 luglio 2002, n. 189, è
l’introduzione di un nuovo articolo (art. 6), al testo unico di
cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, riguardante il “contratto
di soggiorno per lavoro-subordinato”128.
Le
novità, della riforma, in materia di permesso di soggiorno sono
rappresentate all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Infatti,
il nuovo articolo 25, l. 30 luglio 2002, n. 189, all’articolo
32 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, dopo il comma 1, ha aggiunti nuovi principi in forza dei
quali, il permesso di soggiorno, di cui al comma 1, può essere
rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di
lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età,
sempreché, non sia intervenuta una decisione del Comitato per
i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri
non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore
a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito
da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale
e che comunque, sia iscritto nel registro istituito presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 52,
del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.
394131.
Tuttavia, grave sembra, l’abolizione prevista nel nuovo
testo di legge, proprio del potere che il t.u. (art. 40, 1°comma,
ultimo periodo) riservava al Sindaco di disporre, in situazioni
di emergenza, l’alloggiamento nei centri di accoglienza, di stranieri
non in regola con le disposizioni sull’ingresso e sul soggiorno
nel territorio dello Stato132.
Il Ministero dell’interno ha l’esclusiva dei poteri sulla
destinazione degli immigrati clandestini e irregolari i quali,
se non immediatamente espulsi, potranno solo essere confinati
nei centri di permanenza temporanea e assistenza (gestiti
dallo Stato e ben diversi dai centri di accoglienza).
Peraltro, lo stesso legislatore si rende conto dei problemi
connessi alla abrogazione di tale norma e prevede, in via transitoria,
la permanenza dei poteri del Sindaco “fino al completamento
di un adeguato programma di realizzazione di una rete di centri
di permanenza temporanea e assistenza, accertato con decreto del
Ministro dell’Interno” (vero dominus della materia
“Immigrazione”).
2.4.2. – L’evoluzione
normativa del permesso di soggiorno: un nuovo concetto di cittadinanza?
(segue…)
Da
ultimo, proprio per gli effetti sulla nuova normativa nazionale
in materia, la Corte di giustizia europea140, proprio nel giorno dell’approvazione, al Senato, del
d.d.l. S795/Bis (“Modifica alla normativa in materia di immigrazione
e di asilo”) ha sancito che, “non si può
negare il diritto di soggiorno a una moglie extra-Ue se il coniuge,
cittadino di uno Stato membro esercita un'attività trasnazionale”,
sostenendo che la decisione di espulsione contro la moglie di
un cittadino britannico non rispetta il giusto equilibrio tra
il diritto al rispetto della vita familiare e la salvaguardia
dell'ordine pubblico e della sicurezza141.
2.4.3.
– La carta di soggiorno.
2.5. – LE MISURE DI
ALLONTANAMENTO.
2.5.1. – Limiti
normativi alla potestà statuale di allontanamento e la disciplina
degli extracomunitari minorenni: i diritti dei minori stranieri.
2.5.2. – Limiti
costituzionali alla potestà statuale di allontanamento e relative
garanzie dello straniero.
2.5.3. – L’evoluzione
normativa dell’allontanamento dalla legge Martelli alla
legge Bossi-Fini e profili di incostituzionalità della
materia.
L’espulsione
comporta il divieto di ingresso in Italia senza una speciale autorizzazione
del Ministro dell’interno per un periodo di cinque anni, ora portato
a dieci anni (art. 12, co. 14, l. 30 luglio 2002, n. 189).
In
più, per effetto della nuova legge, in merito si è aggiunto che
in caso di trasgressione lo straniero è punito con l’arresto da
sei mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento
immediato alla frontiera (art. 12, co. 13, l. 30 luglio 2002,
n. 189).
Nel
nuovo art. 12, co. 13 bis si prevede inoltre, che in caso
di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto
di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La
stessa pena si applica allo straniero che, già denunciato per
il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso
sul territorio nazionale.
Per
i reati di cui ai commi 13 e 13 bis è sempre consentito
l’arresto in flagranza dell’autore del fatto e, nell’ipotesi di
cui al comma 13 bis, è consentito il fermo.
In
ogni caso, contro l’autore del fatto si procede con rito direttissimo
(art. 12, co. 13 ter, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Il
nuovo comma 14 prevede che salvo che sia diversamente disposto,
il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni.
Nel
decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve,
in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva
condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in
Italia (art. 12, co. 14, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 13° e
14° del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero”), promosso con ordinanza
dal Tribunale di Padova195, il rimettente osservava che il
regime normativo contemplato dalle norme impugnate, nel prevedere
che lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello
Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno
(co. 13°), disponeva che detto divieto operasse per un periodo
di cinque anni, salvo che il pretore o il T.A.R., con il provvedimento
che decide sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione
ne determinino diversamente la durata per un periodo non inferiore
a tre anni, sulla base di motivi legittimi addotti dall’interessato
e tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato
nel territorio dello Stato.
2.5.4. – Privilegiate
rispetto al recente passato le funzioni di ordine pubblico
e di sicurezza: “la legge Bossi-Fini non solidaristica
ma repressiva” (Sentenza Corte di Cassazione n. 3162/2003).
La necessità di una regolamentazione tendenzialmente
definitiva di un fenomeno quale quello dell'immigrazione destinato
a perdurare nel tempo trovava la sua attuazione in tutta l'impostazione
della normativa, in cui, accanto ad una definizione della nozione
di "straniero" ed alla sua considerazione quale
soggetto titolare di diritti e di doveri, esisteva una serie di
disposizioni tese ad agevolarne l'integrazione nel contesto sociale
in cui vive, ad assicurargli condizioni di vita civile ed un'adeguata
assistenza non solo sanitaria, regolandone i flussi e la permanenza
in una visione accentuata di legificazione rispetto a quella precedente
affidata maggiormente al settore amministrativo.
