Scuola Forense
di Taranto
Marseille, les vendredi 19 et samedi 20 mars 2004 - LES DROITS DES MIGRANTS
 



Ordine degli Avvocati
Provincia di Taranto















CAPITOLO I


LA DISCIPLINA DELL’IMMIGRAZIONE
NELL’UNIONE EUROPEA.

 

1.1 – LA CONVENZIONE APPLICATIVA DELL’ACCORDO DI SCHENGEN DEL 19 GIUGNO 1990: QUADRO ISTITUZIONALE E ITER DI APPLICAZIONE.

L’Accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985 da Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo costituisce il frutto di un’iniziativa intergovernativa tesa al completamento della libertà di circolazione delle persone, prevista dal Trattato istitutivo della Comunità Europea, attraverso la graduale eliminazione dei controlli alle frontiere comuni1.

Agli Stati firmatari si sono aggiunti l’Italia nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l’Austria nel 1995, la Danimarca, la Finlandia e la Svezia nel 1996.

Tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, ad eccezione di Gran Bretagna e Irlanda sono, dunque, parti dell’Accordo di Schengen.

Data la natura programmatica dell’Accordo, si è resa necessaria una Convenzione di applicazione , firmata anch’essa a Schengen il 19 giugno 1990.

Le norme della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen dedicate alla disciplina delle migrazioni internazionali e all’armonizzazione delle politiche nazionali in questa materia si trovano concentrate nel Titolo II, dedicato alla “Soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone”.

Il fine perseguito dagli Stati contraenti coincide con l’obiettivo di uno spazio interno senza frontiere, definito dal Trattato CE, come modificato dall’Atto Unico Europeo2.

Non a caso, le disposizioni della Convenzione si applicano soltanto nella misura in cui siano compatibili con il diritto comunitario (art. 134) e soltanto gli Stati membri delle Comunità Europee possono divenire parti della Convenzione (art. 140).

1.2 – SCHENGEN E LA QUESTIONE DELL’IMMIGRAZIONE:
LO STATO DEI CONTROLLI ALLE FRONTIERE.

Dopo aver enunciato il principio secondo cui “le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque luogo senza che venga effettuato il controllo delle persone”, salvo che tale controllo risulti temporaneamente necessario per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale (art. 2 co. 1 e 2), la Convenzione detta una serie di disposizioni in materia di controlli alle frontiere esterne dell’Area, visti, condizioni di circolazione degli stranieri all’interno dell’Area e vettori3.

Va rilevato che nel traffico aereo civile internazionale, il controllo viene effettuato di norma nel primo aeroporto (aeroporto di ingresso) o nell’ultimo aeroporto (aeroporto di arrivo).

Tali controlli possono non essere effettuati in caso di transito, se i passeggeri rimangono a bordo dell’aereo o sono trattenuti fino al proseguimento del volo in un’apposita area di transito, dove non possono entrare in contatto con passeggeri di altri voli.

La compagnia aeroportuale deve provvedere a canalizzare il traffico passeggeri verso le installazioni riservate al controllo e prendere le dovute misure per impedire l’accesso non autorizzato (in entrata e in uscita) nelle zone riservate o con accesso regolamentato (come, per esempio, l’area di transito).

A partire dalla data di applicazione degli accordi di Schengen, i passeggeri di un volo interno, cioè “da e per i Paesi Schengen senza scalo nel territorio di un Paese terzo”, non sono più sottoposti a controllo.

I passeggeri provenienti da uno Stato terzo che si imbarcano su un volo interno (ad es. New York – Parigi – Roma) saranno sottoposti a controllo solo all’arrivo nel primo “aeroporto Schengen” (aeroporto di entrata, nell’es. Parigi).

Viceversa, i passeggeri di un volo interno che si imbarcano su un volo a destinazione di uno Stato terzo (transfer passenger; nell’es. Roma – Parigi – New York) saranno controllati solo nell’aeroporto di partenza di quest’ultimo volo (controllo di uscita; nell’es. Parigi)4.

Assume un rilievo particolare la linea restrittiva adottata dalla Repubblica francese in sede di applicazione della Convenzione di Schengen nella parte relativa alla soppressione dei controlli alle frontiere interne.

A partire dal 1° luglio 1995, infatti, pochi mesi dopo la messa in applicazione degli accordi (avvenuta il 26 marzo 1995), la Francia5 ha ristabilito i controlli sistematici alle sue frontiere interne (a quell’epoca si trattava delle frontiere con la Spagna, la Germania, il Belgio e il Lussemburgo), giustificando la decisione con la necessità di far fronte nel modo più adeguato a una serie di gravi attentati terroristici compiuti quell’anno in territorio francese6.

La Convenzione dispone un rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dell’Area Schengen.

La possibilità che gli individui irregolarmente entrati nel territorio di uno dei Paesi dell’Area beneficino dell’eliminazione dei controlli alle frontiere interne e, quindi, circolino liberamente in tutta l’Area rende necessaria un’efficace attività preventiva7.

I vincoli che derivano dalla Convenzione di Schengen agli Stati firmatari nel campo del diritto dell’immigrazione hanno carattere elastico: viene fissato un obbiettivo (p.e. l’allontanamento di determinate categorie di stranieri), lasciando piena discrezionalità agli Stati circa il modo di conseguirlo.

In alternativa, viene definito un parametro (p.e. i giorni entro cui lo straniero deve presentare dichiarazione di soggiorno), lasciando però agli Stati la facoltà di derogarvi nel nome di esigenze particolari8.

A questo fine, la Convenzione stabilisce le condizioni di ingresso nell’Area, degli stranieri, intendendo come tali gli individui che non siano cittadini di uno Stato membro della Comunità Europea (art. 5), e detta i principi in base ai quali devono essere effettuati i controlli alle frontiere esterne, allo scopo di evitare che, venendo questi condotti secondo criteri differenti, vi siano dei punti in cui l’ingresso nell’Area sia più facile (art. 6)9.

Un dato comune è emerso: la difficoltà che nelle diverse realtà, si incontra per rendere effettivi i decreti di espulsione emessi dai prefetti.

Si può richiamare l’esperienza effettuata a Lampedusa, dove il respingimento alla frontiera degli immigrati sbarcati clandestinamente appare impraticabile, in assenza di collegamenti marittimi regolari di linea verso i paesi di provenienza dei clandestini stessi10.

Qui, a fronte di stranieri privi di documenti e di mezzi di sostentamento, non può che scattare il provvedimento di espulsione che, però, offrendo 15 giorni di tempo per lasciare il Paese, si trasforma in una sorta di lasciapassare che permette a molti di risalire la Penisola e di far perdere le tracce una volta giunti nelle grandi città del nord11.

Inoltre, per una serie di difficoltà di natura tecnica l’Italia si è mantenuta, per anni, ai margini dell’Area Schengen, con grave pregiudizio nei confronti dei partner europei.

Ci si auspica che, con l’entrata in vigore della nuova legge sull’immigrazione, il nostro Paese possa rientrare a pieno titolo negli accordi di Schengen12 13.

La Convenzione istituisce un visto uniforme valido per il territorio di tutti i Paesi dell’Area Schengen per un soggiorno massimo di tre mesi (art. 10 co. 1°).