Il legislatore del 2002 continua a perseguire, inasprendo
le pene, il fenomeno della agevolazione e dello sfruttamento della
migrazione clandestina, rendendo penalmente rilevanti simili attività
parassitarie e lucrative.
La legge n. 40 del 1998, in attuazione di normative comunitarie
(Accordo di Schengen, la cui ratifica è stata autorizzata
con legge 30 novembre 1993 n. 388, il trattato di Amsterdam
e le proposte del Consiglio dell'U.E.) forniva una risposta
articolata e globale al complesso fenomeno per porre le basi di
una regolamentazione e di una civile convivenza con un flusso
migratorio ormai costante, ma anch'essa puniva con l'art. 12 primo
comma d.l.vo n. 286 del 1998 (art. 10 l. n. 40 del 1998) l'ingresso
clandestino, ulteriormente chiarendo, sulla base dell'esegesi
giurisprudenziale già consolidatasi, la natura di circostanze
aggravanti di alcuni comportamenti, pure topograficamente distinti
dalla fattispecie base, perché contemplati nel comma terzo con
la individuazione di altre condotte.
L'impianto argomentativo ed i connotati della legge n.
40 del 1998 ed anche di quella del 2002 sul punto su evidenziati
fanno ritenere non condivisibile la esegesi avanzata dal ricorrente,
secondo cui il delitto in esame riguarderebbero soltanto gli "scafisti"
o coloro che organizzano la tratta e non chi pone in essere una
serie di comportamenti: dal pagamento del costo del viaggio alla
giovane vittima, all'inganno circa le ragioni del trasferimento
in Italia ed allo sfruttamento della prostituzione, tesa a favorire
l'ingresso clandestino di un altro soggetto con la finalità dell'induzione,
del favoreggiamento e dello sfruttamento della prostituzione,
esistente sin dall'inizio in chi si accolla i costi del viaggio.
Tutta la normativa del T.U., quindi, dimostra come non
possa essere accolta un'interpretazione restrittiva dell'art.
12, in quanto il tenore letterale e logico della norma è nel senso
di punire anche chi, pur essendo anch'egli clandestino, compia
attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del citato d.l.vo.
Peraltro, se la finalità del reclutamento di persone
da destinare alla prostituzione costituisce un'aggravante dell'agevolazione
dell'ingresso irregolare per il disfavore, anche in relazione
all'ordine pubblico, con cui è considerato il meretricio e soprattutto
il sistema repressivo concernente la prostituzione, collegata,
a volte, ad organizzazioni criminali internazionali, non possono
escludersi altre ipotesi di ingressi irregolari, che non configurino
le fattispecie aggravate contemplate dal terzo comma dell'art.
12 T.U., sicché detta regolamentazione non assume rilievo.
Pertanto, nella fattispecie in esame, non si pongono
le problematiche diverse e più complesse relative alla possibilità
di configurare il reato di favoreggiamento dell'ingresso irregolare
di stranieri nel territorio dello Stato anche nelle ipotesi di
ingresso in violazione delle disposizioni del T.U., nelle quali
vanno incluse quelle relative ai requisiti sostanziali del visto
e del permesso di soggiorno, sempre che le predette inosservanze
avvengano in epoca antecedente o concomitante all'ingresso.
Infatti, le decisioni dei giudici di merito evidenziano
i connotati propri del favoreggiamento dell'ingresso clandestino,
i quali non richiedono l'esistenza di una violenza fisica o psichica,
ma solo il compimento di atti che, in qualsiasi modo, agevolino
l'ingresso irregolare, potendo tale fatto essere commesso anche
da chi trovasi in posizione di clandestino.
Nella fattispecie “il viaggio era stato organizzato
ed intrapreso solo grazie” al pagamento effettuato dal ricorrente,
“il quale aveva già conoscenze in Italia” tali da consentirgli
una prima accoglienza ed un aiuto nella ricerca di una sistemazione
e, soprattutto, aveva già previsto di sfruttare la prostituzione
della giovane vittima, tratta in inganno da uno studiato atteggiamento
di amorevole interessamento senza che esistessero effettive
ragioni di un diverso motivo per detta liberalità e per tale organizzazione.
2.5.5. - Disposizioni
contro le immigrazioni clandestine.
La
già eccessiva previsione, diviene ancor più difficilmente giustificabile
ove si consideri che l’intervento può avvenire non solo in acque
territoriali, ma anche nella "zona contigua"
(quante miglia?) e, addirittura, "al di fuori delle acque
territoriali" (sia pure nei limiti consentiti dalla legge
e dal diritto internazionale, che non sembrano, in verità, consentire
quella ampiezza di libertà di intervento che il Governo italiano
auspica).
Infatti, a detta di una parte della dottrina, le tragedie
ripetutamente verificatesi per effetto di collisione tra navi
e “carrette del mare” cariche di disperati dovevano consigliare
maggiore prudenza nel concedere licenza di azione ai mezzi militari219.
Le modalità di intervento delle navi della Marina militare
nonché quelle di raccordo con le attività svolte dalle altre unità
navali in servizio di polizia sono definite con decreto interministeriale
dei Ministri dell’interno, della difesa, dell'economia e delle
finanze e delle infrastrutture e dei trasporti (art. 11, co.,
9 quinquies, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Le disposizioni di cui ai commi 9 bis e 9 quater
si applicano, in quanto compatibili, anche per i controlli concernenti
il traffico aereo.
2.5.6. – Considerazioni
conclusive: effettività della tutela giurisdizionale e valutazione
di pericolosità dello straniero nell’allontanamento.
La nuova disciplina ha inoltre, disposto la devoluzione
alla giurisdizione ordinaria dei ricorsi contro le diverse fattispecie
di espulsione amministrativa220.
Di contro, quindi, mentre la verifica della pericolosità
“post delictum” è riservata al giudice, e quella “ante
delictum” è riservata al prefetto, il potere di operare una
valutazione di pericolosità per “segnalazione Schengen”,
in sede di decisione circa la revoca o il rinnovo del permesso
di soggiorno, è rimesso al questore con una discrezionalità decisamente
più estesa di quanto non sia quella di cui godono giudice o prefetto
nel disporre l’espulsione di loro competenza234.
Da ultimo, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione
ha stabilito che, l'aver riportato condanne penali per vari reati
non è sufficiente per espellere dall'Italia un immigrato extracomunitario;
principio in base al quale un extracomunitario non può essere
allontanato dal nostro Paese sulla base della “presunta pericolosità”,
restringendo la possibilità di facili espulsioni nei confronti
degli immigrati235.
La Suprema Corte, decidendo il caso di un cittadino marocchino
raggiunto da provvedimento di espulsione del Prefetto, perchè
ritenuto persona pericolosa per la sicurezza o la moralità pubblica,
in quanto indagato per vari reati (contrabbando, atti osceni,
oltraggio), e per alcuni di questi reati anche condannato , ha
sottolineato che anche l'immigrato che nel nostro Paese ha avuto
problemi con la legge può riscattarsi, in quanto, nel valutare
la “pericolosità sociale'”, ci si deve attenere rigorosamente
alla “abitualità e all'attualità delle condotte contestate”.
2.6 – IL RESPINGIMENTO.
2.7. – LE ESPULSIONI.
2.7.1. – Le espulsioni
“penali”: espulsione “automatica”. Origine e natura
giuridica.
2.7.2. – Le espulsioni
“penali”: espulsione “a richiesta di parte” e espulsione
come “sanzione sostitutiva”. Origine e evoluzione normativa.
2.7.3. – Le espulsioni
“amministrative”.
Il t.u. configura questa espulsione (ad eccezione dell’espulsione
ministeriale ex art. 13, 1° co.) come “atto dovuto”
e elimina quindi, il suo precedente carattere discrezionale279.
Infatti, a detta della stessa dottrina di maggioranza,
confermate da una parte della giurisprudenza280, una volta accertata la violazione delle disposizioni
in materia di ingresso e soggiorno nel territorio nazionale da
parte di un cittadino extracomunitario, l’espulsione costituisce
per l’amministrazione un “atto dovuto”, non residuando
spazio per alcuna valutazione discrezionale, atteso che le regole
stabilite in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata
accoglienza vanno rispettate e non eluse, o anche soltanto derogate
di volta in volta, con valutazioni di carattere sostanzialmente
discrezionale281, essendo poste a difesa della collettività
nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate
o che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni
illegali282.
Di diversa applicazione è l’espulsione prefettizia291 prevista dall’art. 13, 2° co., nelle
ipotesi di ingresso illegittimo (lett. a)292, soggiorno illegittimo (lett. b), appartenenza ad una
della categorie di destinatari di misure di prevenzione (lett.
c).293
La
predetta disciplina, non poteva non essere esente da novazioni
alla luce della legge di riforma.
Infatti,
all'articolo 13 del testo unico di cui al decreto legislativo
n. 286 del 1998, il comma 3 è stato modificato nel senso che l'espulsione
è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente
esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da
parte dell'interessato308 (art. 12, co., 3, l. 30 luglio 2002,
n. 189).
Quindi,
quella che nella precedente normativa era l’eccezione (cioè accompagnamento
coattivo immediato del clandestino o irregolare alla frontiera)
con la nuova legge diviene la regola, ed è, come vedremo, “sempre
eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica”.
A parte le enormi spese e la sottrazione delle Forze
di Polizia ad altri ben più importanti compiti di prevenzione,
indagine e repressione, l’accompagnamento immediato rende di fatto
inutile la tutela giudiziaria, che lo straniero non ha il tempo
materiale di far valere in Italia e, soprattutto, interverrebbe
quando l’effetto pregiudizievole (allontanamento dal territorio
nazionale) che dovrebbe evitare è ormai avvenuto!309
Paradossalmente, solo chi ha commesso un reato ha il
tempo, nelle more della procedura del rilascio del nulla osta
del Giudice Penale (che dispone fino a 15 giorni per far conoscere
il proprio avviso) di presentare ricorso quando ancora si trova
in Italia.
Altro aspetto paradossale, è l’allungamento a 60 giorni
del termine, prima di 5 giorni, per fare ricorso al tribunale
contro il decreto di espulsione (pur lodevole in astratto per
il maggior garantismo che offre) all’atto pratico si rivela una
beffa, visto che fin dal primo giorno di decorso del termine lo
straniero può essere espulso!
Quanto ciò possa conciliarsi col diritto di effettività
della difesa giudiziaria riconosciuto dall’art. 24 Costituzione
a "tutti" è facilmente valutabile.
Quando
lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova
in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima
di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità
giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili
esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento
della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati
in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona
offesa310.
In
tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando
l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali.
Il
questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con
le modalità di cui al comma 4311.
Il
nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria
non provveda entro quindici giorni dalla data di ricevimento della
richiesta da parte dell'autorità giudiziaria competente.
Inoltre,
in attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore
può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza
temporanea, ai sensi dell'articolo 14 (art. 12, co. 3, l. 30 luglio
2002, n. 189).
Occorre
sottolineare che, dopo il comma 3, sono inseriti nuovi principi,
diretti a rendere effettivi e a rafforzare l’esecutività immediata
del provvedimento di espulsione312.
Infatti,
nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia
il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la
misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo
391, comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una
delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai
sensi del comma 3.
Ancora,
le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche allo straniero
sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata
o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia
cautelare in carcere, applicata nei suoi confronti.
Il
giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara
l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta
all'esecuzione dell'espulsione.
Il
provvedimento è immediatamente comunicato al questore.
Da
notare che, nei casi previsti, suddetti (art. 12, co. 3, 3 bis
e 3 ter l. 30 luglio 2002, n. 189), il giudice, acquisita
la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso
il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza
di non luogo a procedere.
È
sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma
dell'articolo 240 del codice penale.