Questa disciplina comune si fonda, innanzitutto, su una serie di requisiti necessari affinché una parte contraente possa concedere il soggiorno per tali brevi periodi.

Fra questi, un particolare rilievo acquista l’accertamento della disponibilità, da parte dello straniero, di “mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista dal soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza o per il transito verso un terzo Stato nel quale la sua ammissione è garantita” ovvero l’accertamento della capacità di “ottenere legalmente detti mezzi” (art. 5, comma 1, lett. C)14.

Tale visto può essere o un visto di viaggio valido per uno o più ingressi o un visto di transito che permetta allo straniero di transitare sul territorio dei Paesi dell’Area per recarsi in un Paese terzo (art. 11 co. 1°) e può essere rilasciato, in linea di principio, solo agli stranieri che soddisfino le condizioni di ingresso stabilite dalla Convenzione (art. 15).

La Convenzione prevede, invece, che per un soggiorno di durata superiore a tre mesi venga rilasciato dallo Stato dell’Area in cui lo straniero è diretto un visto nazionale, che consenta a quest’ultimo di transitare sul territorio degli altri Stati dell’Area per recarsi nel territorio del primo (art. 18)15.

Mentre, la disciplina dei soggiorni brevi viene sottoposta a una sostanziale armonizzazione, la disciplina dei soggiorni di durata superiore ai tre mesi rimane di appannaggio dei singoli Stati, che rilasciano i visti necessari “conformemente alla propria legislazione” (art. 18).

In questo campo, dunque, la limitazione per via negoziale della sovranità nazionale risulta meno profonda16.

La Convenzione permette agli stranieri titolari di un visto uniforme o non soggetti all’obbligo del visto di circolare liberamente all’interno dell’Area Schengen, rispettivamente, per il periodo di validità del visto e per un periodo di tre mesi in un semestre (artt. 19 co. 1° e 20 co. 1°).

Essa consente, inoltre, agli stranieri in possesso di un’autorizzazione di soggiorno, sia pure provvisoria, rilasciata da uno degli Stati contraenti, di circolare liberamente all’interno dell’Area per un periodo non superiore a tre mesi (art. 21 co. 1° e 2°).

Il ricorso alla clausola d’eccezione da parte della Francia in opposizione (indiretta) ai Paesi Bassi non è peraltro l’unico caso in cui gli accordi di Schengen sono stati assunti come fondamento (o come pretesto, a seconda delle valutazioni) per contrasti politici tra Paesi firmatari.

La stessa Italia è stata coinvolta in situazioni di questo genere17, che l’hanno vista chiamata ufficiosamente in causa da alcuni partner per via dei suoi indirizzi di politica migratoria.18 19

Nè tuttavia, impone a quest’ultimi di recarsi “senza indugio” nel territorio dello Stato contraente che ha rilasciato l’autorizzazione (art. 23 co. 2°).

La Convenzione obbliga gli stranieri che non soddisfino o non soddisfino più le condizioni di soggiorno, stabilite da uno dei Paesi dell’Area Schengen, a lasciare “senza indugio” il territorio di questi ultimi e prevede, per il caso che lo straniero non ottemperi a tale obbligo o è presumibile che non lo faccia, l’allontanamento forzato verso il suo Paese d’origine o qualsiasi altro Paese nel quale egli possa essere ammesso (art. 23 co. 1°, 3° e 4°)20.

Inoltre, a fronte di quanto previsto dall’art. 25, 2° comma della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 19 giugno 1990, resa esecutiva dalla l. 30 settembre 1993 n. 388 – secondo cui lo stato che ha ricevuto segnalazione ai fini della non ammissione di straniero, già titolare di permesso di soggiorno, deve consultarsi con lo stato che ha effettuato la segnalazione, prima di ritirare il suddetto titolo – è da ritenersi che la segnalazione di inammissibilità, proveniente da uno stato contraente, non comporti automaticamente il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno, che invece, va adeguatamente motivato circa le ragioni del diniego, a disfavore dell’interessato21.

La Convenzione detta anche disposizioni concernenti i vettori.

In particolare, impone ai vettori di accertarsi che gli stranieri trasportati siano in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l’ingresso nei Paesi dell’Area Schengen (art. 26 co. 1° lett. b), demandando a questi ultimi la previsione di sanzioni per i vettori che trasportino da un Paese terzo verso il loro territorio stranieri non in possesso dei suddetti documenti (art. 26 co. 2°)22.

La Convenzione obbliga, inoltre, i vettori che abbiano condotto presso le frontiere esterne dell’Area, degli stranieri cui venga rifiutato l’ingresso nell’Area medesima, di prenderli immediatamente a bordo e di ricondurli nel Paese di provenienza, nel Paese terzo che ha emesso i loro documenti di viaggio o in qualsiasi altro Paese in cui possano essere ammessi (art. 26 co. 1° lett. a).

1.3 – IL RUOLO DEL COMITATO PARLAMENTARE E L’INDAGINE CONOSCITIVA.

La legge di ratifica degli accordi di Schengen (legge 30 settembre 1993 n. 388) ha previsto l’istituzione di un Comitato parlamentare incaricato di “esaminare l’attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen” (art. 18).

Il Comitato è composto da dieci deputati e da dieci senatori nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei Deputati in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.

A norma dell’articolo 18, 4° comma, il Comitato esamina i progetti di decisione, vincolanti per l’Italia, pendenti innanzi al Comitato esecutivo contemplato dal titolo VII della Convenzione di applicazione.

A tal fine, per il tramite del rappresentante italiano, che può chiedere il rinvio della decisione, ex articolo 132 della stessa Convenzione, il Comitato ha il potere di esaminare il progetto di decisione e di esprimere, entro quindici giorni dalla data di ricezione, un parere di carattere vincolante.

Tali attribuzioni consentono pertanto al Parlamento di intervenire, oltre che con una funzione di controllo, con una penetrante funzione di indirizzo politico nei processi decisionali di Schengen che riguardino espressamente l’Italia, favorendo inoltre, un controllo specifico sull’operato del Governo in sede di Comitato esecutivo23.

Non si può non sottolineare la peculiarità della funzione consultiva attribuita al Comitato parlamentare: la legge parla espressamente di un “parere vincolante” introducendo, così, un elemento di novità nel raccordo Parlamento-Governo.

La vincolatività del parere induce a riconoscere, infatti, una funzione di codecisione al Comitato parlamentare nel processo di attuazione della Convenzione di Schengen per i progetti relativi all’Italia.

Tale ruolo sostanziale riconosciuto all’organo parlamentare non deve però essere interpretato come un limite posto alla libertà del Governo all’atto della negoziazione in sede di Comitato esecutivo24.

Al contrario, la vincolatività della decisione parlamentare rafforza la posizione dell’Esecutivo che, al tavolo dei negoziati, potrà far valere il sostegno parlamentare irrobustendo, pertanto, la posizione dell’Italia.

Si tratta di un raccordo particolare che, pur se si discosta dalla tradizionale impostazione del rapporto tra Parlamento ed Esecutivo che di norma configura il controllo politico in via successiva e non preventiva e comunque, non di carattere vincolante, si giustifica alla luce della natura costituzionale dei principi su cui incide l’Accordo di Schengen, principi tutti racchiusi nella prima parte della Costituzione.