Infine,
è previsto che se lo straniero espulso rientra illegalmente nel
territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14
ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione
del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti,
si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale, oppure
se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini
di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata
a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale (art.
12, co. 3 quinquies, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Tuttavia,
il nulla osta all'espulsione non può essere concesso qualora,
si proceda per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma
2, lettera a), del codice di procedura penale, nonché dall'articolo
12 del presente testo unico (art. 12, co. 3 sexies l. 30
luglio 2002, n. 189).
Inoltre,
il comma 4 è sostituito dal principio, secondo cui, l'espulsione
è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera
a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma
5.
Infatti,
nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio
dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità
da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo,
l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello
Stato entro il termine di quindici giorni.
Il
questore dispone l'accompagnamento immediato alla frontiera dello
straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che
quest'ultimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento.
Avverso
il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso
al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede
l'autorità che ha disposto l'espulsione313.
Il
termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione.
Il
tribunale in composizione monocratica accoglie o rigetta il ricorso,
decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro
venti giorni dalla data di deposito del ricorso.
Il
ricorso, può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato
anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare
italiana nel Paese di destinazione.
La
sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata,
è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche
o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano
l'inoltro all'autorità giudiziaria314.
Lo
straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore
legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti
all'autorità consolare315.
Lo
straniero è altresì, ammesso al gratuito patrocinio a spese dello
Stato316, e, qualora, sia sprovvisto
di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice
nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo
29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio
1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete (art. 12,
co. 8, l. 30 luglio 2002, n. 189)317.
Da
sottolineare che, i commi 6, 9 e 10 sono stati abrogati.
Lo
straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato
senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno.
In
caso di trasgressione lo straniero è punito con l'arresto da sei
mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato
alla frontiera.
Nel
caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto
di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La
stessa pena si applica allo straniero che, già denunciato per
il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso
sul territorio nazionale.
Salvo
che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera
per un periodo di dieci anni.
Nel
decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve,
in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva
condotta tenuta dall'interessato nel periodo di permanenza in
Italia.
Da
ultimo rilevanza, in merito, assume una sentenza della Suprema
Corte, in forza della quale, deve essere esclusa l'espulsione
automatica del cittadino extracomunitario che presenti in ritardo
il rinnovo del permesso di soggiorno318.
Le
Sezioni Unite Civili risolvono un contrasto giurisprudenziale
sorto a proposito dell'interpretazione della norma del Testo Unico
in materia di stranieri che disciplina la cosiddetta espulsione
amministrativa, chiarendo che la presentazione spontanea della
domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine
di scadenza previsto dalla legge non consente l'espulsione automatica
dello straniero; l'espulsione potrà essere disposta solo se la
domanda sia stata respinta per la mancanza dei requisiti richiesti
dalla legge per il soggiorno sul territorio nazionale.
In
buona sostanza, se lo straniero è in regola, non è sufficiente
un ritardo burocratico a farlo espellere.
2.7.4.
- Le espulsioni “amministrative”: il trattenimento nei
“centri di permanenza temporanea ed assistenza”. Violazione
della libertà personale?
Gia in “itinere”, al processo di riforma in materia
di immigrazioni conclusosi da ultimo con legge342, importanti novità in merito, furono stabilite, in una
visione podromica dell’intero “processo di riforma del settore”
con un decreto legge 51 del 2002343, in cui il governo, impegnato, sia nella difesa dell’ordine
pubblico e della sicurezza dei cittadini, sia nell’integrazione
degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, ha emanato
delle misure urgenti di contrasto all’immigrazione clandestina
e norme di garanzia per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento
alla frontiera.
Da ciò, “le espulsioni degli stranieri colpiti da
provvedimenti di accompagnamento alla frontiera saranno più veloci”.
Il decreto interviene sul testo unico sulla disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero fornendo
tra l’altro, alcune modifiche relative ai mezzi di trasporto usati
dai clandestini e sull’espulsione degli stranieri.
La modifica più incisiva è intervenuta, con la modifica
del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero.
A tal proposito, l’articolo 13 sulla "espulsione
amministrativa", alla luce del decreto suddetto, prevede(va)
che, nei casi in cui il Ministro dell'interno disponga l'espulsione
dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato,
per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o quando
lo straniero si sia trattenuto indebitamente nel territorio dello
Stato oltre il termine fissato o qualora, quest'ultimo sia privo
di valido documento attestante la sua identità e nazionalità e
il prefetto rilevi un concreto pericolo che lo straniero si sottragga
all'esecuzione del provvedimento, il questore comunichi immediatamente
e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione all’ufficio
del Procuratore della Repubblica presso il tribunale territorialmente
competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento
alla frontiera.
Il Procuratore della Repubblica, verificata la sussistenza
dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto
ore successive alla comunicazione.
Rispetto della Costituzione, quindi, delle garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti
di accompagnamento alla frontiera affinché le cose vengano fatte
velocemente ed i provvedimenti non vengano revocati se non convalidati
dall’autorità giudiziaria entro quarantotto ore344.
Per quanto riguarda, invece, l’altro aspetto del decreto,
veniva stabilito che tutti i mezzi di trasporto, e quindi, automobili,
navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati
nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando
e per i quali non veniva fatta una richiesta di affidamento da
organi di polizia o altri organi dello Stato, la distruzione e
la cancellazione dai pubblici registri345.
La distruzione può essere direttamente disposta dal Presidente
del Consiglio dei Ministri o dalla autorità da lui delegata, previo
nullaosta dell’autorità giudiziaria procedente. (12 aprile 2002)
2.8 – LE GARANZIE
GIURISDIZIONALI.
La nuova disciplina, comprensiva dell’attuale legge di
riforma in materia, non prevede peraltro regole e strumenti di
tutela per i casi di rifiuto, revoca ed annullamento del permesso
di soggiorno, adottabili anche “sulla base di convenzioni o
accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero
non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli
Stati contraenti” (art. 5, 6° co.)373.