Si tratta, dunque, di operare nel contesto internazionale su temi che non concernono soltanto interessi nazionali contingenti, ma che coinvolgono grandi questioni di principio e di tutela a garanzia anche del singolo individuo.

Poiché i diritti inviolabili sono coessenziali rispetto alla forma di Stato vigente, l’intervento vincolante dell’organo parlamentare, cioè di un soggetto costituzionale che ha carattere, attribuzioni e capacità rappresentative diverse da quelle del Governo, si pone non solo a garanzia di tale coessenzialità, ma appare più idoneo ad effettuare quel bilanciamento di interessi che si richiede quando si incide su diritti fondamentali25.

Il Comitato è chiamato pertanto, a verificare se a fondamento di eventuali norme limitative dei diritti in questione vi siano altri interessi costituzionalmente meritevoli di tutela in modo da assicurare la “ragionevolezza” della decisione.

L’importanza e la delicatezza della funzione riconosciuta al Comitato spiegano la rilevata opportunità di avviare, con deliberazione 17 aprile 1997, un’indagine conoscitiva sullo stato di applicazione in Italia della Convenzione di Schengen, al fine di acquisire - come recitano i Regolamenti della Camera (art. 144) e del Senato (art. 48) – “informazioni e notizie, senza che tale attività conoscitiva diventi strumento di censura politica e di imputazione di responsabilità”.

Durante lo svolgimento della sua attività il Comitato ha rilevato la necessità che venga garantito in modo puntuale e costante il raccordo tra il Parlamento e il Governo.

Occorre, pertanto, dare piena attuazione all’articolo 18 della legge di ratifica che, prevedendo la già illustrata funzione consultiva del Comitato, richiede un tempestivo intervento dell’Esecutivo, deputato ad inviare al Parlamento i progetti di decisione del Comitato esecutivo vincolanti per l’Italia.

Solo assicurando la funzionalità del rapporto Parlamento-Governo si è in grado di superare le perplessità sul “deficit democratico”, che sembra caratterizzare le decisioni sull’attuazione degli accordi di Schengen.

1.4 – IL SISTEMA DI INFORMAZIONE SCHENGEN.

La Convenzione, istituisce il Sistema d’Informazione Schengen, un sistema informativo comune ai Paesi dell’Area Schengen, che consente agli organi competenti di questi, di consultare attraverso una procedura automatizzata dati, concernenti persone e cose, nel corso dei controlli alle frontiere o di altri controlli di polizia e doganali (art. 92 co. 1°).

Tale sistema, affiancandosi allo strumento tradizionale dello scambio di informazioni tra gli organi competenti dei diversi Paesi dell’Area (art. 7), non può che rendere più efficace la lotta contro l’immigrazione clandestina26.

Il Sistema d’Informazione Schengen (SIS), avvalendosi delle informazioni in esso contenute e conformemente alle disposizioni della Convenzione, ha l’obiettivo sia di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, sia di assicurare l’applicazione delle disposizioni sulla circolazione delle persone27.

Conseguentemente, il SIS deve consentire di identificare le persone e gli oggetti segnalati, di conoscere le motivazioni della ricerca, di determinare le azioni da effettuare prioritariamente assicurando nel contempo l’incolumità del personale incaricato di effettuare il controllo.

Il SIS è costituito da una sezione nazionale presso ciascun Paese aderente all’accordo (indicata nel seguito come N-SIS) e da un’unità di supporto tecnico situata a Strasburgo (ed indicata nel seguito come C-SIS).

Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa28.

Per quanto riguarda la struttura degli N-SIS, va detto che essi, oltre che una struttura tecnica direttamente incaricata della gestione della base informativa, comprendono un ufficio S.I.RE.N.E. (Supplementary Information Request at National Entry) con il compito di mettere in collegamento le autorità giudiziarie e di polizia di un Paese con i loro colleghi stranieri al fine di acquisire le informazioni ulteriori, non disponibili nella base informativa del N-SIS.

Gli Uffici SIRENE, pur non espressamente contemplati nella Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen, sono riconducibili - secondo una possibile interpretazione - all’art. 108 della stessa29.

1.5 – SCHENGEN E LA “COOPERAZIONE RAFFORZATA”.

In una prospettiva europea, gli accordi di Schengen rappresentano - secondo l’espressione usata dal Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano nel corso dell’audizione svolta di fronte al Comitato parlamentare il 15 maggio 1997 - “un esempio ante litteram di cooperazione rafforzata tra alcuni membri soltanto dell’Unione dei Quindici”.

Il concetto di cooperazione rafforzata era già presente nel Trattato di Maastricht, per esempio laddove si prevede, nel Titolo contenente “Disposizioni relative alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni”, che “le disposizioni del presente Titolo non ostano all’instaurazione e allo sviluppo di una cooperazione più stretta tra due o più Stati membri, sempre che tale cooperazione non sia in contrasto con quella prevista nel presente Titolo né la ostacoli” (art. K. 7).

Com’è noto, il Progetto di Trattato di Amsterdam, approvato dal Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 1997, valorizza fortemente lo strumento della cooperazione rafforzata, sottoponendola nel contempo a condizioni più rigide.

A questo fine è dedicato l’articolo (1) (numerazione provvisoria) delle “Disposizioni generali da inserire quale nuovo Titolo nelle Disposizioni comuni del Trattato sull’Unione Europea”, il quale subordina la possibilità di instaurare una cooperazione rafforzata a una serie di condizioni:

  sostanziali (p.e. che ogni cooperazione rafforzata “sia intesa a promuovere gli obiettivi dell’Unione e a proteggere e servire i suoi interessi”);

  formali (p.e. che ogni cooperazione rafforzata “riguardi almeno la maggioranza degli Stati membri”, che “sia aperta a tutti gli Stati membri” e che “sia autorizzata dal Consiglio”).

A queste condizioni generali di legittimità, destinate a valere per ogni cooperazione rafforzata, l’articolo K.12, del Progetto di Trattato di Amsterdam, aggiunge condizioni ulteriori, dettate specificamente per le iniziative di cooperazione rafforzata nel settore della cooperazione di polizia30 e giudiziaria in materia penale, ambito residuo di quello che viene ormai abitualmente definito “Terzo pilastro” 31 32.

Tra le condizioni specifiche di legittimità delle iniziative di cooperazione rafforzata assunte nelle materie di cui al Titolo VI del Trattato sull’Unione Europea, particolare rilevo assumono il vincolo relativo al fine (la cooperazione rafforzata deve “consentire all’Unione di svilupparsi più rapidamente come spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia”) e il vincolo procedurale consistente nella necessità che la cooperazione rafforzata sia autorizzata dal Consiglio a maggioranza qualificata e senza che alcuno Stato membro vi si opponga esplicitamente, nel qual caso occorre, per poter procedere, una deliberazione unanime del Consiglio europeo33.

Il carattere esemplare degli accordi di Schengen rispetto alla cooperazione rafforzata, delineata ad Amsterdam, risulta particolarmente evidente nel tipo di rapporto esistente tra le finalità specifiche degli accordi stessi e le finalità generali delle Comunità europee.

Esiste una coerenza assoluta tra questi due ordini di finalità, nella misura in cui gli accordi di Schengen mirano a realizzare anticipatamente quella “libera circolazione delle persone” che l’articolo 7°, del Trattato istitutivo della Comunità europea pone tra i caratteri costitutivi del mercato interno.

L’esemplarità degli accordi di Schengen, come esperimento di cooperazione rafforzata non deve tuttavia, far perdere di vista alcune loro specificità.

In primo luogo, va ricordato che, all’avvio del percorso negoziale materialmente iniziato a Schengen, i paesi firmatari erano cinque (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi), mentre gli Stati membri della Comunità europea erano già nella misura di dieci (fino all’adesione formale della Spagna e del Portogallo, avvenuta - com’è noto - il 1° gennaio 1986)34.

Si trattava, pertanto, di una ‘cooperazione rafforzata’ inizialmente non maggioritaria, che quindi, non sarebbe stata conforme alle condizioni di legittimità che, come abbiamo visto, sono oggi imposte a questa forma di integrazione dal Progetto di Trattato di Amsterdam.

Va però sottolineato che, se alla partenza solo la metà degli Stati membri era pienamente coinvolto, oggi lo “Spazio Schengen” copre, anche se non ancora a titolo operativo, l’intero territorio comunitario (con le uniche eccezioni della Gran Bretagna e dell’Irlanda) e si spinge persino al di là, grazie allo status di osservatori attribuito all’Islanda e alla Norvegia.

Proprio nella forma anomala di partecipazione di questi due ultimi paesi risiede la seconda specificità degli accordi di Schengen come esempio di cooperazione rafforzata.

Il “Gruppo Schengen”’, infatti, si estende ormai al di là dei confini dell’Unione europea, distinguendosi in ciò dalla cooperazione rafforzata nella sua accezione più alta35.

1.6 – L’INCORPORAZIONE DELL’ “ACQUIS” DI SCHENGEN NELL’UNIONE EUROPEA.

Il Trattato di Amsterdam, come già accennato, firmato dagli Stati membri dell’Unione Europea il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha da ultimo, proceduto all’incorporazione del “Sistema Schengen” nell’Unione Europea36.

Precisamente, uno dei Protocolli allegati al Trattato sull’Unione Europea e al Trattato CE, introdotti dal Trattato di Amsterdam, ha provveduto all’integrazione nell’ambito dell’Unione Europea dell’acquis di Schengen, ossia del complesso di norme costituito dall’Accordo di Schengen, dalla Convenzione di applicazione, dai protocolli e dagli accordi di adesione all’Accordo e alla Convenzione, dalle decisioni e dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo istituito dalla Convenzione, nonché dagli atti per l’attuazione della Convenzione adottati dagli organi cui il Comitato esecutivo ha conferito poteri decisionali.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l’immigrazione e l’asilo vengono a far parte gradualmente del c.d. “Primo Pilastro” dell’Unione.

Sono cioè ricomprese in ambito comunitario, con la possibilità di godere di procedure più snelle e rapide oltre che più trasparenti, rafforzando anche il ruolo del Parlamento europeo e della Corte Europea di Giustizia37.

Il Trattato di Amsterdam conserva quindi, la struttura dei c.d. “Tre Pilastri”, istituita dal precedente Trattato di Maastricht, operando modifiche rilevanti soprattutto, nell’area coperta dall’attuale “terzo pilastro”38.

I cambiamenti introdotti dal nuovo trattato sono finalizzati alla “creazione di un nuovo spazio senza frontiere interne” e all’obiettivo di “conservare e sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione alla criminalità e la lotta contro quest’ultima”, come specificato dal modificato ARTICOLO B.

L’espressione “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, usata dal nuovo articolo B, si sostituisce alla dizione “giustizia e affari interni” impiegata invece, dal Titolo VI del Trattato di Maastricht.

Il nuovo spazio istituito dal Trattato di Amsterdam si riferisce, in effetti, al campo di interesse attualmente delimitato dal Titolo VI e si struttura intorno a un nuovo titolo, incluso direttamente nel Trattato CE.

Il nuovo titolo IV del Trattato CE si intitola “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone” e investe, nello specifico:

1) l’attraversamento delle frontiere esterne ed interne dell’Unione;

2) l’asilo, l’immigrazione, la politica nei confronti dei cittadini degli Stati terzi;

3) la cooperazione giudiziaria in materia civile39.

Le uniche materie escluse dal processo di comunitarizzazione e che, quindi, rimangono all’interno del Titolo VI del Trattato di Maastricht sono: la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria, in materia penale.

Le materie cui si riferisce l’articolo B sono regolate da articoli specifici del Titolo IV.

Da ultimo, in ambito nazionale, il processo di “Comunitarizzazione”, ha portato all’emanazione di un decreto legislativo, che, in stretta aderenza all’intera “Acquis di Schengen” ha disposto in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli stati membri dell’Unione europea40 (nel territorio dello Stato italiano).

Le disposizioni regolamentari concernenti la stessa materia sono invece contenute nel D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 53 (Testo C).

I due provvedimenti sono ricompresi, con le opportune evidenziazioni, nel “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea. (Testo A)”, emanato con D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54.

1.6.1. – Il nuovo gruppo di articoli riguarda il cosiddetto “terzo pilastro”: Immigrazione e asilo nella Costituzione europea (Progetto preliminare di trattato 14.3.2003).

Giscard d’Estaing annuncia la definitiva demolizione del cosiddetto “terzo pilastro” dell’Unione europea: la sicurezza interna, la giustizia, le libertà pubbliche, dovranno essere gestite dall’Europa abbandonando il metodo della cooperazione intergovernativa.

E’ la proposta del presidente della Convenzione che verrà discussa ed emendata dai membri dell’Assemblea.

Il nuovo gruppo di articoli prospetta un completamento del processo con cui nel 1997 il Trattato di Amsterdam aveva avviato un’integrazione della giustizia e degli affari interni fra le politiche comunitarie41.

Secondo il Praesidium della Convenzione, l’Unione del dopo 2004 dovrà necessariamente dotarsi di una serie di strumenti: una politica comune in materia di asilo e immigrazione, norme anticrimine comuni in alcuni settori (terrorismo, tratta di esseri umani, traffico di droga, corruzione) e una procura europea in rete.

Con la nuova proposta, inoltre, viene introdotta esplicitamente nella Costituzione Europea una delle “regole d’oro” individuate dalla Convenzione, cioè l’individuazione e l’introduzione di una separazione tra compiti legislativi e operativi in seno all’Unione.

1.7 - POLITICA COMUNITARIA DI RIMPATRIO DELLE PERSONE CHE SOGGIORNANO ILLEGALMENTE NEGLI STATI MEMBRI.

La Commissione delle Comunità Europee, ha redatto e presentato, un “Libro Verde”, su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri42.

Infatti, a seguito dell’introduzione nel Trattato di Amsterdam della competenza comunitaria in materia di immigrazione e di asilo43, i capi di Stato e di governo hanno auspicato, in occasione del Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999, lo sviluppo di una politica comune dell’Unione su questi temi, quali anche il rimpatrio.44

Alcune cifre sui rimpatri vengono raccolte a livello UE.

In base ai dati disponibili, nel 2000 sono state allontanate in totale 367.552 persone45, mentre nel 199946 gli stranieri allontanati sono stati 324.206.

Nel quadro dei programmi di rimpatrio volontario assistito, gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), nel 2000 hanno lasciato volontariamente la UE 87.628 persone, mentre nel 1999 il loro numero è stato di 78.27347.