Questa può rivelarsi una lacuna grave, soprattutto alla
luce del fatto che il passo successivo in questi casi è l’espulsione
di un individuo.
Da ultimo, rilevante in merito, è Ia giurisprudenza della
Suprema Corte di Cassazione374.
Stabilisce che i cittadini extracomunitari raggiunti
da decreto di espulsione hanno il diritto di difendersi davanti
a un tribunale.
Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Corte di Cassazione
occupandosi del caso di un cittadino bulgaro che aveva chiesto
al giudice di pronunciarsi sul provvedimento del prefetto che
negava la revoca dell'espulsione da cui, precedentemente, era
stato raggiunto.
Il tribunale aveva considerato inammissibile la sua istanza,
non potendo pronunciarsi su un provvedimento amministrativo come
il decreto di un prefetto.
Ma la Suprema Corte ha ribaltato il giudizio.
Affermando il principio della parità di trattamento tra
cittadini immigrati e italiani, ha rilevato che: “la legge
"Turco-Napolitano" - allo stato attuale ancora in vigore
- riconosce ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione
europea e agli apolidi, non solo i diritti fondamentali della
persona umana, previsti dalle norme di diritto interno, dalle
convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti, ma anche parità di trattamento
con il cittadino, relativamente alla tutela giurisdizionale dei
diritti e degli interessi legittimi nei rapporti con la pubblica
amministrazione" (24 aprile 2002).
Proprio in materia di garanzie giurisdizionali
degli extracomunitari, la Quarta Sezione Penale della Corte
di Cassazione ha stabilito, da ultimo, con un indirizzo garantista,
in piena conferma con i nostri principi costituzionali, che, anche
lo straniero non residente in Italia ha diritto di essere
ammesso al patrocinio a spese dello Stato; accogliendo il ricorso
di un cittadino straniero al quale era stata respinta una istanza
di ammissione al gratuito sulla base del fatto che non risiedeva
in Italia375.
La Suprema Corte, richiamando anche una recente pronuncia
della Corte Costituzionale, ha invece rilevato che la legge non
fa alcuna distinzione, per cui "anche lo straniero
(senza distinguere - già s'è detto - tra residente o non residente
in territorio nazionale) fruisce della garanzia costituzionale
in ordine ai diritti civili fondamentali, in particolare in ordine
al diritto di difesa, nel quale è compresa anche la difesa dei
non abbienti".
2.9 – I DIRITTI DELLA
SFERA FAMILIARE: i ricongiungimenti familiari.
Quindi,
si è ampliato l’ambito dei familiari che possono ricongiungersi
e si è previsto un ulteriore istituto, il c.d. “ingresso a
seguito” (art. 29 co. 4°: “E’ consentito l’ingresso, al
seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un
visto di ingresso per lavoro subordinato, relativo a contratto
di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale,
ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i
quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che
ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito
di cui al comma 3”) il quale, in presenza di determinate previsioni
permette di preservare l’unità familiare dello straniero
anche nelle prime fasi della sua migrazione.
Accanto
alla disciplina legale del permesso di soggiorno, allo straniero,
a fini di ricongiungimento a familiare straniero già titolare
di carta o di permesso di soggiorno ultrannuale, quale fissata
dagli artt. 28, 29 e 30 del d.leg. n. 286/1998, il governo italiano
ha, con d.p.c.m. 16 ottobre 1998, dettato una disciplina derogatoria
in bonam partem, la quale consente l’operare del ricongiungimento,
per le finalità di cui all’art. 28, 1° e 2° comma, d.leg. cit.,
anche a soggetti che, essendo sul territorio come clandestini
da prima del 27 marzo 1998, mai avrebbero potuto beneficiare di
un ingresso con nulla osta chiesto dal familiare regolarmente
soggiornante, né – conseguentemente – di un proprio autonomo titolo
di soggiorno.
Il
d.p.c.m. in questione (recante programmazione dei flussi di ingresso
in attuazione della previsione di cui all’art. 3, 4° comma, d.leg.
n. 286 cit., nonché, fra l’altro, disposizioni specifiche sulla
c.d. “sanabilità delle presenze di stranieri in Italia da data
anteriore all’entrata in vigore della l. n. 40/98”, e costituente
una fonte di normazione secondaria, e perciò originante norme
regolamentari a rilevanza esterna la cui violazione è conseguentemente
sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.) attribuisce, più
in particolare ed appunto, con l’art. 5, allo straniero presente
in Italia come clandestino e che non abbia i requisiti per una
personale e diretta regolarizzazione di soggiorno, la possibilità,
ultralegale e quindi di carattere eccezionale, di ottenere, a
domanda, un permesso di soggiorno per ricongiungersi a familiare
regolarmente soggiornante, sempre che sussistano le condizioni
minime di accoglienza di cui all’art. 29, 3° comma, lett. a) e
b)384.
Da
ultimo, all’articolo 29 del testo unico di cui al decreto legislativo
n. 286 del 1998, sono apportate le seguenti modificazioni:
-
al comma 1, alla lettera b), indicante i soggetti per cui è possibile
il ricongiungimento, è inserita la seguente: "b-bis) i
figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive
provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di
salute che comporti invalidità totale";
-
al comma 1, alla lettera c) sono aggiunte, infine, le seguenti
parole: “qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine
o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora
gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per
documentati gravi motivi di salute";
-
al comma 1, da ultimo, la lettera d) è abrogata (art. 23, co.,
1, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Ed
infine, la sostituzione dei commi 7, 8 e 9.
Infatti,
la domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata
della prescritta documentazione compresa quella attestante i rapporti
di parentela, coniugio e la minore età, autenticata dall’autorità
consolare italiana, è presentata allo Sportello Unico per l’Immigrazione
presso la prefettura-ufficio territoriale di Governo competente
per il luogo di dimora del richiedente, la quale ne rilascia copia
contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato
del ricevimento.