Tuttavia, gli Stati membri, a detta della stessa Commissione delle Comunità Europee, potrebbero condividere informazioni più complete e più dettagliate in materia di rimpatri volontari e di allontanamenti, sulla base di definizioni comuni che eliminerebbero i problemi di comparabilità48.

La Commissione presenterà un piano d’azione49 per attuare la decisione del Consiglio del maggio 2001 volta a introdurre una relazione annuale pubblica in materia di asilo e di migrazione, che dovrebbe includere una sezione in cui vengono analizzati i dati sul rimpatrio.

Eventualmente, anche un Osservatorio europeo sulle migrazioni, attualmente in fase di sviluppo, potrebbe contribuire a migliorare le conoscenze in materia di rimpatrio.

Si può porre fine al soggiorno legale mediante una decisione di allontanamento basata su condizioni specificate per legge.

Le norme iniziali relative alle decisioni di allontanamento sono state fissate nella direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, adottata nel maggio 200150.

Nel quadro di questa direttiva, il cittadino di un paese terzo è oggetto di una decisione di allontanamento in caso di minaccia grave e concreta all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale in due serie di casi51.

In primo luogo, una decisione di allontanamento può essere dovuta alla condanna del cittadino di un paese terzo, per un reato punibile con una pena privativa della libertà di almeno un anno.

Inoltre, è sufficiente l’esistenza di seri motivi per ritenere che il cittadino di un paese terzo abbia commesso fatti punibili gravi o l’esistenza di indizi concreti che intende commettere fatti di tale natura nel territorio di uno Stato membro.

In secondo luogo, il cittadino di un paese terzo è oggetto di una decisione di allontanamento, quando non rispetta le normative nazionali relative all’ingresso o al soggiorno degli stranieri.

La Commissione ha cercato di delineare una politica comunitaria di rimpatrio, che costituisce una necessità nel quadro del processo per lo sviluppo di una politica europea generale in materia di asilo e di immigrazione52.

L’obiettivo primario del “Libro Verde” è sollecitare reazioni da tutte le parti interessate e avviare un’ampia discussione fra di esse53.

Il Parlamento europeo, il Consiglio, il Comitato economico e sociale, il Comitato delle regioni, i paesi candidati, i paesi terzi partner, le organizzazioni governative internazionali, le organizzazioni non governative, le università, nonché le altre organizzazioni della società civile e gli individui interessati sono invitati a fornire il proprio contributo al dibattito.

La Commissione continuerà a inserire clausole standard di riammissione in tutti i futuri accordi di associazione e di cooperazione.

Le clausole attuali sono state adottate dal Consiglio il 3 dicembre 199954 in revisione di quelle del 199655, al fine di adeguare queste ultime alla nuova situazione giuridica derivante dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.

Tali clausole non costituiscono accordi di riammissione in senso stretto, in quanto rappresentano solo “clausole abilitanti”, volte cioè esclusivamente a impegnare le parti contraenti a riammettere i propri cittadini, i cittadini di paesi terzi e gli apolidi.

Ma le disposizioni operative vere e proprie e le modalità procedurali sono lasciate alle convenzioni di attuazione che dovranno essere concluse a livello bilaterale dalla Comunità o dai singoli Stati membri.

Nell’adottare le attuali clausole del dicembre 1999, il Consiglio ha chiarito che esse dovranno essere inserite in tutti gli accordi che verranno conclusi in futuro dalla Comunità, mentre le “vecchie” clausole del 1996 devono essere inserite solo in casi specifici, il che, durante i negoziati, ha provocato spesso accuse di discriminazione a carico della UE.

Pur deviando parzialmente dal testo standard, dal 1996 sono state incluse clausole di riammissione, fra l’altro, negli accordi con l’Algeria56, l’Armenia57, l’Azerbaigian58, la Croazia59, l’Egitto60, la Georgia61, il Libano62, la Macedonia63, l’Uzbekistan64, nonché nell’Accordo di Cotonou fra l’UE e i paesi ACP65.

Tali norme sono attualmente oggetto di negoziati con una serie di altri paesi66.

1.8 – IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, LA SOLIDARIETA’ DELL’EUROPA: proposti nuovi organi e più fondi per migliorare i controlli alle frontiere esterne (Consiglio Ue 16.6.2003).

Solidarietà sulla questione sensibile e complessa dei controlli alle frontiere esterne dell’Europa.

In un documento recentemente pubblicato, il Consiglio dell’Unione ricorda il principio alla base dell’elaborazione di una politica comune in materia di immigrazione67.

La solidarietà, cioè la giusta ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, deve riguardare i controlli alle frontiere terrestri e marittime, l’accoglienza degli immigrati, la politica dei visti, la cooperazione con i paesi terzi per frenare all’origine il flusso di clandestini.

Il Consiglio avanza, inoltre, nuove proposte concrete.

Invita la Commissione ad esaminare la possibilità di creare nuovi meccanismi istituzionali, come ad esempio una struttura operativa comunitaria per rafforzare la gestione comune delle frontiere esterne dell’Unione.

Propone un maggiore sostegno finanziario alle azioni di rimpatrio dei clandestini, che pure restano di competenza dei singoli Stati membri.

Un meccanismo di valutazione potrebbe inoltre, essere elaborato allo scopo di istituire un controllo sulle relazioni con i paesi d’origine dei clandestini.

Per rendere più concreto il principio di solidarietà, il Consiglio propone, infine, un aumento delle risorse finanziarie comunitarie da destinare a questo settore e fa una stima dei fondi necessari: 140 milioni di euro.

Nello specifico, il Consiglio, ha adottato come “sostrato” per i suoi lavori:

·       le conclusioni del Consiglio europeo di Siviglia del 21 e 22 giugno 2002, in cui i capi di Stato e di Governo hanno ribadito la loro determinazione ad accelerare l’attuazione, in tutti i suoi aspetti, del programma adottato a Tampere68 il 15 e 16 ottobre 1999;

·       gli orientamenti di Siviglia riguardanti le misure di lotta all’immigrazione clandestina, l’attuazione progressiva di una gestione coordinata e integrata delle frontiere esterne, e l’integrazione della politica di immigrazione nelle relazioni dell’Unione con i paesi terzi;

·       il principio di solidarietà sancito dall’attuale trattato con riguardo all’accoglienza dei rifugiati e degli sfollati e che è alla base dell’istituzione del Fondo europeo per i rifugiati69; convinto che il principio di solidarietà implichi un’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, anche in materia finanziaria, nei settori contemplati da tutte le politiche comunitarie in materia di controlli di frontiera, asilo e immigrazione; rammentando che il Consiglio europeo di Siviglia ha chiesto alla Commissione di effettuare uno studio sulla suddivisione degli oneri fra gli Stati membri e l’Unione circa la gestione delle frontiere esterne e di presentare al Consiglio una relazione sull’efficacia delle risorse finanziarie disponibili a livello comunitario in materia di rimpatrio degli immigranti e dei richiedenti asilo respinti, di gestione delle frontiere esterne e di progetti di asilo e migrazione nei paesi terzi;

·       le conclusioni del Consiglio, del novembre 2002, sulla cooperazione intensificata con i paesi terzi per la gestione dei flussi migratori, la comunicazione della Commissione del dicembre 2002 e le conclusioni del Consiglio, del maggio 2003, su migrazione e sviluppo, che, definiscono il quadro per l’integrazione delle questioni connesse alle migrazioni nelle relazioni dell’Unione europea con i paesi terzi;

·       le conclusioni del Consiglio del 28 febbraio 2002, in cui la Commissione è stata invitata ad effettuare uno studio di fattibilità per individuare il modo in cui migliorare i controlli alle frontiere marittime, nonché quelle del giugno 2002 sulle misure da applicare per prevenire e combattere l’immigrazione clandestina, il traffico di clandestini e la tratta di esseri umani via mare e, in particolare, sulle misure nei confronti dei paesi terzi che rifiutano di cooperare con l’Unione europea nella prevenzione e nella lotta contro tali fenomeni.