L’ufficio,
verificata, anche mediante accertamenti presso la questura competente,
l’esistenza dei requisiti suddetti, emette il provvedimento richiesto,
ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta (art. 23, co.,
7, l. 30 luglio 2002, n. 189).
Trascorsi
novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può
ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze
diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia
degli atti contrassegnata dallo Sportello Unico per l’Immigrazione,
da cui risulti la data di presentazione della domanda e della
relativa documentazione.
La
nuova legge, come tale, non consente il ricongiungimento dei “genitori
a carico”, qualora abbiano altri figli nel paese di origine
e provenienza (limitazione, questa, non prevista nel Testo Unico
precedente).
Non è più consentito, inoltre, il ricongiungimento coi
parenti entro il terzo grado a carico inabili al lavoro (come
invece ammetteva il precedente disposto normativo).
Il ricongiungimento è, quindi, possibile solo per il
coniuge a carico, i figli minorenni e, se totalmente invalidi
al lavoro (non, quindi, se invalidi al 99%?!) anche i figli maggiorenni
a carico385.
Ci sono una serie di
norme che configurano una intromissione delle autorità nel diritto
al vivere in famiglia, che è garantito dall'articolo 8 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e che la Consulta afferma essere
garantito dalla Costituzione italiana anche agli stranieri in
base agli articoli 29 e 30.
Il primo caso più evidente,
è la revoca del permesso di soggiorno ai coniugi stranieri di
cittadini italiani, qualora, venga meno la convivenza.
Si configura, anche
in questo caso, una disuguaglianza tra una famiglia composta da
comunitari, e una famiglia formata da un italiano e un extracomunitario.
Tra l'altro mal si coordina
con l'altra norma, ereditata dalla legge del `98, che permette
di avere un permesso di soggiorno ad altro titolo a chi, avendo
usufruito del ricongiungimento familiare, si separa o si divorzia.
Infine,
si riconosce la competenza alle rappresentanze diplomatiche e
consolari italiane a rilasciare altresì il visto di “ingresso
al seguito” nei casi previsti dal comma 5.
2.9.1. – Ricongiungimento
familiare: le nuove regole Ue (Direttiva 2003/86/CE 22.9.2003
GUCE 3.10.2003)
2.10 – I DIRITTI
DELLA SFERA SOCIALE.
In
tal senso, occorre preliminarmente affermare che, il Welfare
state è un insieme di interventi pubblici connessi ai processi
di industrializzazione e di modernizzazione, i quali forniscono
protezione sotto forma di assistenza, assicurazione obbligatoria
e sicurezza sociale, introducendo tra l’altro specifici diritti
sociali (nel caso di eventi prestabiliti) nonché specifici doveri
di contribuzione finanziaria a destinatari tra i quali vanno annoverati
anche gli stranieri395.
La
definizione analitica di Welfare state è da ricondursi
all’essenza dei diritti pubblici da un lato e ai diritti sociali
dall’altro.
La
questione è su come debbano essere interpretati i diritti sociali
e su che cosa questi diritti sociali possano fondarsi e nella
capacità o meno degli stessi di soddisfare le esigenze degli stranieri
che si inseriscono in un contesto sociale396.
Nello
stato sociale la componente statale è essenziale e centrale in
quanto afferma diritti sociali che corrispondono a bisogni di
vita, di sicurezza e benessere attraverso istituti di protezione,
trasferimenti e servizi, in cui sono destinatari anche gli extracomunitari.
Gli scopi, citati con maggior frequenza, insiti nell’esistenza
dello stato sociale sono due:
- L’attuazione di politiche verso e contro la povertà
e l’esclusione sociale;
- L’attuazione di politiche intorno alla diseguaglianza
in merito all’appropriazione e alla distribuzione di specifici
tipi di risorse sociali (reddito, occupazione, sapere).
E’ in questo contesto che dev’essere inserito il fenomeno
dell’immigrazione397.
L’obiettivo dell’azione contro la povertà è un obiettivo
di una larga varietà di regimi di stato sociale, mentre invece
l’obiettivo della lotta contro la diseguaglianza, a favore di
una politica dell’integrazione dell’immigrazione sembra restringere
piuttosto il campo dello stato sociale attorno a una particolare
tradizione europea, cioè la tradizione che si è identificata attorno
al tema della cittadinanza sociale398.
Questi possono essere i tratti peculiari dello stato
sociale europeo:
- Lo stato sociale serve all’integrazione politica della
società entro il perimetro dello stato nazionale.
Questo sia nella variante Bismark (integrazione
dall’alto) sia nella variante Beverige-Marshall (integrazione
della cittadinanza).
Nella sua relazione Beverige parla, della necessità
di costruire una più solida architettura dello Stato nazionale
e della comunità che si riconosce in questo stato nazionale.
Questa identificazione molto forte dello Stato nazionale
con lo stato sociale pone delle questioni molto forti399.
La capacità dello Stato nazionale di perseguire la propria
integrazione politica attraverso le politiche di Welfare
all’interno è sollecitata dalle politiche di globalizzazione e
di mondializzazione.
Quando si dice cittadinanza non dovremmo dimenticarci
che si parla di cittadinanza politica, mentre la cittadinanza
sociale è un piano successivo400.
Lo stato sociale è produzione e regolazione per via amministrativa
dei bisogni sociali: questo sembra implicito nello "stateness":
più lo stato è forte (qui non bisogna intendere naturalmente il
dispotismo militare, ma la consistenza, la capacità e la competenza
amministrativa, nonchè organizzativa di funzionamento), più il
benessere che questo può produrre e distribuire è forte.
In questo caso si delineerebbe una scala, una polarità
della forza che lo stato produce che va da una base minima o bassa
di trasferimenti clientelari (caratteristica che sovente è imputata
al modello italiano di Welfare, considerato già negli anni
’80 con una connotazione particolaristica, ma anche clientelare,
proprio per sottolineare la debolezza strutturale della regolazione
pubblica e la grande permeabilità dello stato alle pressione frammentate,
particolaristiche e irrazionali dei gruppi di interesse), e abbiamo
dall’altra parte una scala con la produzione di benessere attraverso
servizi universalistici, in particolare ben amministrati e ben
distribuiti401.