Tenendo conto dell’interesse comune di tutti gli Stati membri dell’UE ad instaurare una gestione più efficace delle loro frontiere esterne e prendendo atto dei risultati ottenuti con la realizzazione dei vari programmi operativi, progetti pilota, analisi dei rischi, cicli di formazione destinati al personale di frontiera ecc., nonché delle conclusioni che si devono trarre dallo studio effettuato dalla Commissione, a richiesta del Consiglio, sulla questione sensibile e complessa dei controlli alle frontiere marittime, il Consiglio ha rilevato l’importanza di assicurare la continuità e la coerenza dell’azione comunitaria in questo settore fissando priorità e definendo un quadro e metodi più strutturati.

Come indicato nelle conclusioni adottate a tale fine dal Consiglio il 5 giugno 2003, il Segretariato generale del Consiglio assicurerà la preparazione e il seguito delle riunioni dell’organo comune e in tale compito esso potrebbe essere assistito, nella fase iniziale, da esperti distaccati dagli Stati membri.

Il Consiglio a tal proposito, ha invitato la Commissione ad esaminare, a tempo debito, basandosi sull’esperienza acquisita attraverso le attività dell’organo comune, la necessità di creare nuovi meccanismi istituzionali, compresa l’eventuale creazione di una struttura operativa comunitaria, al fine di rafforzare la cooperazione operativa per la gestione delle frontiere esterne, sottolineando la necessità di accelerare i lavori relativi all’adozione, quanto prima possibile ed entro la fine del 2003, dello strumento giuridico appropriato volto ad istituire formalmente la rete di funzionari di collegamento sull’immigrazione nei paesi terzi.

Per tanto il Consiglio ha invitato la Commissione a presentare, quanto prima possibile, proposte relative alla rielaborazione del Manuale comune, compresa l’apposizione di timbri sui documenti di viaggi o dei cittadini di paesi terzi.

L’attuazione di una politica comune in materia di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente è di competenza degli Stati membri.

Tuttavia, si può conseguire una maggiore efficienza rafforzando la cooperazione esistente ed istituendo appositi meccanismi, compresa una componente finanziaria.

In tale contesto, il Consiglio ha sollecitato la Commissione ad esaminare tutti gli aspetti relativi alla creazione di uno strumento comunitario separato destinato a sostenere, in particolare, le priorità previste dal programma d’azione sul rimpatrio approvato dal Consiglio e di riferirgli al riguardo entro la fine del 2003.

Nell’ambito dell’integrazione delle questioni connesse con le migrazioni nelle relazioni dell’Unione europea con i paesi terzi, il Consiglio ribadisce che il dialogo e le azioni dell’UE nei confronti dei paesi terzi nel settore delle migrazioni devono iscriversi in un approccio generale, integrato, globale ed equilibrato, che deve essere differenziato tenendo conto della situazione esistente nelle varie regioni ed in ogni singolo paese partner.

Al riguardo, il Consiglio riconosce l’importanza di elaborare un meccanismo di valutazione per controllare le relazioni con i paesi terzi che non cooperano con l’UE nella lotta contro l’immigrazione clandestina e considera i punti seguenti di primaria importanza:

  partecipazione agli strumenti internazionali pertinenti alla materia in questione (p.e.: convenzioni sui diritti dell’uomo, Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ecc.),

  cooperazione dei paesi terzi nell’ambito della riammissione/del rimpatrio dei loro cittadini e di cittadini di paesi terzi,

  sforzi riguardanti il controllo delle frontiere e l’intercettazione di clandestini,

  lotta alla tratta di esseri umani, compresa l’adozione di misure legislative e di altro tipo,

  cooperazione nel settore della politica dei visti ed eventuale adattamento dei loro regimi in materia di visti,

  creazione di sistemi di asilo, specie per quanto riguarda l’accesso ad una protezione effettiva,

  sforzi riguardanti il rilascio di nuovi documenti ai loro cittadini.

Nell’effettuare la summenzionata valutazione, il Consiglio si avvarrà delle informazioni fornite dalla rete di funzionari di collegamento sull’immigrazione riguardo a quelli dei temi precitati rientranti nelle loro competenze.

In seguito allo sviluppo della reciproca fiducia tra gli Stati membri per la promozione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che costituisce un obiettivo prioritario dell’Unione, il Consiglio sottolinea che il principio di solidarietà deve essere consolidato e reso più concreto, in particolare in termini di rafforzamento della cooperazione operativa. Il Consiglio ha ritenuto che, tenuto conto del quadro globale e della necessità di una disciplina di bilancio, le prospettive finanziarie per il dopo 2006 debbano rispecchiare questa priorità politica della Comunità. Nel frattempo, il Consiglio ha invitato la Commissione a esaminare, nel rispetto dei principi che reggono l’utilizzazione delle risorse di bilancio, la possibilità di utilizzare fondi della “rubrica 3” delle prospettive finanziarie tenendo conto della necessità di mantenere margini adeguati nel quadro del massimale di tale rubrica, per rispondere, durante il periodo 2004-2006, alle esigenze strutturali più pressanti in questo settore e dare una definizione più ampia al concetto di solidarietà, che, sulla scorta della comunicazione della Commissione, comprenderebbe tra l’altro il sostegno comunitario alla gestione delle frontiere esterne, all’attuazione del programma d’azione sul rimpatrio e allo sviluppo del Sistema d’informazione visti (VIS). A tale riguardo il Consiglio prende atto della pertinente analisi della Commissione e della sua stima a 140 milioni di euro dei fondi necessari a tal fine.

1.8.1. – Aiuti finanziari Ue solo ai Paesi terzi che frenano l’immigrazione: i criteri per valutare gli sforzi dei paesi terzi nella lotta contro gli sbarchi clandestini(Progetto di conclusioni Consiglio Ue 21.11.2003).

Solo i Paesi che controllano l’immigrazione potranno avere buoni rapporti con l’Europa.

La strategia della lotta contro l’immigrazione illegale si basa su questo assunto e su una stretta collaborazione con i paesi di origine e di transito70.

Dal livello di collaborazione, insomma, dipenderà la natura delle relazioni che l’Unione intratterrà col paese terzo interessato.

Significa che una cooperazione insufficiente potrebbe pregiudicare gli aiuti tecnici e finanziari che normalmente l’Europa destina ai paesi in difficoltà nell’ambito della cooperazione allo sviluppo71.

Al fine di valutare in modo concreto l’atteggiamento dei paesi terzi in materia di lotta contro l’immigrazione clandestina, il Gruppo ad Alto livello “Asilo e immigrazione” Ue, ha previsto l’istituzione di un apposito meccanismo di verifica.