Identità nazionale, solidità del patto sociale e forza
dell’amministrazione e quindi della regolazione pubblica sono
tre caratteristiche della tradizione europea di Welfare
che ci potrebbero portare a interrogarci sulle peculiarità del
sistema italiano402.
Da ultimo, si rileva che, Paesi con tradizione coloniale,
ad esempio, tendono all’assimilazione, benché fatti oggetto di
un fenomeno di immigrazione quantitativamente rilevante: esempio,
Francia, Inghilterra; altri paesi, hanno affrontato il fenomeno
con una integrazione economica provvisoria (casa, lavoro, servizi
sociali), ma rifiutano l’integrazione (Svizzera, Germania); altri
la dosano, regolando i flussi compatibili (Stati Uniti).
Discutibile
è la limitazione, contenuta nel nuovo testo di legge, dell’accesso
alle misure di integrazione sociale ai soli extra-comunitari in
regola con le norme di soggiorno in Italia.
In effetti, esistono primari doveri di assistenza e solidarietà
che prescindono, specie quando si tratti di minorenni e di donne
in stato di gravidanza, dalla regolarità formale del soggiorno.
Uno specifico ruolo in materia, come del resto anche
nei campi della salute e dell’istruzione, era riconosciuto, alle
regioni ed agli enti locali, chiamati alla realizzazione delle
strutture alloggiative ed alla determinazione delle regole per
l’accesso alle strutture pubbliche.
Le regioni in particolare, erano chiamate a finanziare
opere di risanamento degli alloggi da destinare ad alcune categorie
di stranieri lungo-residenti.
La
nuova legge, infatti, abroga il comma 5 dell’art. 40 del testo
unico che prevede la concessione di contributi da parte delle
regioni a comuni, province, enti morali pubblici e privati per
opere di risanamento igienico sanitario di alloggi di loro proprietà
o disponibilità almeno quindicennale da destinare a stranieri
in possesso di permesso di soggiorno per lavoro, studio, motivi
familiari, asilo politico o umanitario.
Anche tale disposizione è controproducente in quanto
comporta un aggravamento delle condizioni di vita (con il conseguente
pericolo di malattie e tensioni sociali) anche degli extracomunitari
ospitati nei centri di accoglienza415.
Infine, si è stabilito che gli stranieri titolari di
carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in
possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano
una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo
hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini
italiani, nel limite del cinque per cento degli alloggi e delle
agevolazioni, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e
ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente
predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare
l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia
di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di
abitazione.
Mentre,
la vecchia legge prevedeva l’accesso, in condizioni di parità,
per gli stranieri in possesso di carta di soggiorno e regolarmente
soggiornanti iscritti nelle liste di collocamento o esercitanti
attività di lavoro subordinato o autonomo, alla proprietà o alla
locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ed al
credito agevolato.
Anche per ciò che concerne quel complesso di misure riconducibili
ad obbiettivi di integrazione e di inserimento sociale, vale lo
stesso rilievo sulla centralità delle competenze in materia di
regioni, enti locali ed associazioni.
Il supporto concreto alle iniziative in materia nella
nuova disciplina dipende dal Fondo nazionale per le politiche
migratorie (art. 45).
Le misure di un certo rilievo nel quadro delle politiche
di integrazione presuppongono scelte di base di carattere politico-culturale:
a questo fine si è prevista l’istituzione di una Commissione
per le politiche di integrazione (art. 46), composta da rappresentanti
delle amministrazioni maggiormente coinvolte sull’immigrazione,
con compiti di analisi, indirizzo, studio e proposta, chiamato
a costituire il referente in materia del Governo e ad elaborare
annualmente un rapporto da presentare al Parlamento, sullo stato
di attuazione della legge.
La condizione del non-cittadino più o meno regolarmente
presente, resta comunque segnata, non solo dai limiti riguardanti
la titolarità formale di una serie di diritti, bensì anche da
gravi limitazioni all’effettivo godimento degli stessi diritti
di cui pure risultano formalmente titolari.
Il discorso non può che trascendere la sfera del giuridico
positivo.
2.11 – I DIRITTI
POLITICI: dal concetto di cittadinanza (sostanziale) al diritto
di voto il passo è breve?
2.11.1. –I diritti
politici: considerazioni sugli artt. 10 e 11 della Costituzione.
2.12. – LA NUOVA
LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE (l. 30 luglio 2002, N. 189) E I PRINCIPI
COSTITUZIONALI.
Sulla nuova legge
Bossi-Fini se ne sono dette tante, ma alcuni aspetti sono
rimasti in ombra.
Si tratta dei profili
incostituzionali: uno degli aspetti più allarmanti della nuova
legge sull'immigrazione, come si è avuto già modo di accennare
nel corso della trattazione, riguarda le misure di accompagnamento
alla frontiera dell'immigrato espellendo per mezzo della forza
pubblica.
Lacuna che, non assolve
neanche il decreto n. 51449, emanato dal governo, non stabilendo
che il questore deve “comunicare” al giudice il provvedimento
con il quale è disposto l'accompagnamento.
Il provvedimento, infatti,
resta “immediatamente esecutivo”450.
Una beffa, da un lato,
ma anche una decisione in contrasto con la Costituzione, perché,
come sostiene il Bonetti, “con la legge Bossi-Fini l'espulsione
con accompagnamento alla frontiera diventa ordinaria, ovvero,
tutti gli immigrati presenti irregolarmente sul territorio italiano
verranno espulsi in questo modo, ma l'articolo 13 della Costituzione
prevede che la libertà personale si possa limitare solo in
casi di eccezionalità, oltre a prevedere, in questi casi,
una riserva giurisdizionale”.