Tale meccanismo dovrebbe innanzitutto valutare la situazione migratoria dei paesi terzi interessati e la loro capacità amministrativa e istituzionale di gestire asilo e immigrazione.

Pertanto, il meccanismo dovrebbe fornire tutte le informazioni rilevanti.

La Commissione elaborerà un elenco degli indicatori per la valutazione.

Si raccomanda comunque, di concentrarsi sui alcuni temi specifici, tra cui: l’attuazione della legislazione nazionale ed internazionale in vigore in materia di immigrazione e diritto di asilo; gli sforzi compiuti nella lotta contro la tratta degli esseri umani; la cooperazione nel settore della riammissione; la cooperazione nel settore della politica dei visti.

 

1 Bascherini Gianluca, “Europa, cittadinanza, immigrazione”. Dir. Pubbl., 2000, pag. 767.

2 Nascimbene Bruno, “L’incorporazione degli accordi di Schengen nel quadro dell’Unione europea e il futuro ruolo del Comitato parlamentare di controllo”. Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1999, fasc. 3–4 (agosto), pag. 731-742.

3 Lucia Serena Rossi,Proud to be European. Orgoglio e pregiudizi dell’identità europea”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, Fascicolo 4.

4 Documento relativo all’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (Comitato Schengen), pag. 5. (- 4. LO STATO DEI CONTROLLI ALLE FRONTIERE ITALIANE. - online).

5 Badie B., “La fin des territoires”, Parigi, 1995.

6 Caruso B., “Le politiche di immigrazione in Italia e in Europa: più stato e meno mercato?”, in Dir. mercato lav., 2000, 279.

7 Joanna Apap,Procedure di regolarizzazione in Europa e criteri di ammissione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, Fascicolo 4.

8 Nascimbene Bruno, “L’incorporazione degli accordi di Schengen nel quadro dell’Unione europea e il futuro ruolo del Comitato parlamentare di controllo”. Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1999, fasc. 3–4 (agosto), pagg. 731-742.

9 Nascimbene B., “Straniero nel diritto internazionale”, in Digesto pubbl., Utet, Torino, 1999, vol. XV, 179.

10 Leonardo Maisano,Le porte d’Europa. Inchiesta sull’immigrazione clandestina”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, Fascicolo 1.

11 Nascimbene Bruno, “Gli Accordi di Schengen e i problemi di applicazione in Italia”. (Relazione al convegno di studi al “Il Migrationpolitisches Forum”, Bonn, 18 marzo 1998). Jus, 1999, fasc. 1 (aprile), pag. 421-428.

12 La Tassa Elvio, “Un richiamo alle finalità dello Schengen”. Rassegna di diritto e tecnica doganale e delle imposte di fabbricazione, 1999, fasc. 11 (novembre), pagg. 735-737.

13 Interessante in merito, Cass., sez. III, 27 gennaio 2000, in Riv. pen., 2001, 181.

14 Mattera Alfonso, “Civis europaeus sum”. ”La libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini europei e la diretta applicabilità dell’articolo 18 (ex articolo 8°) del Trattato CE”. Il diritto dell’Unione Europea, 1999, fasc. 3 (settembre), pag. 431 ss.

15 Nascimbene Bruno, “L’incorporazione degli accordi di Schengen nel quadro dell’Unione europea e il futuro ruolo del Comitato parlamentare di controllo”. Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1999, fasc. 3–4 (agosto), pagg. 731-742.

16 Mattera Alfonso, “Civis europaeus sum”. ”La libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini europei e la diretta applicabilità dell’articolo 18 (ex articolo 8°) del Trattato CE”. Il diritto dell’Unione Europea, 1999, fasc. 3 (settembre), pag. 464 ss.

17 Caruso B., “Le politiche di immigrazione in Italia e in Europa: più stato e meno mercato?”, in Dir. mercato lav., 2000, 279.

18 Joanna Apap,Procedure di regolarizzazione in Europa e criteri di ammissione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, Fascicolo 4. Vedi, anche, Cap. II.

19 Nascimbene Bruno, “Gli Accordi di Schengen e i problemi di applicazione in Italia”. (Relazione al convegno di studi al “Il Migrationpolitisches Forum”, Bonn, 18 marzo 1998). Jus, 1999, fasc. 1 (aprile), pagg. 421-428.

20 Mattera Alfonso, “Civis europaeus sum”. ”La libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini europei e la diretta applicabilità dell’articolo 18 (ex articolo 8°) del Trattato CE”. Il diritto dell’Unione Europea, 1999, fasc. 3 (settembre), pagg. 431-464.

21 Nascimbene B., Mafrolla E. M., “Recenti sviluppi della politica comunitaria in materia di immigrazione e asilo”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, Fascicolo 1. In merito, anche, T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 maggio 2001, n. 1158, in Trib. amm. reg., 2001, I, 2241.

22 Nascimbene B., “Curdi e albanesi in Italia – Norme nazionali e obblighi internazionali”, in Corriere giur., 1998, 129.

23 Favilli C.,La comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione: prime riflessioni”, in Dir., immigrazioni e cittadinanza, 2001, Fascicolo 1.

24 Nascimbene Bruno, “L’incorporazione degli accordi di Schengen nel quadro dell’Unione europea e il futuro ruolo del Comitato parlamentare di controllo”. Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1999, fasc. 3–4 (agosto), pagg. 731-742.

25 Documento relativo all’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (Comitato Schengen), pag. 8 (- 2. IL RUOLO DEL COMITATO PARLAMENTARE E L’INDAGINE CONOSCITIVA. 2.1. Composizione e compiti del Comitato parlamentare di controllo - online).

26 Martines Francesca, “La protezione degli individui rispetto al trattamento automatizzato dei dati nel diritto dell’Unione Europea”. Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2000, fasc. 3-4 (agosto), pagg. 719-751.

27 Chiara Favilli, La comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione: prime riflessioni”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, fasc. 1, 49.

28 Documento relativo all’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (Comitato Schengen), pag. 18 (- 3. IL SISTEMA DI INFORMAZIONE SCHENGEN. - online).

29 Menegazzi Munari F., “La nuova normativa italiana in materia di immigrazione e il “Terzo Pilastro” del Trattato di Maastricht”, in Riv. polizia, 1999, 363.

30 Capecchi Gabriele, “La cooperazione di polizia nel nuovo assetto dell’Unione europea”. Il diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2000, fasc. 1 (marzo), pag. 147-162.

31 De Amicis Gaetano, Calvanese Ersilia, “Appunti sulla nuova Convenzione di assistenza giudiziaria penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea”. Giurisprudenza di merito, 2000, fasc. 4-5 (ottobre), pt. 4, pagg. 1052-1061.

32 Pisani Mario, “Rapporti giurisdizionali con autorità straniere”. Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2001, fasc. 1 (gennaio), pagg. 331-336.

33 Adobati Enrica, “L’”acquis” di Schengen viene “incorporato” nel quadro dell’Unione Europea: una nuova ipotesi di “cooperazione rafforzata”. Diritto del commercio internazionale, 1999, fasc. 1 (marzo), pagg. 195-198.

34 Kees Groenendjik,Immigrazione e diritto in Europa nella seconda metà del XX secolo”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 1999, Fascicolo 4.