Oltre alla mancata “eccezionalità”,
c'è anche qualcos'altro che non torna nella decisione di “scortare”
tutti gli espellendi: “manca completamente la tassatività dei
presupposti - continua Bonetti - cioè una loro precisa definizione”.
Ad esempio, non basta
dire “per motivi di ordine pubblico”, occorre specificare.
In secondo luogo, la
riserva di giuridizionalità dell'articolo 13 Cost., non riguarda
soltanto, come potrebbe apparire a una lettura superficiale, la
necessità che il magistrato convalidi la misura, bensì che sia
la magistratura stessa ad applicarla, e non l'autorità di pubblica
sicurezza451.
2.12.1.
– Divieto di ingresso e
presunzione di non colpevolezza: articolo 27 della Costituzione.
Nella Bossi-Fini
troviamo tutta una serie di misure in cui sembra venir meno la
presunzione costituzionale di non colpevolezza fino alla condanna
definitiva.
L'articolo 4, l.
30 luglio 2002, n. 189, stabilisce,
infatti, il divieto di ingresso nel territorio nazionale di persone
che siano state condannate in via non definitiva per reati
medio-gravi, a tal proposito, il Bonetti sostiene che ciò rappresenta
“un divieto assoluto, che si pone come misura sanzionatoria
e che fa a pugni con il principio di non colpevolezza”, previsto
dall’articolo 27 della Costituzione 2° comma, secondo cui, l’imputato
non può essere considerato colpevole “sino alla condanna definitiva”.
E non basta: secondo
il sistema del testo unico, qualora queste condanne di primo grado
venissero inferte a uno straniero già regolarmente soggiornante,
si configura, in modo automatico, il presupposto per procedere
alla revoca o al rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno452.
In materia di diritto
alla difesa, la nuova legge prevede che il ricorso avverso all'espulsione
può essere presentato tramite “la rappresentanza diplomatica
o consolare italiana nel paese di destinazione” (articolo 12).
Il diritto alla difesa
è tutelato dall'articolo 24 della Costituzione, secondo cui: “Tutti
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi” (1° co.), e dal principio in base al quale, “la
difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”
(2° co.), ma è evidente che se lo straniero proviene da un paese
in cui non siano presenti rappresentanze consolari, gli viene
di fatto impedito il diritto alla difesa.
Inoltre, lo stesso Bonetti
sostiene che, il diritto alla difesa non è soltanto il diritto
a ricorrere, ma anche il diritto ad evitare l'adozione nei propri
confronti di azioni gravi e irreparabili.
Per esempio l'espulsione
con accompagnamento alla frontiera, di cui sopra.
In quel caso, infatti,
si evidenzia una “distorsione” dei principi costituzionali,
in quanto la limitazione della libertà personale è sottratta
alla possibilità di un intervento giurisdizionale prima dell'esecuzione
del provvedimento di espulsione453.
Quel che ha fatto più
scalpore tra gli addetti ai lavori rispetto al diritto alla difesa,
riguarda però la parte della legge Bossi-Fini dedicata
al diritto di asilo.
Infatti, nel caso in
cui il richiedente asilo otterrà un respingimento della propria
domanda da parte della commissione territoriale, potrà presentare
ricorso: ma questo non comporterà la sospensione dell'espulsione454.
Tuttavia, pare che,
non sia sufficiente neanche la previsione - aggiunta in extremis
- di un ricorso amministrativo gerarchico.
Ma non si tratta neanche
di un ricorso gerarchico vero e proprio, visto che la domanda
sarà esaminata per la seconda volta dalla stessa commissione territoriale
integrata da un membro esterno.
Sulla questione del
diritto d'asilo, Bonetti rileva che si continua ad identificare
il rifugiato - cioè colui che in base alla Convenzione di Ginevra
dimostra una persecuzione individuale - con l'asilante, dimenticando
che, secondo la Costituzione italiana può chiedere asilo chi,
nel paese d'origine, non vede garantito l'effettivo esercizio
delle libertà previste dalla nostra carta costituzionale.
2.12.2.
– Novità sui centri di permanenza temporanea.
Nel 2001 la Corte costituzionale
dichiarò legittimo il trattenimento nei centri di permanenza temporanea
per gli espellendi.455
Ma con la Bossi-Fini,
qualcosa potrebbe cambiare: con la Turco-Napolitano il
trattenimento poteva essere considerato una misura non ordinaria,
e quindi costituzionalmente legittima.
Mentre, con la nuova
normativa le cose cambiano, perché il trattenimento e l'accompagnamento
alla frontiera diventano la normale procedura di espulsione.
Ma il problema non sta
nel trattenimento: di dubbia costituzionalità è che sia disposto
autonomamente dall'autorità di pubblica sicurezza.
Come succedeva già con
la Turco-Napolitano, al giudice viene presentato un provvedimento
che già di per sé prevede trenta giorni di trattenimento, mentre
questo tipo di valutazioni spetta soltanto alla magistratura.
Eppure, secondo Bonetti,
esisterebbe un modello di trattenimento in grado di tenere insieme
la necessità di controllare le frontiere e l'inviolabilità della
libertà personale: “nei termini massimi di 48 ore più 48 il
questore potrebbe chiedere al magistrato tre cose:
·
decretare l'espulsione,
·
convalidare l'accompagnamento,
·
decidere sull'eventuale prolungamento del trattenimento.
Questa decisione spetta
solo al giudice.456”
2.12.3.
– Rinvio: Il contratto di soggiorno: un contratto di
lavoro.
Anche la “rivoluzione”
più consistente contenuta nella Bossi-Fini, e cioè il famoso
contratto di soggiorno è di dubbia costituzionalità.
Perché è un istituto
previsto solo nei confronti degli stranieri extracomunitari,
in violazione del principio di uguaglianza di trattamento previsto
dalla convenzione 143 del 1975 dell'Organizzazione internazionale
del lavoro.
Questa convenzione,
in base all'articolo 10 secondo comma della Costituzione, è vincolante
per il legislatore italiano.
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