35 Adobati Enrica, “L’”acquis” di Schengen viene “incorporato” nel quadro dell’Unione Europea: una nuova ipotesi di “cooperazione rafforzata”. Diritto del commercio internazionale, 1999, fasc. 1 (marzo), pagg. 198- 200.

36 Liguori Anna, “L’immigrazione e l’Unione Europea”. Il diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2000, fasc. 2 (giugno), pagg. 427-452.

37 Bevilacqua Marita, “Richiedenti asilo e rifugiati nel sistema di Schengen”. Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1999, fasc. 12 (giugno 16), pagg. 1214-1220.

38 Menegazzi Munari F., “La nuova normativa italiana in materia di immigrazione e il “Terzo Pilastro” del Trattato di Maastricht”, in Riv. polizia, 1999, 361.

39 Simona Lipparini,Il diritto di asilo nel diritto comunitario: l’evoluzione dal 1958 sino alla comunitarizzazione dell’acquis di Schengen e le prospettive future”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, Fascicolo 3.

40 Decreto Legislativo 18 gennaio 2002, n. 52, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea. (Testo B)”. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9 aprile 2002 - Supplemento Ordinario n. 69.

41 Convenzione europea, Praesidium, “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” 14.3.2003.

42 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Bruxelles, 10.04.2002 - COM(2002) 175 definitivo in, “Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri”.

43 Bruno Nascimbene, Emanuela Maria Mafrolla,Recenti sviluppi della politica comunitaria in materia di immigrazione e asilo”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, Fascicolo 1.

44 Per una trattazione ampia vedi, “Catalogo delle raccomandazioni per la corretta applicazione dell’acquis di Schengen e delle migliori pratiche - Frontiere e allontanamento e riammissione”, in Consiglio dell’Unione europea, 28 febbraio 2002.

45 Fonte: Eurostat - nessun dato per IRL, NL e UK, dati mancanti per B, DK e LUX.

46 Fonte: Eurostat - nessun dato per DK, IRL, NL e UK, dati mancanti per FIN.

47 Fonte: IOM. La maggior parte dei rientri volontari hanno avuto luogo in partenza dalla Germania (anno 2000: 68 648; anno 1999: 58 469).

48 Joanna Apap,Procedure di regolarizzazione in Europa e criteri di ammissione”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2001, Fascicolo 4.

49 Cfr. anche SEC (2001) 602 del 9 aprile 2001.

50 Cfr. GU L 149 del 2 giugno 2001, pag. 34.

51 Bruno Nascimbene, Emanuela Maria Mafrolla,Recenti sviluppi della politica comunitaria in materia di immigrazione e asilo”, in Dir., immigrazione e cittadinanza, 2002, Fascicolo 1.

52 Per l’intera trattazione dell’argomento vedi, GU L 149 del 2 giugno 2001, pag. 34; GU C 353 del 7 dicembre 2001, pag. 6; GU C 274 del 19 settembre 1996, pag. 18.

53 Cfr. GU L 114 del 1° maggio 1999, pag. 2; GU L 138 del 9 maggio 1998, pag. 6; GU L 205 del 31 luglio 1997, pag. 3.

54 Cfr. Doc. del Consiglio 13409/99.

55 Cfr. Doc. del Consiglio 4272/96.

56 Siglato il 19 dicembre 2001.

57 GU L 239 del 9 settembre 1999, pag. 22.

58 GU L 246 del 17 settembre 1999, pag. 23.

59 COM (2001) 371 def. del 9 luglio 2001, pag. 46.

60 GU C 304° del 30 ottobre 2001, pag. 16.

61 GU L 205 del 4 agosto 1999, pag. 22.

62 Siglato il 10 gennaio 2002.

63 GU C 213° del 31 luglio 2001, pag. 44.

64 GU L 229 del 31 agosto 1999, pag. 22.

65 GU L 317 del 15 dicembre 2000, pag. 10/11.

66 Sugli accordi di riammissione conclusi dall’Italia vedi, par. 2.3 (L’INGRESSO E IL SOGGIORNO: LA PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI DI ACCESSO AL TERRITORIO), CAP. II.

67 Conclusioni del Consiglio Ue sull’elaborazione di una politica comune in materia di immigrazione clandestina, frontiere esterne, rimpatrio dei clandestini e cooperazione con i paesi terzi, Bruxelles, 16 giugno 2003.

68 Il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ha impresso uno slancio decisivo allo sviluppo di una politica comune di asilo e di immigrazione, allo scopo di realizzare quanto prescritto dal Trattato di Amsterdam: un’area di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea. A Tampere sono stati fissati numerosi obiettivi e scadenze, ed istituito un meccanismo di controllo dei progressi conseguiti in questo settore, secondo una tabella di marcia, lo “scoreboard”, simile a quella utilizzata per la realizzazione del mercato interno.

69 Il Fondo europeo per i rifugiati è stato istituito nel 2000 allo scopo di raggiungere un equilibrio fra gli sforzi espletati dagli stati membri per accogliere rifugiati e sfollati e sostenere le conseguenze di questa accoglienza. Offre un sostegno agli stati in proporzione all’onere che essi assumono in ognuno dei settori individuati mettendo quegli stati membri, il cui dispositivo è meno perfezionato, in grado di partecipare allo sforzo comune..

70Progetto di conclusioni del Consiglio per l’istituzione di un meccanismo di verifica e valutazione dei paesi terzi in materia di lotta contro l’immigrazione clandestina, Bruxelles 21 novembre 2003.

71 Ecco il testo dei punti citati del documento: “34. Il Consiglio europeo sottolinea che è importante assicurare la cooperazione dei paesi d’origine e di transito in materia di gestione comune e di controllo delle frontiere nonché di riammissione. La riammissione da parte dei paesi terzi comprenderà quella dei loro cittadini presenti illegalmente in uno Stato membro nonché, nelle stesse condizioni, la riammissione dei cittadini di paesi terzi di cui possa essere verificato il transito nel paese in questione. La cooperazione mira a ottenere risultati a breve e a medio termine. L’Unione è disposta a fornire l’aiuto tecnico e finanziario necessario allo scopo, nel qual caso la Comunità europea dovrà disporre di risorse adeguate nel quadro delle prospettive finanziarie. 35. Il Consiglio europeo reputa necessario procedere a una valutazione sistematica delle relazioni con i paesi terzi che non cooperano nella lotta contro l’immigrazione illegale. Di questa valutazione si terrà conto nelle relazioni fra l’Unione europea e gli Stati membri e i paesi interessati, in tutti i settori pertinenti. Una cooperazione insufficiente da parte di un paese potrebbe rendere più difficile l’approfondimento delle relazioni tra il paese in questione e l’Unione. 36. Se non si sarà ottenuto alcun risultato ricorrendo ai meccanismi comunitari esistenti, il Consiglio potrà prendere atto, all’unanimità, della mancanza ingiustificata di cooperazione da parte di un paese terzo nella gestione comune dei flussi migratori. In tal caso il Consiglio, conformemente alle norme dei trattati, potrà adottare misure o assumere posizioni nel quadro della politica estera e di sicurezza comune e delle altre politiche dell’Unione europea, nel rispetto degli impegni assunti dall’Unione e senza mettere in discussione gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo”.

 

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